Inizialmente, mi sarei occupato degli scrittori attuali della collana. Aprii così i cosiddetti files del “dossier Segretissimo Foreign Legion”: una serie di interviste individuali ai nostri autori che, con fantasiosi alias, hanno negli ultimi anni mantenuto viva e solida la tradizione della collana, riuscendo nel contempo a rinnovarla. Instillando nuova linfa e, soprattutto, tanta adrenalina.

Ma il dossier Segretissimo italiano non poteva concentrarsi solo sul presente. Il passato aveva le sue belle proposte da rivalutare.

La seconda parte dell’operazione prevedeva dunque un bel articolone storico, da dividere in più puntate, basato principalmente sulle testimonianze dei protagonisti (scrittori e non solo) di questa avventura.

In quest’ottica, mi misi alla loro ricerca. Riuscii a contattarne diversi, non tutti. E purtroppo, all’appello mi mancavano proprio alcuni tra i più rappresentativi. Quindi, preso da altri impegni e progetti, procrastinai questo appuntamento.

Rileggendo oggi i riscontri ricevuti, da troppo tempo in attesa di elaborazione, mi sono detto: beh, perché devo proprio farne un articolo completo e onnicomprensivo? Non vanno bene come sono?

Perché dunque non lasciare la parola proprio agli stessi protagonisti, riportando integralmente le rispettive testimonianze, senza il filtro del sottoscritto?

Eccomi qua, allora.

Comincio con il primo che rispose al mio appello: Diego Zandel.

Diego aderì all’iniziativa con profonda simpatia e grande entusiasmo.

Tant’è che grazie a lui raggiunsi anche il giornalista e scrittore Andrea Santini, il quale, come meglio appureremo nella prossima puntata di Segretissimo italiano, è stato anche il primo italiano in assoluto ad apparire con un romanzo nella collana. Anno 1984.

Diego Zandel ha pubblicato per Segretissimo due romanzi. Il primo (Crociera di sangue) è del 1993. Il secondo (Operazione Venere) del 1996.

Il suo esordio come romanziere risale però al 1981, con uno dei primi romanzi sul terrorismo in Italia: Massacro per un presidente (Mondadori). La vicenda è ambientata a Roma. Ne sono protagonisti Raul Radossi, un anarchico di origine fiumana, cresciuto nella comunità di profughi del Villaggio Giuliano-Dalmata presso la capitale

Ambientato a Roma, e un colonnello dei servizi segreti, Nereo Dolcich, molto ligio al suo dovere e alle istituzioni. La strana coppia si ritroverà a battersi contro una frangia deviata dei servizi segreti, guidata nell’ombra da un uomo politico detto il Grande Vecchio. Questi propugna una soluzione autoritaria per porre fine alla crisi del paese, ma Dolcich sospetta che non sia estraneo alla manipolazione del terrorismo eversivo di sinistra e destra, utilizzato per i propri scopi. Una spy story tutta italiana, anche nell’ambientazione.

Gli altri suoi romanzi sono: Una storia istriana (Rusconi, 1987), I confini dell’odio (Aragno, 2002) e L’uomo di Kos (Hobby & Work 2004).

E’ attivo anche come saggista, recensore e articolista per varie pubblicazioni, tra cui Il Piccolo di Trieste e La Gazzetta del Mezzogiorno di Bari. I lettori di ThrillerMagazine ricorderanno il suo intervento su Eric Ambler: http://www.thrillermagazine.it/rubriche/359.

Questo il suo sito: www.diegozandel.it. Interessante la newsletter proposta.

E vediamo ora che ci racconta Diego Zandel del suo rapporto con Segretissimo:

“Io ho pubblicato due Segretissimo: Crociera di sangue (n. 1239) nell’ottobre del 1993 e Operazione Venere (n. 1306) nel maggio del 1996.

Una curiosità per i collezionisti: “il Segretissimo di Operazione Venere è l’ultimo con il formato e l’impaginazione che aveva preso il posto del vecchio Segretissimo simile ai Gialli Mondadori, con i disegni di Jacono e l’impaginazione a due colonne, con l’unica differenza della copertina nera invece di gialla. Con il titolo successivo Segretissimo avrebbe assunto l’attuale formato e impaginato, simile ai Miti Mondadori.

