Quando riprendo conoscenza, non sono più nella mia stanza d’albergo, ma mi trovo legato a una sedia, con una forte luce puntata negli occhi. Sono circondato da uomini vestiti in completo d’affari e con i visi coperti da maschere antigas. Le giacche aperte lasciano vedere le fondine delle pistole.

Uno di loro sistema due casse acustiche e un microfono sul tavolo davanti a me.

«Vogliamo sapere tutto sull’organizzazione per la quale lavori, la Chiocciola» gracchiano le casse con voce priva personalità.

«La Chiocciola non esiste» farfuglio.

«Parla, altrimenti ti torturiamo.»

La luce si sposta per illuminare un altro tavolo sul quale si trovano gli attrezzi del mestiere: asciugamani e taniche di acqua, lunghe lame luccicanti, una batteria d’automobile e dei morsetti.

Sapevo che prima o poi quel momento sarebbe arrivato. Le bugie hanno le gambe corte.

Parlo.

All’inizio balbetto poi, man mano che l’effetto del narcotico passa, formulo meglio le frasi.

«La Chiocciola non esisteva, almeno non all’inizio. Lavoravo per i servizi segreti italiani. Dovevo stendere delle relazioni sulle organizzazioni criminali presenti in Europa.»

Non dico che ho avuto il posto solo perché mia madre era amica intima di un ministro.

«Per darmi importanza, mi sono inventato l’esistenza della Chiocciola. Ho fatto finta che ci fossero degli elementi in comune tra un paio di rapine e un omicidio, prospettando ai miei superiori l’esistenza di un’unica mano e un unico piano dietro quei crimini. Per rendere la storia più verosimile mi sono inventato un informatore che voleva vendere alla polizia informazioni sull’organizzazione.»

Scruto gli uomini là presenti per vedere se la notizia li meraviglia, ma sono come manichini dai volti tutti uguali.

La voce al microfono mi incalza.

«Continua.»

«I miei superiori decisero di infiltrare la Chiocciola con due agenti. Per paura di essere scoperto, ho fatto in modo che quei due credessero di essere stati reclutati dalla Chiocciola. Facevo pervenire loro gli ordini e mi inventavo delle missioni da compiere. Tutto facile, usavo email criptate. Ho dovuto incontrarli solo una volta, e avevo addosso un passamontagna per non farmi riconoscere.»

«A noi risulta che la Chiocciola abbia centinaia di affiliati.»

Esito. Siamo arrivati al punto più difficile da credere.

«Tutti i servizi segreti condividono informazioni con gli altri servizi, per cooperazione o per spionaggio. In breve tempo, metà dei servizi segreti e delle polizie d’Europa volevano infiltrare la Chiocciola, mentre l’altra metà l’aveva già fatto. Io ho fatto credere loro di averlo fatto.» Dico con una punta di orgoglio.

«Tutto da solo?»

«È stato facile.»

Non mi interessa più sapere se mi credono o meno. Voglio solo vantarmi.

«Già dopo un paio di mesi non ero più io a occuparmi del reclutamento dei nuovi membri, ma gli altri agenti già infiltrati. Questi, mentre fingevano di lavorare per la Chiocciola, ne portavano avanti gli affari: traffico di armi, spaccio di droga, delitti su commissione. Ogni nuovo infiltrato portava soldi con una nuova attività criminale, avviata e supportata dal suo servizio segreto di appartenenza, al fine di conquistarsi la fiducia della Chiocciola, che vedeva così allargata la sua sfera d’azione. Ci sono talpe che hanno scalato le gerarchie dell’organizzazione e portato avanti per anni gli affari della Chiocciola.»

«Portatelo da me» sbotta la voce, metallica.

Mi slegano e mi trascinano di peso in una stanza lì accanto. L’unica finestra ha le imposte chiuse e in alto c’è solo una lampadina che rischiari l’ambiente. Il loro capo sta seduto a una scrivania. Non indossa alcuna maschera. Lo riconosco. È il caposezione della Chiocciola che dovevo incontrare oggi.

«Ti chiedo scusa per il trattamento, ma volevamo verificare la tua fedeltà alla Chiocciola. Hai superato la prova. E i miei complimenti per la storia che ti sei inventato.»

Non me la sono inventata, penso.

Iniziamo a parlare di affari.