Arriva in contemporanea a Nella valle di Elah (e sempre in attesa di Redacted…) anche questo The Kingdom di Peter Berg (ma dietro si scorge la mano potente di Michael Mann), a conti fatti assai più riuscito e spiazzante di quanto non sia il film di Haggis. Il tema, al pari di quello de La valle…, è di quelli scottanti (la guerra in Iraq nel film di Haggis, la guerra al terrorismo in questo…). La vicenda ha inizio quando alcuni terroristi portano a termine un attentato in Arabia Saudita che provoca un massacro di cittadini americani, per lo più operai addetti ai pozzi petroliferi e relative famiglie (lo spunto tra l’altro è vero: giugno del 1996, attentato terroristico con un camion bomba alle torri di Khobar). L’FBI inizia a premere per mandare sul luogo i propri specialisti per le indagini di rito e per assicurare i colpevoli alla giustizia, mentre i vertici di Washington tergiversano preoccupati di una possibile escalation della tensione. Alla fine la spunta l’FBI e una squadra composta da quattro agenti partono per Riad: Fluery (Jamie Foxx) il capo, Mayes, (Jennifer Garner), medico legale, Sykes (Chris Cooper), esperto di esplosivi, Adam Leavitt, (Jason Bateman), esperto informatico. Ha inizio così una collaborazione molto difficile tra i quattro e la polizia saudita, con la tensione che schizza subito a mille perché le differenze culturali ci sono e sono pure tante, così che ciò che i primi danno per scontato, non lo è affatto agli occhi dei secondi (a esempio il ruolo della donna nel team FBI…). Le cose in qualche modo trovano il loro equilibrio (un colpo al cerchio e uno alla botte…) e l’indagine ha inizio. Ottima, tanto per mettere un punto fermo, l’idea del doppio team multiculturale (fino ad ora eravamo alle collaborazioni americani-giapponesi, Pioggia sporca per esempio, o americani-russi come Danko…), ritratto descritto con cura e senza abusare eccessivamente dei cliché che di solito in questi casi abbondano. Per fortuna stavolta la tensione nello sviluppo della vicenda rimane altissima al punto che neanche ci si accorge del fatto, alquanto inverosimile, che in un lasso temporale brevissimo (solo quattro giorni…) l’indagine si conclude, merito anche di una sequenza d’azione che sarà pure una soltanto, ma basta e avanza (e quando sembra finita riparte…). Ma il bello deve ancora venire, ed arriva in un finale che mostra in pieno di che pasta sia fatto The Kingdom: due flashback, uno per schieramento, uno commentato da una voce off l’altro da un sottotitolo, ed ecco servita una conclusione speculare dove le intenzioni degli uni sono “identiche” a quelle degli altri, un finale che non può lasciare indifferenti, un finale che affonda il coltello nella piaga e sta là a girarcelo un bel po’. Su tutto regna la regia di Peter Berg, in una parola “tonitruante”, un’invasione barbarica pura e dura. Punto e basta.