Caleb Battiago irrompe nella narrativa pulp italiana con Naraka - edito da Mezzotints - super genere futuristico che strizza l’occhio a fonti diverse, cinematografiche e letterarie per creare una originalissima formula personale con cui presto la scrittura d’intrattenimento italiana dovrà fare i conti.

Vediamo di conoscere meglio lui e la sua opera.

        

Caleb Battiago nome reale o pseudonimo? In quest’ultimo caso perché?

Caleb è uno pseudonimo. A cosa mi serve? Consideralo uno scudo oscurato, o meglio: un’astronave senza cittadinanza. Mi offre libertà di espressione e una virtuosa, creativa bipolarità. Caleb è una plancia piena di pulsanti bastardi, collegati ai nervi scoperti del lettore. Insomma, una calamita per le maledizioni. Complicità, sporcarsi le mani insieme, questa è l’alchimia.

Potrei fare le stesse cose col mio nome? Forse. Ma quando è Caleb sulla tastiera, le cose sembrano cambiare. Diventa più vivo di me, di un mucchio di carne e ossa con nome e cognome. La targa dietro al culo non è poi così importante. Contano i giri del motore, le destinazioni. I passeggeri che salgono a bordo, che arrivano fino in fondo. Ho lasciato a Caleb uno spazio tutto suo, dentro di me. Ora non riesco più a riprenderlo. Lui tira forte dalla sua parte. In pratica mi ha fottuto.

        

Se dovessi applicare l’etichetta di un genere a “Naraka” in quale sezione lo inseriresti?

Odio le etichette, sono come le confezioni del supermercato. Bistecche seriali. Naraka è un romanzo di genere che cerca di rompere i generi.

        

Come è nata la tua passione per la scrittura?

Leggendo voracemente, da sempre e di tutto. Cercando di rompere i generi anche nella mia testa. Poi ho deciso di rompere in prima persona. Ci sono riuscito?

        

Precedenti pubblicazioni?

Uhm, come ti rispondo? Faccio il furbo: Naraka è, senza dubbio, l’opera prima di Caleb. Non scaviamo oltre, questa domanda è un autovelox mascherato, vuoi fotografarmi in primo piano, vero? Svelare nome, faccia e tutto il resto.

Magari poi mi becchi con una compagnia sconveniente sul sedile del passeggero. Insomma: tette e cosce poco regolamentari. Cose del genere. Non mi piace essere reticente, ma fammi restare in questa tentacolare parte di me stesso, al buio.

        

Modelli di riferimento tra cinema, e narrativa... parlaci un po’ dei tuoi modelli e di come li hai elaborati.

I modelli sono molti, ma si riferiscono solo alla narrativa al cinema, ma anche ad altre arti, come la pittura, la scultura, il teatro. Una tela, se si decide di avvicinarla, è complessa quanto un romanzo. Nasconde centinaia di pagine da leggere, ma non sono scritte con parole, lettere. Si raccordano ad altri sensi, più profondi, sono vie diverse alle emozioni. Un linguaggio di accessi, di scambi tra autore e osservatore, molto dinamici. Quindi tra i miei modelli dovrei elencare i vari Cezanne, Munch, Beckett, Ingres, Checov, Modigliani.

Ma torno subito alla narrativa. Molti autori hanno segnato la mia esperienza, ovvio, ma preferisco citarne solo tre, per raccordarmi alla tua specifica domanda sul linguaggio: William S. Burroughs, John Fante, Chuck Palahniuk. Dovrei andare parecchio oltre questo triumvirato, per altri elementi narrativi. Non entro nel discorso di modelli di immaginario, di struttura, di finalità, altrimenti servirebbe un elenco telefonico.

Come elaboro i modelli? Ognuno porta qualcosa, un pezzettino. Considera la cosa come una catena di produzione, tante macchine e uomini che si occupano di un singolo componente. L’incompleto che corre su un nastro trasportatore, arriva alla fine, dopo vari interventi, al confezionamento finale. Immagino un Hemingway alla saldatrice, ad esempio, parlando di struttura, di collante. Oppure Knut Hamsun alla etichettatrice, che stampa sul retro gli ingredienti della solitudine e delle illusioni. Gli potrebbe dare una mano Scott Fitzgerald. Una catena di montaggio di modelli, insomma.

Per il cinema: pensando al discorso cinetico immagino alcune scene e montaggi di Rodriguez, Tarantino, Sergio Leone. Se invece parliamo di turbolenze interne allora vanno bene illuminatori come Truffaut, Bergman, Wenders. Per le atmosfere approfitterei delle nebbie di Herzog, per la portata collettiva del progetto mi prendo Kubrick. Ma, per l’immaginario, gli sfondi che animano il tutto, afferro le tele in movimento di Kurosawa o i mondi deliranti e simbiotici, così rarefatti, di Tsukamoto.

        

Sembra evidente che “Naraka” non è destinato a restare un caso isolato nella tua produzione, la raccolta di racconti “Acrux” ne è la conferma. Puoi parlarci del progetto con qualche anticipazione.