Fino a quel momento avevo scritto un saggio sul premio Nobel per la letteratura jugoslavo Ivo Andric’ per i tipi della Mursia, e due romanzi Massacro per un Presidente, nel 1981, edito da Mondadori, nella narrativa italiana, e Una storia istriana per la Rusconi, che entrò nella prima rosa del Campiello nel 1987 e fu finalista al Premio Napoli di quello stesso anno. Entrambi i libri ebbero ottime recensioni da parte di firme prestigiose, da Alberto Bevilacqua a Michele Prisco, da Carlo Castellaneta a Geno Pampaloni a Carlo Sgorlon e tanti altri.

Non ero considerato un giallista e avrei potuto continuare su quella strada, che in effetti ho ripreso con la pubblicazione, nel 2002, di I confini dell’odio, edito da Aragno e, nel 2004, di L’uomo di Kos, libri entrambi molto recensiti e sempre da critici autorevoli, ancora Carlo Sgorlon, e poi Raffaele Nigro, Ermanno Paccagnini, Pietro Cheli, Giancarlo De Cataldo, Elvio Guagnini, Giuseppe Pederiali, Mario Lunetta, Sergio Pent, Giuseppe Lupo, Domenico Cacopardo per citarne alcuni.

In questo contesto, la pubblicazione dei due Segretissimo appare anomala.

Sicuramente sono espressione di un particolare momento della mia vita, sia dal punto di vista esistenziale che professionale. Fin da ragazzo ho sempre voluto fare lo scrittore, ed è un’attività che non ho mai abbandonato. Solo che questo lavoro non dà di che campare, sopratutto a chi, come me, è sposato e padre di tre figli. Dovevo dunque lavorare e riservare alla scrittura il weekend, per cui i tempi di produzione si allungavano enormemente.

Inoltre, svolgevo un lavoro nel campo della comunicazione, per certi versi affine a quello della scrittura, che mi coinvolgeva. Mi occupavo di editoria aziendale, per cui dovevo scrivere articoli e seguire la realizzazione di riviste per il mercato e per i dipendenti. Proprio negli anni Novanta fui nominato dirigente, responsabile delle attività editoriali, con 18 dipendenti, budget miliardari (in lire), diversi fornitori, agenzie grafiche e fotografiche, tipografie e collaboratori esterni da gestire. Era un lavoro che richiedeva un impegno non solo di tempo ma anche emotivo notevole.

La scrittura, a quel punto, era diventata un momento quasi di evasione e relax, senza tralasciare che, comunque, avevo mantenuto in piedi la mia attività di collaboratore di quotidiani, per lo più di recensore, diventando negli anni un esperto in particolare del genere giallo.

A questo m’ero avvicinato non per una passione per il genere in se stesso, bensì per l’amore verso alcuni autori che ad esso appartenevano e che mi avevano particolarmente attratto, uno su tutti Eric Ambler (ai cui libri ho posto in più occasioni una introduzione), ma poi anche John Le Carrè, Frederick Forsyth, Alistair MacLean, Desmond Bagley, ovvero il filone spionistico-avventuroso. Un filone che s’innestava su quello da me più amato della letteratura cosiddetta alta dei Graham Greene, Hemingway, Kipling, Conrad e, tra gli italiani, Stefano Terra, del quale mi sento in qualche modo l’erede, anche per l’aggancio esistenziale che entrambi sentivamo con il mondo balcanico e mediterraneo, del quale i nostri libri sono la testimonianza.

La mia attività di scrittore da una parte e recensore dall’altra mi permetteva di stare in contatto con l’ambiente dei Gialli Mondadori, e quindi di Segretissimo, al punto da diventare amico e frequentatore di Laura Grimaldi, Marco Tropea, Gian Franco Orsi, Lia Volpatti, nomi storici e imprescindibili della editoria di genere mondadoriana. Un legame che mi fece amare i libri e alcuni autori delle collane che dirigevano, che non erano solo le tre classiche, i Gialli, Segretissimo e Urania, ma tutta una serie di libri e collane che uscivano dalla costola di quelle. Pensiamo agli eccezionali Omnibus Gialli, gli indimenticabili I Super, i Capolavori e i Classici di Segretissimo, o a iniziative nuove come Cerchio rosso, sul versante avventuroso. Ricordo che quando Cerchio rosso si trasformò con sforzo anche pubblicitario da parte della Mondadori in una collana più sofisticata, accompagnai Marco Tropea nelle redazioni cultura dei giornali romani presso i quali avevo le mie conoscenze per sostenere l’iniziativa, tanta era la mia amicizia e il rispetto per il loro lavoro.

