«Mettiti sul letto» le ordinò Brian.

Fremendo, Bera si sdraiò supina, con le gambe allargate e le ginocchia sollevate, i piedi sul bordo del letto. Era pronta ad accogliere il maschio. Dal suo punto di osservazione, Kveld poteva vedere il sesso di sua madre offerto, socchiuso: una carne rosea, madreperlacea con qualcosa di più rosso all’interno, come la polpa sanguigna di un frutto.

Poi accadde quello che avrebbe deturpato per sempre la sua mente, in immagini e parole.

Brian sciolse il nodo della cordicella, che si allentò. Il pendaglio scese più in basso. Brian lo prese fra il pollice e il medio e lo introdusse nella vulva di Bera. Lei gli andò incontro, sollevando impercettibilmente i fianchi, con un sospiro. Con l’indice, Brian conficcò profondamente lo strumento all’interno del corpo di lei. Bera ebbe un sussulto e lanciò un breve grido.

Kveld non poteva credere che suo padre avesse ferito sua madre con quel lercio, fetente oggetto. Perché, e qual era il suo uso? Fu Brian a rispondere alla sua domanda.

«Nessun altro demonio pagano deve nascere da te» disse con un sorriso lascivo, spingendo le altre dita dentro di lei. Bera cominciò a gemere e a contorcersi, come se volesse nello stesso tempo sottrarsi a lui ed essere aperta e forzata.

Così, l’oggetto era una barriera per il seme maschile, e quel fetido unguento era un rimedio per non concepire. Kveld ricordò di aver sentito di simili metodi dalla völva, a colloquio con alcune ragazze di Borg.

«Nessun demonio pagano doveva nascere da te» disse il prete, fra gli ansiti. «Ma quel tuo figlio è stato più forte di tutto. Ha superato la barriera che avevo posto fra il mio seme e la tua matrice, e nessun veleno è stato capace di distruggerlo. Non è venuto dal mio seme, ma dal Demonio che ha dato origine alla tua stirpe, la Bestia senza Dio.»

Nel momento in cui Kveld venne a sapere di essere nato malgrado il tentativo dei suoi genitori di sopprimerlo, Brian penetrò Bera brutalmente. Lei lanciò un grido di angoscia e di esultanza.

Suo padre cominciò ad agitarsi sopra sua madre. Era il coito di un verro su una scrofa, e tuttavia non aveva nulla dell’innocenza animale.

Kveld avrebbe voluto allontanarsi dalla finestra, voltare le spalle e fuggire, ma rimase a guardare, impietrito. L’indicibile oscenità dello spettacolo lo attirava come il precipizio che si spalancava sotto il punto più alto del fiordo. Le sue gambe erano pesanti, la sua anima piena di una gelida angoscia, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dai suoi genitori.

Lui, sacerdote di Cristo, concupiva quel demone che nella sua ipocrisia odiava, e lei, pagana nell’anima, libera come la sirena, amava quell’uomo che la odiava, pur desiderandola. Per Kveld, un mistero di inesplicabile orrore e tristezza. Nessuna creatura mostruosa delle antiche saghe poteva uguagliare quell’accoppiamento fra Dio e il Diavolo. Si sentiva violato, lacerato nel profondo da quello stupro immondo. Se l’unione fra uomo e donna era bellezza, come poteva la bellezza essere così sporca e malvagia?

Kveld riuscì a muoversi soltanto quando sua madre, rovesciando la testa nell’estasi e graffiando la schiena del marito, si mise a chiederne ancora.

Kveld corse a perdifiato nella luce livida della notte islandese, gemendo e tenendosi la mano martoriata che gli procurava una trafittura ogni volta che i suoi piedi percuotevano il terreno. Superò le ultime case e cominciò a inerpicarsi su per il sentiero che conduceva al cimitero vichingo.

La salita rallentò la sua andatura, ma lui non si fermò. Non si fermò fino a quando non ebbe raggiunto le sepolture dei suoi avi. Tombe immense e profondissime che contenevano vascelli capaci di prendere il mare, in cui erano inumati i corpi dei capi, degli eroi leggendari. Kveld sapeva che alcuni loro seguaci sceglievano volontariamente di morire ed essere sepolti con loro, per raggiungere prima il Walhalla. Interi vascelli armati con i loro godhar ed equipaggi giacevano là sotto: ma per quale paese erano in viaggio, quale mare stavano percorrendo? Le sepolture erano state ricoperte di terra e sormontate da cumuli piramidali di pietre. Pietre bianche che emergevano dalla luce bianca con un candore immateriale. Erano disposte in cerchi concentrici, come se i defunti potessero guardarsi e conversare in assemblea.