Acrux è un progetto free download per Natale, un modo per ringraziare i tanti lettori di Naraka. Tutti quei pazzi che hanno ficcato il naso (e non solo) in quel maledetto posto. Acrux conterrà tre brevi racconti inediti: Polaris, Acrux e Lesuth, oltre ad alcuni estratti di Naraka e del nuovo romanzo in uscita a fine gennaio: Shanti - La città santa. L’idea dei tre short di Acrux è quella di raccontare un triangolo “rosso” con gli occhi dei tre protagonisti. Tre racconti diversi, che in realtà sono derive, estensioni, diramazioni della stessa vicenda.

        

L’uso del linguaggio. Si nota una vera ricerca stilistica con risultati anche abbastanza differenti tra il romanzo e i racconti. Vuoi svelarci qualche dietro le quinte di questa importante fase tecnica?

Non credo al linguaggio universale, a panacee stilistiche. La storia della “voce dell’autore” per me è una cazzata. La verità è che si tratta di un limite, di una detenzione volontaria. Lo stile dovrebbe essere qualcosa di mobile, di mimetico, in grado di adattarsi alla caratura del progetto narrativo, per poi scendere nella pelle della storia e dei personaggi.

Un lavoro di ricerca, soprattutto di scelte, che svolgo dinamicamente sia in fase di progettazione che di stesura. Questo non significa però che ami masturbarmi per ore alla ricerca di inutili barocchismi, fini a se stessi.

Si tratta di scelte in funzione della storia e del lettore.

Ma è anche necessario adottare soluzioni eterogenee, anfibie. Soprattutto in un romanzo, che rappresenta una prospettiva di comunicazione a tutti gli effetti.

Le differenze stilistiche tra Naraka e i racconti di Acrux? Meno male che si notano, sono progetti molto diversi. Gli short di Acrux vogliono penetrare la psicologia, gli archetipi dei personaggi. Il linguaggio è studiato in modo da rappresentare queste turbolenze interne.

Naraka è una cosa molto diversa, come romanzo segue strade multiple. I personaggi si raccontano in prima persona. Lo stile è secco, tagliente, incisivo, meno elaborato. Qualcuno direbbe più pulp.

In realtà esiste un elemento comune nel linguaggio, anche in opere di diversa natura: la componente cinetica, quella che guida l’esperienza “interattiva” del lettore. Ecco: questa cerco di spingerla al massimo.

Ma in questo caso si sfora dal discorso linguaggio, arrivando al taglio della struttura narrativa. Sono aree in cui il lavoro del linguaggio e della struttura in parte si sovrappongono.

Ma mi fermo qui, altrimenti mi allontano troppo dalla tua domanda.

        

Cosa pensi del digitale come futuro per l’editoria?

La vedo come una opportunità. Un settore in crisi che deve rinnovarsi, la via digitale porterà nuova linfa. Ma a prescindere dalle tecnologie, che offriranno sempre più interazione e condivisione dei contenuti, qui in Italia bisognerebbe anche rivedere l’approccio editoriale, sia in termini di selezione che di proposta. Un supporto, quale che sia, non crea da solo la qualità. La può semplicemente rendere disponibile in modo più semplice.

        

Pensi di proporre il tuo materiale anche in forma cartacea?

Certo, ma questo dipende dagli editori, più che da me. Quando sento agenti ed editori affermare (e non gli tremano le gambe) che oggi il mercato non vuole libri difficili, “cose che fanno pensare”, allora penso che quello non può essere il mio mercato. La narrativa, anche quella di genere, non può essere ridotta a semplice intrattenimento. Deve divertire, certo, ma anche far pensare. Forse sarò obsoleto, legato a un vecchio modello di letteratura e della sua funzione. Ma me lo tengo stretto, me ne frego.

Lascio il cosiddetto “mercato”, se è quello, agli altri.

       

Per finire quali sono i prossimi appuntamenti?

Oltre alla raccolta Acrux, che uscirà in formato ebook (in free download) il 20 dicembre, in pieno clima natalizio, sto terminando un nuovo romanzo, che ti ho già citato: Shanti - La città santa. Un prequel di Naraka, ma non solo. Il mondo narakiano uscirà dalla Parigi apocalittica e dal carcere mattatoio sulla Luna. La deriva del pianeta sarà raccontata con un approccio più esteso, quindi: nuovi scenari e locations, vecchi e nuovi personaggi, le Americhe, un post-deserto, un paradiso virtuale inaccessibile. Che altro? Molto, ma dovrete leggere il libro. Uscirà in formato ebook per Mezzotints a fine gennaio 2014.

Ma sono in arrivo altri progetti: dovrò lavorare, in primavera, per un episodio di una serie (non posso dirti di più), poi sto gettando le basi di un nuovo romanzo, stavolta fuori dalla serie Naraka, che (spero) sarà pubblicato prima dell’estate.

Infine un appuntamento molto affascinante, a dicembre 2014. Gli amici di Mezzotints mi hanno coinvolto in una antologia di racconti horror che sarà pubblicata direttamente in lingua inglese, Dark Flight. Sono onorato di far parte di un grande “dark” team italico, insieme ad autori come Alan D. Altieri, Gianfranco Nerozzi, Danilo Arona, Alda Teodorani, Paolo Di Orazio e tanti altri.

Insomma, “c’è parecchia carne al fuoco”, giusto per restare in tema antropofagico narakiano. Buon appetito!

        

Grazie per questo spazio, potrai contare su una raccomandazione, in caso di un eventuale trasferimento nel Naraka. Se non ci si aiuta tra amici...