2003, Hong Kong skyline, vigilia di Natale. Il capo della polizia Lau Ching-hei (Tony Leung Chiu–wai) discute di problemi di cuore con il suo braccio destro Bong (Takeshi Kaneshiro), che ha litigato per l’ennesima volta con la sua donna. La pazienza è necessaria nei rapporti sentimentali così come per risolvere un caso, afferma Ching-hei, ma cosa resta da fare quando invece delle parole ci si trova di fronte al cadavere della propria fidanzata, suicidatasi tre giorni dopo aver subito un aborto? L’effettiva scoperta improvvisa della morte dell’amata, che sopraggiunge di lì a poco, spinge Bong nel baratro dell’alcool e, tre anni dopo l’accaduto, lo ritroviamo a collaborare ancora con la polizia come detective esterno. Il ricordo della donna che amava continua a perseguitare Bong, nonostante cerchi di consolarsi di tanto in tanto con avventure fugaci con una ragazza conosciuta in un bar (Shu Qi). Presto, però, la passione per il proprio lavoro assorbe completamente l’attenzione di Bong grazie a un nuovo caso: la moglie di Ching-hei, Susan (Xu Jinglei), ha subito di recente la perdita del padre, ucciso in circostanze poco chiare da un ignoto assalitore insieme ad altri due amici deceduti in seguito. Ching-hei ha fatto in modo di chiudere rapidamente il caso, non solo perché lui, in quanto marito di una donna in procinto di ereditare enormi fortune, è fra i principali sospettati, ma anche per non turbare ulteriormente Susan, che sembra soffrire di manie di persecuzione: telefonate anonime e minacce pullulano le sue giornate, e a nulla sembrano valere le rassicurazioni di Ching. Che quest’ultimo c’entri o meno con l’assassinio del padre di Susan, Bong vuole comunque vederci chiaro, e fra una bottiglia di alcool e l’altra decide di compiere delle indagini personali sulla vicenda, con l’aiuto titubante e silenzioso di Ching stesso. Si tratta forse di una questione di soldi, o tutto ha a che vedere con un’atavica vendetta consumata dopo tanti anni di attesa?

Per il loro nuovo lavoro insieme, Alan Mak e Andrew Lau scelgono nuovamente di scandagliare l’ambiente della polizia, svelando nuovamente le carte in tavola fin dall’inizio con uno scarto fra i ricordi (in bianco e nero) e il presente (a colori) che arrivano a coesistere nel momento della prima ipotesi di ricostruzione del delitto operata da Bong. Molti però sono i punti che non tornano: il presunto persecutore di Susan, che a un certo punto salta fuori per davvero, non viene mai identificato; la parallela storia di vendetta di Bong, accennata in una scena en passant, viene liquidata a parole con un ribaltamento di prospettiva che sembra contraddire lo sprazzo a cui lo spettatore ha assistito: Bong è davvero l’angelo del perdono che vuole dimostrare di essere agli occhi del ‘cattivo’ Ching oppure sta soltanto mentendo? In definitiva, il gioco di specchi fra colpevole e non colpevole, corrotto e redento, che funzionava alla perfezione nella formula creata per la trilogia di Infernal Affairs, qui non funziona più, non soltanto per via di una struttura narrativa piuttosto convenzionale se paragonata al perfetto meccanismo esposto nel film che ha reso celebri i registi. Il ritmo si fa a volte troppo pesante, il climax, quando arriva, delude le aspettative, e tutto alla fine ricade su un rassicurante finale circolare che immortala ancora una volta lo skyline di Hong Kong in un’ennesima notte di Natale, stavolta presumibilmente libera dal fardello di dolore ormai scivolato nel passato. Quel che resta è un film patinato che manca di emozione vera e di inventiva, se non forse nelle scene riservate alla morte per suicidio della donna di Bong nella parte iniziale. Esagerata, in ogni caso, la candidatura di Tony Leung agli Hong Kong Film Awards 2007: il paragone è improponibile sia con il bravissimo Aaron Kwok di Fu Zi che con il vincitore Lau Ching–wan di My Name is Fame. E, francamente, il bel Takeshi Kaneshiro non ha proprio il physique du rôle dell’ubriacone e rischia di rendere il tutto ancora più posticcio con la sua recitazione piuttosto discutibile, almeno in questo caso.