Anche 007 festeggia il gay pride? Sì, ma non per via del machismo sospetto, che in James Bond adombrerebbe l’opposto, come nell’esilarante parodia del critico letterario Cyril Connolly, ricalcata negli anni Sessanta sulle tesi di psicologi inviperiti e sociologi spiazzati da un successo refrattario ai tentativi di definizione. Nemmeno per quella criptica affermazione del suo omologo cinematografico, che in Skyfall, l’ultimo film del ciclo, adombra la possibilità di avere avuto a suo tempo rapporti omosessuali.

Qui si parla degli autentici agenti segreti, quelli della CIA. Nell’era del politically correct decadono gli imperativi bigotti della «maggioranza silenziosa», espressione coniata proprio alla Casa Bianca, ma in ben altra epoca, da Spiro Agnew, Vicepresidente di Nixon. Viene abrogata la disposizione che precludeva ai non etero la security clearance, il nullaosta di sicurezza, indispensabile per la professione di spook, letteralmente fantasma, ovvero spia.

È delle scorse settimane un’arringa memorabile a Langley, in Virginia, sede centrale dell’Intelligence Agency americana. Il deputato democratico Barney Frank, omosessuale dichiarato, ha preso la parola nella cerimonia che sanciva l’evento: «Il fatto che io sia qui alla CIA a tenere un discorso nel mese dell’orgoglio gay è già un segno reale del progresso».

Ma si tratta di un atto ufficiale che sancisce quanto voluto dalla Casa Bianca già nel 1995, con un decreto esecutivo firmato dal Presidente Clinton. L’anno successivo, nei ranghi delle spie sorgeva l’Angle, Agency Network of Gay and Lesbian Employees, associazione di categoria degli omosessuali. La logica fase dell’outing, la franca dichiarazione pubblica del proprio orientamento.

         

Certo, l’ostracismo in questo settore non nasceva solo dai retaggi. Gli annali dello spionaggio sono pieni di casi che a lungo parvero comprovare il binomio omosessualità/tradimento. Si pensi ai famosi cinque di Cambridge, infiltrati negli anni Quaranta e Cinquanta ai vertici dell’Intelligence britannica: Philby, Cairncross, Burgess, McLean, e Blunt, conservatore dei quadri di corte. Gli ultimi tre erano gay. Giovani cresciuti negli agi, che per stemperare la noia cercavano emozioni ancora più forti, come il tradimento. Tutti ex colleghi universitari, aderenti all’esclusivissima fraternità studentesca degli Apostoli. Finiti a spiare per Mosca, infliggendo gravi perdite umane all’Occidente negli anni più bui della Guerra Fredda.

Per quanto la loro adesione al comunismo e agli organici del KGB fosse frutto di una scelta anticonformista tipica della upper class britannica, le disinvolte abitudini di alcova non giovarono al mantenimento di un’esistenza scevra da sospetti. Tanto che lo scandalo delle loro defezioni fu pari a quello della rivelata omosessualità. E i sovietici giocavano sulle ipocrisie moralistiche dei nemici occidentali organizzando speciali unità di seduzione per soggetti considerati ricattabili. Vóron, ovvero “corvo”, era la denominazione degli agenti di Mosca incaricati di attirare con le proprie grazie non solo donne, ma anche uomini dell’altra parte da cui spillare informazioni. Perfino più sottile della lástocka, la rondine, tradizionale femme fatale, cui Mata Hari prestò il ruolo per antonomasia.

Alan Turing
Alan Turing
L’ossessione dell’omosessualità investì anche la figura e l’opera del genio matematico Alan Turing, inventore del personal computer. Nonostante il suo successo nella decrittazione del codice tedesco Enigma a Bletchley Park, l’establishment non accettò mai la sua omosessualità. Isolamento che spinse l’uomo al suicidio.

Il concetto di servizio segreto nasceva da quello di club esclusivo. Come lo furono The Room (la stanza) e il Walrus (tricheco), due associazioni newyorkesi che negli anni tra le due guerre svolsero di fatto le mansioni di organismi privati di spionaggio, con tendenze fortemente anglofile. Istituzioni nelle quali confluiva da adulta la migliore élite universitaria. Perciò anche gli americani provarono a reclutare negli atenei, con risultati migliori. Le specializzazioni accademiche fornirono all’intelligence di Washington ottimi analisti di informazioni. Ai quali si è ispirato Tom Clancy per inventare il suo Jack Ryan. Considerato che il grosso del materiale proveniva dai satelliti e da altre fonti elettroniche.

          

Non che negli Stati Uniti fossero immuni dal “vizietto” sempre rinfacciato ai cugini britannici.

J. Edgar Hoover, il mitico fondatore e capo dell’FBI, per contrappasso ai dossier riservati che accumulò su mezzo mondo, fu a sua volta sospettato di omosessualità. Il che, pare, lo esponesse a pressioni di ogni sorta, non solo da parte della criminalità organizzata. Di certo, ebbe un legame imperituro con Clyde Tolson, suo assistente personale.

Non si arrestano a questo i mutamenti genetici dello spionaggio, terminata da oltre dieci anni quella che nel titolo di un recente volume di Richard Crockatt viene giustamente definita The Fifty Years’ War, la guerra dei cinquant’anni, la suddivisione del mondo in due blocchi.

