Non ci si lasci ingannare dal pallone ritratto (con malafede) nella locandina italiana: non si parla di calcio come gioco, in questo film, bensì di calcio come unico punto di contatto tra realtà difficilmente accettabili per noi “occidentali” e come unica speranza in un mondo che sembra averne dannatamente bisogno.

Con uno stile minimo e praticamente a costo zero, Offside (2006) – scritto e diretto dall’iraniano Jafar Panahi, apprezzato all’estero molto più che in patria, dove due suoi film sono stati proibiti – racconta la storia di alcune ragazze di Teheran che vogliono sfidare ogni più radicata convinzione sociale del loro Paese con un atto di pura follia: andare allo stadio!

Nessuna donna, di nessun’età e di nessuna estrazione sociale può recarsi allo stadio, senza nessuna eccezione. Il motivo è fumoso e, per noi che ne siamo al di fuori, davvero ai limiti della plausibilità: le donne non possono stare in mezzo a maschi estranei, e visto che in uno stadio sono tutti maschi estranei, ergo le donne non possono stare allo stadio. Non fa una piega...

Le protagoniste non sono d’accordo con questa logica, anzi: sono grandissime appassionate di calcio tanto quanto i maschi, e addirittura alcune fanno parte di squadre di calcio femminile... da cui ovviamente ogni maschio è bandito! (Le squadre femminili non possono andare all’estero, perché le donne non possono viaggiare, così ospitano squadre straniere... in cui l’allenatore maschio deve rimanere fuori lo stadio e dare consigli tramite cellulare!)

Così assistiamo ad una giornata speciale per la popolazione di Teheran: un’importantissima partita di calcio - che potrebbe portare la squadra nazionale a sfidare i campioni europei - vede l’afflusso di migliaia di cittadini allo stadio... comprese molte donne! Vestite in modo maschile, con larghe camicie e ampi cappelli - anche perché in ogni caso non possono mostrare le teste nude - queste ragazze coraggiose non stanno facendo una “marachella”: stanno rischiando la galera nel tentativo di entrare allo stadio!

Per alcune di loro il tentativo fallisce. Ci sono perquisizioni a campione, all’entrata dello stadio, e quindi sono le donne stesse ad autodenunciarsi per evitare di essere toccate da maschi.

Dopo i primi minuti, quindi, quasi tutto il resto del film si svolge in un posto di blocco dove alcune ragazze vengono tenute in stato di fermo, in attesa di essere portate in caserma. Il loro arresto non è avvenuto sotto gli occhi di giornalisti stranieri - come invece per un gruppo di donne con il velo, trattate con i guanti per evitare scandali internazionali - quindi il loro destino è tutt’altro che roseo. Inoltre una di loro ha avuto l’idea di vestirsi come un soldato, per passare inosservata, reato che potrebbe costarle addirittura la fucilazione!

Donne con caratteri diversi ma tutte accomunate da una passione: anche in stato di fermo, con la minaccia della galera o di peggio, non pensano ad altro che alla partita...

Lo stato di fermo permette ai soldati di confrontarsi con le prigioniere. I soldati non sono esaltati o integralisti: sono ragazzi normalissimi che non fanno altro che eseguire ordini e pensare ciò che è stato inculcato loro sin dalla nascita, senza chiedersi se abbia un pur vago senso.

La domanda viene ripetuta di continuo: perché le donne non possono vedere la partita allo stadio? Perché allo stadio gli uomini dicono parolacce, non adatte alle orecchie delle donne: una logica fallace chiederebbe agli uomini di contenersi, invece si preferisce impedire alle donne di essere messe in grado di ascoltare parolacce.

Poi i bagni degli stadi non sono adatti per le donne e sulle loro pareti ci sono frasi oscene che non sono adatte agli occhi delle donne: anche qui una logica fallace chiederebbe agli uomini di astenersi da atti incivili come scrivere oscenità sui muri, mentre invece è meglio impedire alle donne di guardarli.

È veramente difficile per un osservatore esterno riuscire ad entrare in questo dedalo di obblighi e divieti, ma il film consente di avvertire che, sotto sotto, questo macigno di limitazioni non basta a reprimere la speranza che le protagoniste portano nel cuore.

La partita di calcio dimostrerà che esistono momenti in cui uomini e donne, soldati e marmaglia, possono coesistere insieme e vivere liberamente: ma i novanta minuti finiscono presto, e tocca vedere cosa accadrà dopo.

Un film girato con poco ma con ottimi interpreti e soprattutto onesto: non attacca e non condanna, ma permette ad un osservatore esterno di capire il punto di vista di una società così particolare.