E’ in libreria Golpe (Corbo editore) la quarta avventura di Antonio Sanna, il “detective comunista” creato dalla penna di Vindice Lecis. Giornalista del gruppo L’Espresso e narratore, Lecis in questi anni ha proposto al pubblico un personaggio sicuramente originale nel panorama del giallo italiano, vale a dire appunto Antonio Sanna, un uomo d’apparato del Partito Comunista Italiano, membro dell’Ufficio Quadri.

Nelle storie di Lecis, che hanno la struttura e il ritmo della storia gialla, ma offrono anche interessanti ricostruzioni storiche, è impellente il desiderio di raccontare il compito di vigilanza democratica del

PCI negli snodi più importanti della storia italiana. Così, in “La resa dei conti. Per fortuna che c’era Togliatti” (2003, Ariostea) viene raccontata la difficile transizione verso la democrazia all’indomani della guerra, con la resa dei conti nei confronti del fascismo e le nuove trame di chi vorrebbe mantenere ad ogni costo i comunisti fuori dal governo, riciclando anche i vecchi arnesi del defunto regime, mentre in “Togliatti deve morire. Il luglio rosso della democrazia” (2005, Robin edizioni) si racconta dell’attentato al Migliore e dei suoi aspetti più oscuri. Con “Da una parte della barricata” (2007, Robin edizioni) si affrontano le tematiche legate alla svolta di Krusciov nel 1956, indagando anche sulle trame delle strutture occulte di rigida osservanza atlantica, per giungere infine a “Golpe”, l’ultimo nato. In questo romanzo “d’azione, passione e ideali”, si ripercorre il difficile momento storico coincidente col tentativo di colpo di Stato attuato da Junio Valerio Borghese e da esponenti dell’estremismo politico di destra nella notte dell’Immacolata del 1970. Tentativi di svolta autoritari, dissidi interni alla sinistra, vicende personali e storie di militanza si fondono in questo giallo dal ritmo incalzante e dalla struttura originale e ben equilibrata, che vede Antonio Sanna alle prese con la trama golpista, ma anche con una drammatica vicenda che lo toccherà molto da vicino, sullo sfondo di un’Italia in cui la democrazia vive una delle sue fasi di maggiore fragilità. Ne parliamo con l’autore…

Presentati brevemente…

Sardo di Sassari, 54 anni, giornalista da trenta tutti trascorsi nel Gruppo Espresso a lavorare in giro per l’Italia. Grande passione per la politica come religione civile. Lo studio della storia è l’altro mio grande interesse, di tutta la storia, da quella antica alla contemporanea. Si imparano molte cose.

Tu provieni dal mondo del giornalismo. Come sei approdato alla narrativa? Come mai hai scelto proprio  la formula del giallo? Secondo te, il giallo potrebbe essere per certi aspetti un “nuovo romanzo sociale”?

Da Salgari a Vittorini passando per Gramsci. Il mio itinerario di lettore adolescenziale comincia con l’avventura per approdare al neorealismo italiano con la scelta di leggere romanzi con una trama vera e non solo una melassa indistinta tra intimismo e figure disossate. Cimentarsi nella narrativa per un giornalista non è un salto facile, sono due attività solo apparentemente legate. La scelta di scrivere romanzi storici mette insieme diverse ossessioni, la prima certamente è il far emergere vicende solo apparentemente di fantasia e scavare anche nelle parti oscure della Repubblica. Il giallo, è vero, sta colmando il vuoto della letteratura sociale, sepolta dalle macerie della cosiddetta crisi delle ideologie. A patto di non indugiare in eccessi di fantasia che rendono poco credibile persino le stragi vere.

Ci sono autori ai quali fai riferimento? Quali scrittori ami e quali generi di libri prediligi?

Nella narrativa tra gli italiani contemporanei certamente Camilleri, ma anche Lucarelli, Fois. Suggestivo il primo Niffoi. Comunque anche tanti altri con frequenti incursioni tra i nostri classici. Preferisco comunque il romanzo storico, accurato e non quello che descrive l’antica Roma, ad esempio, e sembra di trovarsi sulla Quinta Strada. Tra gli stranieri ho sempre amato i sudamericani, curiosa anche l’esplosione dei nordici ma, come dice Camilleri, non hanno ironia.  I saggi storici su di me hanno più presa che certa narrativa.

Come è nato il personaggio di Antonio Sanna? Ti sei ispirato a qualche funzionario del vecchio PCI o è una figura totalmente di fantasia? Quale è  stato il suo percorso di vita all’interno dei romanzi che compongono il suo “ciclo”?

Figure come Antonio Sanna hanno popolato da sempre il vecchio Pci. Rivoluzionari di professione, come venivano chiamati un tempo, che con la loro proverbiale riservatezza e serietà alimentavano un’aura di leggenda su chissà quale apparato segreto. In realtà quei quadri, spesso di estrazione operaia, con stipendi da fame, col mito dell’onestà dedicavano tutta la propria vita alla causa degli oppressi, all’educazione alla democrazia, alla diffusione della cultura. Questo a prescindere dal giudizio storico o alle valutazioni che ciascuno può dare sul Pci. Come personaggio sarebbe stato a proprio agio nei romanzi di Pepe Carvalho del compianto Vazquez Montalban, tra i miei preferiti. Sanna è un dirigente dell’Ufficio Quadri, questo sì realmente esistito, abbastanza riservato e occhiuto. Lo troviamo nei precedenti romanzi impegnato a bloccare gli estremisti violenti della Volante Rossa nel 1946 (nella Resa dei conti), a tentare di evitare l’attentato a Togliatti nel 1948 (Togliatti deve morire), a indagare nel 1956 sulla nascita di Gladio nel momento terribile dell’invasione d’Ungheria (Da una parte della barricata).  Infine nel  1970, ormai cinquantenne, è alle prese col tentato colpo di Stato di Borghese (Golpe).

