Lady Dexter, la traduttrice italiana dei romanzi con il serial killer più famoso degli ultimi anni, arriva in edicola con un romanzo imperdibile, Tutto quel nero (Il Giallo Mondadori n. 3041).

Lei è Cristiana Astori, e l’abbiamo incontrata per parlare di un po’ di tutto il nero riversato nel suo romanzo!

Come nasce il tuo libro? Voglio sapere tutto su quel nero!

Innanzitutto mi piaceva l’idea di scrivere una storia incentrata su Soledad Miranda, un’attrice di film horror erotici amata da Quentin Tarantino e morta nel 1970 in circostanze misteriose. Senza contare che Tutto quel nero è un po’ la summa di alcune mie manie: il cinema, il noir, l’horror, i fantasmi. L’idea era di metterle tutte insieme, creando una storia che fosse una sorta di contaminazione tra i generi, a cavallo tra il mystery e il paranormale. La spiegazione finale, però, volevo rimanesse all’interno della razionalità, nello spirito di alcune avventure di Arthur Conan Doyle. Anche perché stiamo sempre parlando di un Giallo Mondadori, non di un horror alla Stephen King!

Se non sbaglio questo è il tuo primo romanzo ampio e complesso: cosa si prova a passare dai racconti al romanzo lungo?

Un senso di sollievo, senza dubbio. Infatti la maggior parte dei racconti che ti commissionano per le antologie devono essere brevissimi. All’inizio la cosa ti fa piacere perché credi che la tua idea sia circoscritta, poi ti accorgi che hai bisogno di molto più spazio e alla fine del racconto ti tocca fare l’avvocato del diavolo di te stesso e tagliare un sacco di scene e dialoghi a cui tieni. Nel romanzo tutto ha un altro respiro, e i personaggi acquistano una vita complessa e uno spessore diverso. Sono comunque un’amante dello stile semplice e asciutto, all’americana e della sintesi, se necessaria. Io stessa in fase di revisione di Tutto quel nero ho tagliato quasi un centinaio di pagine, specie quelle che contenevano citazioni ed episodi cinefili che appagavano il mio animo nerd, ma mi avrebbero fatto odiare dal lettore comune.

Fra il “materiale pubblicitario” del romanzo ho visto foto scattate da te a pellicole, abiti, luoghi geografici e molto altro: insomma, più che una documentazione hai fatto una “full immersion” nella tua storia...

La "pellicola maledetta"
La "pellicola maledetta"
Tutto quel nero non è soltanto una storia legata al cinema, ma più profondamente al potere dei ricordi nel nostro inconscio. E l’inconscio, come teorizza Freud, si articola attraverso immagini, proprio come il cinema. Insomma, film e psiche fanno parte di un circolo vizioso che si autoalimenta, la cui chiave è l’immagine. Per questo ho pensato che l’unico modo per parlare di Tutto quel nero senza raccontarlo fosse attraverso le foto, o meglio, i fotogrammi. Quelle immagini però non le ho scattate io, che con la macchina fotografica sono un vero disastro, ma le ho trovate sul web e poi elaborate. A parte ovviamente la pellicola maledetta che ho immortalato di persona al momento del ritrovamento.

Il libro ci fa conoscere meglio una cinematografia ben precisa: è una tua passione personale?

Certo, il cinema sotterraneo o cinema bis mi ha sempre appassionato per il modo crudo e insieme ingenuo di raccontare, per la sua violenza straniante e anche surreale, quasi fiabesca. Oggi tutto è più patinato e addomesticato, e il buonismo insieme a mirabolanti effetti speciali ha sottratto mordente a molte pellicole. Apprezzo invece i registi che, indipendentemente dal genere, raccontano senza compromessi, con una potenza che quasi ti dà le vertigini e ti fa vedere in trasparenza. Ho appena visto il recentissimo Drive di Nicolas Winding Refn: lui è uno di questi. E poi ci sono David Cronenberg, John Carpenter, David Lynch le cui suggestioni, insieme a quelle del cinema anni Settanta, hanno ispirato molte atmosfere del mio romanzo.

 

Cristiana Astori
Cristiana Astori

Una domanda per la traduttrice dei libri di Jeff Lindsay: se Dexter leggesse il tuo romanzo, cosa pensi che direbbe?

Sono certa che non gli piacerebbe. Innanzitutto l’assassino strangola le sue vittime con una pellicola. È risaputo che la celluloide è decisamente meno resistente e poco maneggevole rispetto a un bel cappio fatto con il filo da pesca... e poi vogliamo mettere il freddo fascino di una lama rispetto a una Colt inutile e chiassosa? Ma forse questi dettagli potrebbero ancora passare, se non ce ne fosse uno, imperdonabile: è forse possibile che in Tutto quel nero nessuno, ma proprio nessuno, mangi ciambelle?

Sempre a proposito di traduzione, se questo libro venisse tradotto all’estero vorresti esserne resa partecipe? O magari vorresti essere proprio tu a tradurlo?

Sicuramente non vorrei essere io a tradurlo, perché pur conoscendo la lingua mi sfuggirebbero molti costrutti ed espressioni. Infatti la traduzione è sempre un adattamento anche alla cultura e ai modi di dire del paese di chi lo legge ed è giusto che sia fatta da una persona madre lingua. Mi piacerebbe però che venisse dato nelle mani di un traduttore coscienzioso che si sforzasse di rendere il senso della mia storia; se fosse un esperto di noir e anche cinefilo sarebbe perfetto. Quello che proprio mi farebbe andare su tutte le furie sarebbe un traduttore che tagliasse i pezzi più difficili o appiattisse i giochi di parole, cosa che io mi sforzo di non fare mai, a costo di passare ore su una stessa espressione.

Un’ultima domanda, in merito alla tua grande passione per il cinema: se domani ti arrivassero contemporaneamente due proposte, una letteraria e una cinematografica, quale sceglieresti?

Stavolta sceglierei quella cinematografica. Ho sempre sognato di vedere un film tratto da una mia storia. Spesso quando scrivo mi capita di fare il casting dei personaggi immaginando amici o attori che potrebbero interpretarli. Lo so che alla fine lo scrittore non è mai soddisfatto di come viene adattato il suo testo, ma sarebbe comunque una grossa emozione vedere una mia creazione prendere vita sullo schermo. E in questo caso vorrei scrivere un horror con pochi effetti speciali, poche location, ma che faccia una paura dannata.