Sono molte le verità che tutt’ora, anche a più di cinquant’anni di distanza, vengono oscurate. Alcune sono realtà scomode, altre sono solo difficili da raccontare o ricordare, mentre altre ancora sono semplicemente messe da parte perché rappresentano delle piccole parentesi all’interno di un ampio circuito di eventi, una goccia d’acqua nell’immenso oceano. E’ la storia stessa che a volte sembra voler dimenticare, cancellare interi capitoli e far finta che nulla sia mai successo. Rivive, insieme ad altri come lei, il coraggio di una giovane donna al servizio della resistenza francese per contrastare la sanguinosa utopia hitleriana, nel libro La spia che non poteva uccidere (Sonzogno Editore, Milano 2003) del francese Laurent Joffrin, caporedattore del “Nouvel Observateur”. La protagonista è una principessa di origine indiana, realmente esistita, paracadutata il 6 Febbraio 1943 nel territorio transalpino come telegrafista per “Radio Aurore”, in verità, agente infiltrato mandato dal SOE. Il SOE, Special Operation Executive, è un’organizzazione creata e voluta dal primo ministro britannico Winston Churcill i cui membri, “Gli irregolari di Baker Sreet”, agiscono allo scopo di penetrare nei territori occupati dai nazisti, o nei paesi neutrali, e contribuire ad aiutare i numerosi movimenti di resistenza attaccando i punti deboli del nemico danneggiando, ad esempio, l’economia tedesca, già debole di per sé, oppure sabotando gli oleodotti rumeni e ostacolare così l’avanzata del Terzo Reich. Non fa certo difetto, nel libro, a metà strada fra un romanzo e un saggio, la dovizia di particolari con cui l’autore descrive le principali fasi dello spionaggio: il reclutamento dei volontari, l’addestramento, il pedinamento, la preparazione delle missioni e l’uso dei codici segreti. In Francia le spie riescono a dar man forte ai partigiani e a bloccare l’ascesa dei tedeschi. Vengono, inoltre, narrate, senza nulla omettere, le crudeltà, le torture, le uccisioni e il terrore banditi dalla stragran maggioranza dei libri di storia, scolastici almeno.

L’anno 1914 si apre, al Cremlino di Mosca, nella dimora degli allora zar di Russia, con la nascita di Noor Inayat Khan, figlia di un’americana e di un indiano maestro di Sufi, corrente mistica islamica risalente al VII secolo che predica la fusione dell’essenza divina e la tolleranza religiosa, convocato a palazzo dalla zarina Alessandra. Noor trascorre la sua infanzia a Londra prima e a Parigi poi e le viene impartita un’educazione raffinata e ricca di sbocchi culturali, pur soffrendo, ormai adolescente, per la prematura morte del padre. Impara a suonare l’arpa e il piano, compone, si laurea in psicologia infantile all’Università della Sorbona e viaggia in ogni angolo d’Europa facendo la giornalista e scrivendo favole e fiabe per bambini raccolti in un’antologia pubblicata nel 1939. La sua è una bellezza esotica accentuata da colori scuri, sguardo profondo e labbra carnose. E’ una persona riservata e timida, per niente chiassosa e con una grande passione per la musica. All’età di ventisette anni, la ragazza, frequenta una scuola per infermiere ma, con l’incombere della guerra, si trasferisce di nuovo a Londra. Lì, il fratello si unisce ai RAF, resistenza anti- fascista, e Noor entra a far parte della WAAF, il gruppo ausiliario femminile della Air Force. La principessa, però, ha paura, teme di essere d’intralcio a causa del suo netto rifiuto ad imbracciare le armi, fermamente convinta del testamento morale lasciatole dal padre. “Nel mondo che sceglierai dovrai impegnarti a fianco dei due paesi che ci anno accolto, hanno protetto la nostra casa e la nostra fede anche se non la capivano. La Francia e l’Inghilterra.”

Grazie al capitano Jepson, che le spiega l’utilità di una telegrafista impegnata nei passaggi d’informazioni utili alle azioni belliche, Noor diventa un’adepta della SOE di nome Nora. A metà del suo corso di formazione, rapida ad imparare e dotata di un enorme senso del sacrificio, la giovane viene inviata vicino ad Angeres, in Francia, sotto le mentite spoglie della Signorina Regnier, una bambinaia. Giunta a Parigi, incontra il collega telegrafista Gilbert Norman e insieme trasmettono per Radio Aurore da ogni parte della città in favore della resistenza. Pur essendo Noor una delle spie che più a lungo è riuscita ad eludere la polizia nazista, purtroppo, la Gestapo riesce a mettere le mani anche su di lei adducendo prove concrete della sua attività sovversiva. Noor viene arrestata e interrogata dai mastini di Hitler che, vedendo vani i loro tentativi per costringerla a parlare, le incatenano mani e piedi, immobilizzandola, la isolano dagli altri prigionieri definendola pericolosa e la torturano destinandola, infine, al campo di concentramento di Dachau, a nord di Monaco di Baviera. Noor Inayat Khan, Nora Baker al fine di evitare un eventuale collegamento con la famiglia, muore a Dachau, a trent’anni, in ginocchio, con un colpo di fucile alla nuca, il 13 Settembre 1944. “Libertè” è l’unica parola che riesce ad esalare pochi attimi prima dello sparo. Cinque anni dopo le viene assegnata la famosa Giorge Cross, la massima onorificenza, a ricordo e onore, per coloro che combattono lontano dai campi di battaglia, sempre al servizio della libertà.