“State per fare qualcosa che forse non avete mai fatto.

State per leggere trecentoquattro pagine di poesia. Vi accorgerete subito che è poesia come non ne avete mai letta.

Sarete già a cinquanta pagine, forse oltre, e difficilmente riuscirete a smettere.

Troverete cose che mai vi sareste aspettati di trovare in poesia: un'indagine su una persona scomparsa, una detective australiana di nome Jill Fitzpatrick, macchine che esplodono, morte, sesso, tradimenti, e una irresistibile femme fatale. 

È poesia. 

È un noir. ”

Così Carlo Lucarelli inizia a raccontare in quarta di copertina l’avventura della lettura di La maschera di scimmia dell’autrice australiana Dorothy Porter.

 

L’autrice, nata a Sydney nel 1954, si è laureata in scienze dell'educazione. La sua prima collezione di poesie è “Little Hoodlum”. Al suo attivo vi sono ormai ben otto libri, l’ultimo dei quali “Akhenaton” è la biografia epica e umana del Faraone egizio che tentò di rivoluzionare tutta la cultura e la regione del popolo del Nilo.

 

La maschera di scimmia, uscita per i tipi della Fandango Libri nel 1999 della Porter prende il titolo da un componimento haiku scritto da uno dei principali poeti giapponesi del XVII secoli Basho: “Anno dopo anno – Sul volto della scimmia – Una maschera di scimmia”, anticipando così uno dei temi che saranno sviluppati dalla poetessa australiana: il trionfo delle apparenze e l’inganno delle illusioni. 

La maschera di scimmia è un giallo lungo oltre trecento pagine scritto in versi e composto da  oltre cento poesie legate fra loro in una trama solida, avvincente ed emozionante. I temi sono quelli tipici, volutamente stereotipati del genere del noir: l’investigatrice maledetta, l’angelica fanciulla rapita e intorno un mondo di personaggi che danzano sullo sfondo di città piovose, nere e inquietanti, mossi dalla laconica e caustica voce fuori campo della protagonista.

La trama ripercorre il canovaccio di genere, raccontando di Jill, detective specializzata nella ricerca di persone scomparse, sanguigna, lesbica e impetuosa, e del suo incarico, uno dei consueti: trovare una fanciulla scomparsa, Mickey, sensibile e timida diciannovenne, che scrive poesie ed "è troppo tutto per essere vera".

Non servirà leggere molte pagine per scoprire che Mickey è morta, assassinata e che la ricerca di una persona si tramuta nella ricerca della verità che diventa, paradossalmente, più impellente, più pressante, come se scoprire l’assassino potesse dar senso alla vita e alla morte. 

La ricerca porterà Jill tra le braccia della bella, sensuale, intellettuale ma soprattutto ambigua e misteriosa Diane. Non farà fatica il lettore a comprendere il ruolo ambivalente di Diane e del suo fidanzato allampanato e modaiolo, Nick: “campione dei criminali vessati / terrore dei tribunali fascisti” ma il cui “profumo dolce è opprimente”.

Cercare di inserire questo libro in un genere, in una definizione è pressoché impossibile, non è solo un giallo ben scritto, non è solo un noir avvincente che tiene incollati sino all’ultima pagina, non è solo un libro di poesie ben scritte, raffinate. La Porter sa tessere insieme mille e più fili letterari, utilizzando con sapienza il suo versificare fluente, sensuale, morbido e estremamente leggibile, i suo compimenti sembrano tasselli casuali di un mosaico che pian piano si compone sino a formare un grande disegno, un disegno finale che lascia però delusi, come se la verità trovata non servisse a dare senso a nulla e tutto terminasse in “pietose bugie e stronzate”.

Jill compie un lento cammino, un lungo percorso nelle strade di un’Australia, irriconoscibile agli occhi di chi la immagina solo canguri e deserti spazi soleggiati, ma soprattutto affonda dentro un amore sensuale “che riesplode come anfetamine endovena” che le ha insegnato “ad abbassare la guardia / chiudere gli occhi / e lasciarmi andare / mi ha insegnato il piacere” ma alla fine, rassegnata la lascerà “a cento spiagge / da qui.”

 

Su tutte le meschinità, gli interessi, le bramosie e la lussuria dei personaggi mossi dalla Porter, aleggia il nome di Mickey, di colei che è “troppo tutto per essere vera”, il cui “fantasma cammina / in questa poggia tropicale / si dondola tra rami di fico / la sua voce / brilla verde e umida / s’è fatta tetra / sfoggia una maschera di scimmia”.

E tutto ciò che resta è una considerazione amara, un sapore, “un lezzo stantio / di sigarette e sudore” che resta, come “in una bocca appena sveglia”, una confessione: “non sapevo che la poesia / potesse essere / losca quanto il sesso”.

Una nota conclusiva: da questo testo è stato realizzato nel 2000 un omonimo film con la regia di Samantha Lang, con Susie Porter, Kelly McGillis e Marton Csokas. Di questo film la critica ha espresso un giudizio estremamente negativo.