L’idea del “doppio”…

Omicidio allo specchio di Ryan David Jahn, time Crime 2012.

Si tratta dell’idea del “doppio” già ampiamente collaudata ma qui svolta in maniera originale. Simon Johnson non è messo tanto bene a trentaquattro anni. Guance pallide disseminate di cicatrici lasciate dall’acne, capelli prematuramente grigi, miope con occhialoni da miope (appunto), piaga dietro l’orecchio destro causata dallo sfregamento dell’astina di plastica, cuore ballerino con nuova valvola cardiaca, gengive che sputano sangue sotto la pressione dello spazzolino da denti, ondate di panico a stento represse quando si trova in ascensore. Anche il vestiario e l’appartamento in cui vive a Los Angeles si adeguano: tristi, sporchi e malinconici, come la sua Volvo grigia scrostata sul cofano.

Buon cuore (lo dimostra con un vecchio cane rognoso dal pelo sporco e incrostato di sangue) e unici amici Robert e Chris. Amici per modo di dire che si sente “perso nel mondo dell’interazione umana”, distante da tutto e da tutti. Solo, naturalmente, con il pesce rosso Francine a fargli compagnia, sguardo fantozzesco su canali pornografici.

Ebbene questo essere isolato si ritrova improvvisamente a lottare con un tizio sconosciuto in casa sua. Dopo una colluttazione furiosa riesce ad ucciderlo e a rendersi conto che gli somiglia in maniera maledettamente straordinaria. Si tratta di un certo Jeremy Shakleford, professore di matematica, che infila nella vasca coprendolo di ghiaccio. Per scoprire il motivo dell’aggressione decide di “diventare” l’altro.

Incomincia una storia ai limiti del credibile con una strana frase che gli sembra di sentir ripetere e vedere scritta sui muri e la scoperta che i due hanno in comune lo stesso psichiatra; una Cadillac che lo segue, ricordi che affiorano dal passato, una studentessa fra le braccia che lo chiama con il suo vero nome. Insomma dietro a questa storia ci deve essere qualcuno che sta tessendo una tela, qualcuno che cerca di farlo impazzire. “Che cosa gli sfuggiva?”.

Inquietudine, mistero, paura. Scrittura volutamente lenta, precisa, accurata a rendere un personaggio ed un ambiente degradato, una lentezza funzionale al racconto come se ci si muovesse in un sogno, in una irrealtà, in una continua allucinazione, in un film al rallentatore dove piccoli particolari si innestano e incastrano fra loro.