E nel corso di queste vicende anche il senso della sua militanza politica conosce momenti di crisi, evoluzioni, scelte dolorose...

Le crisi di coscienza di Sanna sono state parecchie. Una delle più brucianti è quando si rende conto nell'immediato dopoguerra di come la Repubblica proceda tra mille pericoli e non sempre dando risposte alle speranze nate dalla guerra di Liberazione, nel senso della giustizia sociale. E deve far fronte alle delusioni dei partigiani. Un'altra scossa arriva a farlo vacillare: l'invasione d'Ungheria da parte dell'Armata Rossa nel 1956 e la lettura del rapporto Krusciov al XX congrsso del Pcus sui crimini di Stalin. Tuttavia la sua risposta è quella di scegliere di stare da una parte della barricata, legando la sua vita alla storia e alla tradizione democratica dei comunisti italiani.

Sanna rappresenta il militante del Partito che soffre e combatte per una causa nella quale si identifica totalmente, fino a sacrificare parti importanti della propria vita. A tuo avviso, il suo è un modello di militanza ancora proponibile nei giorni nostri oppure è superato dai mutamenti del modo di fare e vivere la politica degli ultimi decenni? In questo caso, quale messaggio ci lascia un personaggio letterario come lui?

Sicuramente un uomo come Sanna sarebbe a disagio in epoche di degrado morale come questa. Ma sicuramente continuerebbe ad avere un atteggiamento pedagogico  instancabile, magari noioso, finalizzato all’organizzazione politica. In realtà rimpiangerebbe gli anni dell’impegno, ma non sarebbe un pensionato. Guarderebbe con angoscia ai tempi bui rinfrescando letture e analisi oggi dimenticate.

Nei tuoi romanzi vengono affrontati alcuni dei nodi più importanti della storia della democrazia del nostro Paese, con la sottolineatura del ruolo del PCI in chiave di salvaguardia dei valori antifascisti e resistenziali, ma anche con la difficoltà di superare scissioni e dissidi interni. Che cosa ti ha spinto a scegliere di raccontare proprio quei particolari momenti? 

Il rivoltante revisionismo storico imperante. Il Pansapensiero che, forse al di la dei suoi intendimenti, ha dato la stura a tutta una pubblicistica di rivisitazione priva di ricerca della storia. Il risultato è stata non una maggiore pacatezza e serenità, ma una costante falsificazione come l’equiparazione tra repubblichini e partigiani, tra borbonici e patrioti risorgimentali, tra democratici e golpisti. Un romanzo può poco, è solo una goccia ma può contribuire ad alimentare idee, passioni che qualcuno vorrebbe cancellare. Mi riferisco anche alle vicende del Pci, protagonista della lotta al fascismo e della costruzione della Repubblica e di tutta la letteratura del dopoguerra, oggi dimenticato persino da alcuni dei suoi timidi eredi.

Le tue ricostruzioni storiche sono puntuali e precise, senza appesantire il ritmo narrativo del romanzo. Come ti documenti? Quali fonti utilizzi?

Sul dopoguerra italiano attingendo dalle testimonianze personali e studiando i libri e i documenti frutto delle ricerche. Ad esempio sul caso Moro si stanno compiendo molti passi in avanti per comprenderne meglio il contesto, le complicità e le connivenze col terrorismo brigatista.

Il “golpe Borghese” è stato spesso liquidato come un tentativo velleitario di un gruppo di esaltati destinati al fallimento o, più probabilmente, manipolati nell’ambito di una più sottile e raffinata strategia della tensione. Tu come giudichi quegli eventi? Qual è il tuo punto di vista?

Il senatore Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione Stragi, nel 1995 seppellì sotto una montagna di prove documentali l’idea balzana che quello dell’Immacolata fosse un tentativo da operetta, opera di quattro giovinastri e pensionati. In realtà, grazie anche alla desecretazione di moltissimi documenti riservati americani, sappiamo molto. Oltre al terrificante piano che doveva portare all’instaurazione di un regime di tipo greco, all’occupazione della Rai, del Quirinale e dei ministeri, al rapimento di Saragat, all’omicidio del capo della polizia, al sequestro e alla deportazione dei capi della Sinistra, al sequestro di armi dal Viminale sappiamo che gli Usa avevano seguito con simpatia la nascita del tentativo golpista. I protagonisti di allora, li ritroveremo nella strategia della tensione, così come ritroveremo la figura di Licio Gelli.

Vedremo ancora Antonio Sanna? Puoi parlarci dei tuoi progetti futuri?

Sanna oggi sarebbe un arzillo novantenne.  Ma prima della pensione ha sicuramente operato nei punti di crisi e nelle zone d’ombra della nostra Repubblica. Pensiamo a che cosa è successo dopo il 1970 e c’è da rabbrividire. E’ possibile che Sanna abbia dunque lavorato parecchio. Altri progetti personali riguardano il filone del romanzo storico d’avventura collocato nell’antichità e inaugurato con Le pietre di Nur (2011, Robin). Sto curando gli ultimi dettagli di un lavoro tra storia e avventura con spruzzate di giallo ambientato nel poco conosciuto medioevo sardo. Nella ricerca preparatoria ho trovato cose fantastiche, curiose e travolgenti.

Vindice Lecis, Golpe, Corbo ed., 2010, pp. 244, € 12,00, ISBN: 889634610X