Come si ricorderà, dopo aver conquistato una vasta notorietà con le prime due serie di Un medico in famiglia, decise di abbandonare la sua strampalatissima famigliola per percorrere strade diverse: in altri termini per sfruttare il traino della popolarità televisiva per fare le cose che più gli piacevano (teatro, cinema, di nuovo tv in ruoli diversi).

Ma il demone di Lele Martini deve essersi impossessato di nuovo di lui perché, anche se nelle dichiarazioni alla stampa cerca di volare alto, è inevitabile riandare con la mente all’altra serie; ma in realtà, complici gli sceneggiatori e il regista (Alberto Simone, genero dello scomparso Nino Manfredi), Una famiglia in giallo sembra un esperimento di laboratorio in cui frammenti di numerosi serie italiane e straniere sono state assemblati nel tentativo di far salire l’audience: dimenticando che talvolta un programma diventa di successo per vie totalmente imprevedibili e il più delle volte sconosciute agli stessi addetti ai lavori.

Il nostro Giulio Scarpati è il commissario capo Giovanni Bentivoglio che lavora in una cittadina del Grossetano (la provincia italiana, da Il maresciallo Rocca a Don Matteo, da Carabinieri a Il bello delle donne, funziona sempre a livello sia di gialli che di commedie). È un single (il dottor Martini di Un medico in famiglia era in compenso vedovo) che non disdegna il fascino femminile (qui è il vicequestore, allora era la cognata) e che ha una famiglia simpaticamente aperta: la madre Caterina (interpretata da Valeria Valeri) impicciona e appassionata di gialli (una miscela tra La signora in giallo, un nonno Libero al femminile e il Nino Manfredi di Linda e il brigadiere, quest’ultima serie  peraltro diretta dallo stesso Simone); Pietro, un nipote orfano dei genitori che vive con lo zio (una situazione quasi simile nella famiglia Martini), anche lui appassionato di indagini; un pastore tedesco, Brigadiere (il nome è un omaggio al già citato Manfredi, ma la citazione al limite del plagio è del famoso Rex austriaco), che, essendo un ex cane poliziotto, non ha perso ancora il vizio di frugare qua e là; completano i rapporti affettivi un’amica col matrimonio in crisi e con una figlia assai amica di Pietro.

Sul lavoro un pugno di collaboratori caratterizzati più sul versante della commedia che del thriller (più vicini insomma a Carabinieri che a Distretto di polizia) e una nuova dirigente, il vicequestore Emma Caponero (l’attrice Milena Miconi), con la quale il nostro commissario inizia subito un duello sentimentale al fioretto che dovrebbe sfociare alla fine in un lieto fine (e qui la scelta è vasta: si è strizzato l’occhio a Carabinieri o a Don Matteo dove la stessa Miconi interpreta un sindaco che cede al fascino del locale capitano dell’Arma? O lo scontro iniziale coi suoi sottoposti è filtrato da Distretto di polizia?).

Il telespettatore appena un po’ smaliziato non può fare a meno di riconoscere queste (e altre) citazioni: per una decina di minuti si diverte, per un’altra decina sopporta pazientemente, poi si concentra sulla vicenda, ma è peggio che andar di notte.

Come abbiamo già sottolineato altre volte in altre sedi, la miscela “giallo + commedia all’italiana” che tanta fortuna ha avuto in Italia da diversi anni a questa parte, acquista valore (e sapore) se c’è un attore carismatico (pensate a Gigi Proietti, allo stesso Manfredi, anche al Pino Caruso delle prime serie di Carabinieri) che si carichi sulle spalle il pesante fardello di una narrazione sempre in bilico tra i due registri e quindi potenzialmente in grado di scontentare gli appassionati dell’uno o dell’altro genere. E del resto, a ben vedere, lo stesso successo di Un medico in famiglia doveva moltissimo (e lo hanno dimostrato le due serie senza Giulio Scarpati) all’esperienza di un Lino Banfi finalmente liberato dalle commedie pecorecce degli anni Settanta e capace di giostrare su una vasta gamma di interpretazioni, dal comico al malinconico.

Certo, qui c’è Valeria Valeri che cerca di dare il suo contributo, ma nel complesso il prodotto stenta a decollare forse per la fredda determinazione degli ideatori della serie di calibrare a tutti i costi la ricetta perfetta per il successo. Invece le vicende poliziesche non avvincono e si trascinano un po’ stancamente mentre tutti (dai personaggi in scena ai telespettatori a casa) sembrano aspettare il momento in cui il bel commissario e il bel vicequestore troveranno il modo (almeno) di baciarsi.

Certo, in giro c’è di peggio, ma forse da una rete generalista e “ammiraglia” come RaiUno ci si poteva aspettare di più. O la concorrenza con Canale 5 (che trasmette non a caso il modesto Carabinieri) le fa male?

 

Voto: 5