Una separazione, del regista iraniano Asghar Farhadi è l’ineccepibile dimostrazione filmata di almeno due cose: la prima è che la realtà non è mai semplicemente “o bianca o nera” ma sempre e soltanto grigia (con tutte le possibili sfumature all’interno della gamma…). La seconda e che “la cosa spaventosa è che a questo mondo ognuno ha la sue ragioni” (vedi La Regola del gioco).

Una coppia, nell’Iran di oggi, è in procinto di separarsi. Simin (Leila Hatami) vorrebbe lasciare l’Iran mentre Nader (Peyman Moadi), il marito, si oppone perché ciò significherebbe abbandonare il padre affetto da Alzheimer. A complicare le cose c’è Termeh, la figlia della coppia, indecisa con quale dei genitori restare. A tutto ciò si aggiunge la presenza di Razieh, una badante incinta che all’insaputa del marito accetta di assistere l’anziano malato quando Nader è al lavoro. Quando la badante perderà il bambino a causa di un alterco con Nader, le porte del tribunale si apriranno per accertare le responsabilità di ognuno…

Tutto qua? penserà qualcuno di fronte a del materiale buono per qualche insipida fiction TV...

Niente di più sbagliato, perché stavolta è la volta di un meteorite cinematografico venuto non tanto da lontano (ché il cinema iraniano bene o male è conosciuto qua da noi…) ma lo stesso capace di mandare in mille pezzi alcune certezze lasciandone intatte altre. A soccombere all’impatto saranno quelle sciocche credenze secondo le quali i capolavori devono per forza essere noiosi e che un film fatto con gli ingredienti di cui sopra sia incapace di appassionare dalla prima all’ultima scena, con buona pace di chi ancora pensa che il cinema iraniano sia per forza sinonimo di sospensioni e tempi morti (be’ forse Kiarostami qualche piccola responsabilità ce l’ha…)?

Le certezze invece che vi rimarranno intatte saranno quelle per cui quando un film è riuscito, in ogni sua parte, in ogni sua sfumatura, be’, qualcosa dentro ve lo dirà, qualcosa che seppure sepolto sotto una montagna di cattivo cinema troverà la forza e la strada giusta per scuotervi ed emozionarvi.

Una separazione è un film all'apparenza semplice eppure di una complessità che lascia stupiti perché nulla, ma proprio nulla, è come appare a prima vista. La forza del film è contenuta per intero nei diversi punti di vista che si alternano e che gettano nuova luce su fatti che sembravano oramai acquisiti. Come accadeva nel film precedente a questo, About Elly, ma stavolta in modo ancora più intenso, la matassa da dipanare si è attorcigliata davanti agli occhi dello spettatore senza che questi se ne sia accorto, frutto evidente di un lavoro esemplare prima di scrittura e poi di trasposizione, lavoro che pare essere stato guidato da un principio base, cioè il rifiuto di separare nettamente la colpa dell’uno dall’innocenza dell’altro.

Ne emerge un quadro umano di profonda complessità dove seppure risponde al vero la costatazione per certi versi amara che ognuno sceglie di omettere volontariamente parti rilevanti di verità per la salvaguardia di se stesso in primis e poi delle persone a lui care, tutto ciò, lungi dal diventare una sorte di peccato capitale finisce con l’aumentare il coinvolgimento emotivo dello spettatore con la vicenda stessa.

Se c’è qualcosa da aggiungere è che Farhadi dimostra di saper usare come pochi figure cinematografiche (anche…) come le ellissi (un punto cruciale che vede coinvolta la badante semplicemente non viene mostrato, tra l’altro senza dare troppo nell’occhio ricorrendo semplicemente ad un taglio di montaggio…) e le sospensioni (vedi il finale “aperto”). Così facendo Una separazione è sì uno spaccato dell’Iran di oggi dove spicchi di vita quasi indistinguibili da quelli occidentali coesistono con altri che lo sono meno (è lecito per la badante sfilare i pantaloni all’anziano malato per pulirlo?) ma al contempo è anche un thriller di grande efficacia, uno dei migliori di questi ultimi anni. Chi può si precipiti in sala a vederlo. Tutti gli altri se lo procurino in qualche modo…

Orso d'Oro per miglior film, Orso d'Argento per miglior attore e attrice e Premio della Giuria Ecumenica al 61 Festival di Berlino.