Novità anche per l’altro organismo tentacolare dello spionaggio, la NSA, National Security Agency, con sede a Fort Meade, nel Maryland. Un’estensione di 11 acri, dove antenne e impianti sofisticatissimi intercettano tutte le comunicazioni planetarie. Sarebbe lo scenario ideale per “Q”, l’infernale vecchietto interpretato dall’attore Desmond Llewelyn che nel ciclo di film su 007 prepara i marchingegni dell’agente segreto. Nella realtà, la NSA si occupa prevalentemente di ELINT, electronic intelligence, di concerto con il GCHQ, Government Communications Highquartes di Cheltenham in Inghilterra, nonché analoghe installazioni, dal Canada all’Australia e alla Nuova Zelanda. Il tutto a comporre l’inquietante mosaico di Echelon, il megaorecchio puntato su tutta la Terra. Scenari dove la leggenda metropolitana viene confermata dapprima da inchieste giornalistiche, quindi da rapporti ufficiali e infine da un’inchiesta ufficiale aperta dalla Procura di Parigi, affidata alla DST, il servizio segreto interno francese.

Comunque, la NSA ha deciso di appaltare a privati le attrezzature, con la perdita di 1500 posti. Mobilità e downsizing, ridimensionamento dell’organico, anche nello spionaggio. Meno male che c’è una salvaguardia: i licenziati dovrebbero venire riassunti dalle industria che si aggiudicheranno i nuovi contratti di fornitura. Quanto al GCHQ, ha deciso di reclutare nuovo personale tramite quiz matematici immessi tempo fa su Internet.

         

Anni fa fece notizia il fatto che la CIA avesse bisogno di nuovi agenti in organico. Con tale impellenza da far pubblicare annunci su periodici internazionali. Spie reclutate per inserzione? La pubblica offerta di assunzione per agenti segreti smentisce il catastrofismo di Ronin, il film interpretato da Robert De Niro, dove si dipinge una crisi occupazionale per quella che lo studioso inglese di spionaggio Phillip Knightley ha definito «la seconda più vecchia professione» (sottintesa, dopo quella delle lucciole).

Nella vicenda sullo schermo, la fine della Guerra Fredda gettava sulla strada la manovalanza segreta dell’intelligence, che adotta il comportamento dei samurai rimasti senza padrone, detti appunto “ronin”. Le tombe di 47 di loro sono venerate da eroi nazionali nel tempio giapponese di Sengaku-ji, in memoria del suicidio rituale che commisero nel 1704 per autopunirsi dell’uccisione del cortigiano responsabile di aver assassinato il loro signore.

Ma gli agenti segreti, anche quelli classici del mondo bipolare ormai estinto, sono molto più pragmatici. L’esperienza e il know-how accumulati nel corso del servizio attivo, li pongono in condizione di ricevere ottime offerte lavorative al momento del ritiro. Per esempio come consulenti di sicurezza nei grossi gruppi industriali. O organizzatori di operazioni clandestine per i troppi dittatori persistenti su un pianeta globalizzato solo sul piano delle merci e dei consumi, mentre per il resto ancora tribale e bellicoso. Né, d’altronde, i presunti ronin erano stati samurai sul campo, disposti a immolarsi per l’ideale superiore. Non occorreva John le Carré per svelarci le tortuosità del Grande Gioco, come lo chiama Ruyard Kipling nel romanzo Kim. Ci aveva pensato il responsabile del controspionaggio della stessa CIA, il celeberrimo James Jesus Angleton, a usare l’espressione «foresta di specchi».

Chiunque, o quasi, era disposto a cambiare campo quando veniva “bruciato”, ovvero smascherato. Il che non esclude l’eroica dedizione di altri, che scelsero di combattere fino al sacrificio per la propria parte.

           

Comunque, i buoni non erano tutti da un lato e i cattivi al di là del muro.

Piuttosto i nuovi metodi di reclutamento e le aperture di mentalità con l’inclusione a pieno titolo dei gay dimostrano l’accresciuta necessità di mantenere in forze un esercito segreto di professionisti, indispensabili a preservare gli equilibri di un mondo sempre più instabile. Superando definitivamente gli errori del passato, allorché le spie venivano reclutate per cooptazione, alla ricerca di un improbabile, se non impossibile, pedigree. Le aristocrazie delle grandi potenze coccolavano i rispettivi rampolli con la promessa di una vita all’insegna del prestigio e dell’intrigo di alto bordo.

Sidney Reilly
Sidney Reilly
La figura di James Bond, assieme al suo curriculum di belle donne, auto veloci e alberghi di primissima categoria, non nacque per caso nella mente di Ian Fleming. Derivava dai modelli reali di Sidney Reilly, agente nella Russia neobolscevica sullo scacchiere della prima guerra mondiale. Finché Dusko Popov, triplogiochista di origine jugoslava non fece notare nella sua autobiografia che un vero Bond sarebbe troppo appariscente nel vero mondo delle spie. Dunque, è il momento degli individui comuni, quelli che l’hi-tech e, perché no, le palestre, mettono in condizione di lavorare sotto copertura. Portandosi dietro il bagaglio del suo vissuto. Compresi tic e attitudini sessuali che non dovrebbero influire sul rendimento. Perché forse i servizi segreti hanno compreso che anche da loro ci si attende produttività, non trame labirintiche e suggestioni anacronistiche.