Il nome di Antonio Bellomi viene associato principalmente a grandi collane editoriali da lui curate e da un gran numero di romanzi e racconti che portano la sua firma, ma il suo impegno nell’editoria italiana non si ferma qui ed è stato anche un traduttore inter-genere.

L’abbiamo incontrato per parlarne.

I fan della fantascienza (ma non solo) ti conoscono bene sia come autore che come curatore, ma sei anche un traduttore di lunga data: lo sei diventato per scelta o ti ci seri trovato in mezzo?

Mi ci sono trovato in mezzo, mi sono pagato l’università traducendo e poi alla fine ho scoperto di avere un mestiere in mano

Nel 1970 per La Tribuna hai affrontato un mostro sacro come Robert A. Heinlein e il suo romanzo “Starman Jones”: cosa ricordi di quell’esperienza?

È stata dura. Heinlein è facilissimo, ma per un traduttore alle prime armi qualche problemino c’è.

Nel 1990 fai filotto: traduci Robert Bloch per la Mondadori (“L’incubo di Lori”), Isaac Asimov per la Longanesi (“Il mostro subatomico”) e Le Grandi Storie della Fantascienza 3 per Bompiani: che effetto ti ha fatto essere nell’occhio del ciclone di firme così autorevoli?

Ormai ero smaliziato e non mi faceva grande effetto avere a che fare con un grande autore. È tutta routine. Mi interessava di più ciò che scrivevo io

Dai libri sui “misteri misteriosi” alla politica, dalla fantascienza alla saggistica, sei un traduttore che non si è lasciato sfuggire nulla: cambiavi volutamente generi per non fossilizzarti o non eri tu a poter scegliere?

Per sopravvivere e non impazzire bisogna cambiare genere. E poi a tradurre sempre la stessa zuppa mi annoia. Quindi cercavo di cambiare. Aggiungi anche economia, finanza e medicina. Non so come Curtoni sia riuscito a tradurre fantascienza per anni e anni.

Non mancano traduzioni di giallo-thriller, come “L’angelo delle tenebre” di Stephen Gallagher (Interno Giallo 1994) e “Frank Carlucci investigatore” (Mondadori 2000): come ti trovi a tradurre questo genere, dopo averne scritto?

Routine e basta.

Con la svolta del Duemila inizi a tradurre anche il romance mondadoriano: come ti sei trovato con questo genere molto prolifico?

C’era un po’ di crisi in giro e ho approfittato di questa possibilità. Fra l’altro devo dire che ci sono stati anche testi piacevoli e avventurosi, come quelli della Potter.

Ti è mai capitato di tradurre un autore di cui proprio non sopporti lo stile? Dopo la traduzione hai poi cambiato idea?

Papert Seymour (I bambini e il computer, Rizzoli) è stato tremendo, io con la sociologia non ci so fare molto.

C’è stato un testo che più ti ha fatto ammattire nel tradurlo? E uno invece che ti ha particolarmente divertito?

Il Papert come ho detto, Mi hanno interessato invece, i libri della serie Attraverso il mondo del Touring Club, Il Guinness del denaro di Durkling e Room, i Report annuali dell’Economist, e i romanzi di spionaggio di Mark Abernethy.

C’è stato qualche romanzo che, traducendolo, hai avuto una gran voglia di aver scritto tu?

Starman Jones, direi e i tre di spionaggio di Mark Aberneth (Golden Serpent e gli altri).

Ti è mai capitato di avere una gran voglia di “aggiustare” qualche passaggio mal scritto?

L’ho fatto spesso, soprattutto coi romanzi rosa che a volte sono buttati giù in fretta e le frasi mancano di conseguenze logiche.

Hai avuto modo di contattare gli autori che hai tradotto? Ti sono stati d’aiuto nella resa in italiano?

Mark Abernethy, ma solo dopo che avevo tradotto i suoi libri.

Per finire, qual è il libro (o la serie di libri) di cui vai più fiero di aver curato la traduzione?

Forse Womack, la Macchina che ha cambiato il mondo, perché ha avuto la prefazione di Agnelli.