Ma per tornare agli anni Novanta, cioè a quelli che videro la pubblicazione dei mie Segretissimo, accadde un’altra cosa, seguita alla caduta del muro di Berlino nell’89: la crisi della spy-story tradizionale, cioè di quella spy-story basata sul conflitto est-ovest, sulla guerra fredda. Gli scrittori del genere, sopratutto angloamericani, senza più quel Muro a dividere due mondi opposti e nemici, si trovarono in difficoltà a scrivere romanzi di spionaggio, almeno secondo i vecchi schemi.

Il fenomeno divenne ovviamente oggetto di conversazioni con i miei amici, e in particolare, per quel che mi riguarda, con Gian Franco Orsi, che, dopo l’uscita di Laura Grimaldi e Marco Tropea dalla Mondadori (per fondare una nuova casa editrice), era diventato il direttore dell’intero settore. E proprio Orsi mi suggerì l’idea di scrivere io un romanzo di spionaggio.

Non era un suggerimento gratuito. Il mio primo romanzo Massacro per un presidente aveva a che fare con i servizi segreti italiani, che indagavano sul terrorismo, del quale trattava il mio romanzo.

Accolsi così l’invito. Orsi mi suggerì anche di puntare su personaggi seriali, che era la formula vincente della collana. Inventai così una nave da crociera, l’Esperia (esistita veramente poi messa in disarmo), che girava il Mediterraneo e sulla quale o intorno alla quale accadevano dei fatti. Personaggi fissi, in maggiore o minore evidenza, il commissario di bordo Rodolfo Hagendorfer, detto Hag, profugo fiumano come me, il maitre Stavros Xenicos, greco con il cognome della madre greca di mia moglie, e il comandante della nave Lorenzo Fabiani, privo di riferimenti personali.

Nacque così Crociera pericolosa che Orsi fece diventare Crociera di sangue. L’attualità era data dalla guerra che si stava svolgendo in quegli anni nella ex Jugoslavia. Un gruppo di profughi in fuga via mare dai Balcani in fiamme vengono fatti salire a bordo dell’Esperia e da quel momento in poi succede di tutto. Mi divertii molto a scriverlo e lo feci con una leggerezza insolita per me, abituato a scrivere di ogni romanzo non meno di quattro stesure, per via dei continui rifacimenti, contro forse quell’unica stesura, più una di revisione, che dedicai a Crociera di sangue. Ricordo che, in quel caso, visti i molti personaggi, avevo applicato la regola di Ken Follett di non tacere ai lettori nessun particolare né retroscena degli eventi in attesa di chissà quale colpo di scena. Una regola che era anche di Hitchcock, raccontata nella famosa intervista a Truffaut, presso a poco: “Se un uomo sta salendo sull’aereo con una valigetta in mano non c’è tensione, ma la cosa cambia se lo spettatore sa che in quella valigetta c’è una bomba”. Un espediente importante questo anche per lo stesso Ken Follett, che ha cominciato ad applicarlo solo al suo decimo romanzo, quel La cruna dell’Ago con il quale è cominciato il suo strepitoso successo.

Con Operazione Venere, stessa nave, stessi personaggi, come da copione, l’azione si sposta a Cipro. Un gruppo di passeggeri dell’Esperia durante un’escursione a terra viene rapito da alcuni greco-ciprioti per un gesto dimostrativo che voleva ricordare al mondo la situazione in cui versa l’isola divisa in due parti dall’ultimo muro del mondo dopo la caduta di quello di Berlino. Un gesto che costringerà a scendere in campo i servizi segreti turchi, americani, italiani e che trasformerà un’azione che doveva essere dimostrativa in un bagno di sangue. Un romanzo, Operazione Venere, che Elvio Guagnini, docente di letteratura italiana all’università di Trieste e che con il compianto Giuseppe Petronio aveva istituito importanti seminari sulla narrativa popolare, ha giudicato in un suo saggio di “ottima tenuta” e che anch’io, a otto anni dalla sua uscita, reputo di una cifra narrativa più alta che, anche per i contenuti di carattere politico, ancora attuali tra l’altro, avrebbe meritato una vita più lunga dei quindici giorni a cui sono, ahimè, destinati tutte le pubblicazioni periodiche d’edicola come Segretissimo e i Gialli Mondadori. A mio avviso dovrebbero essere equiparati agli altri tascabili, come i Miti, che è possibile trovare nelle librerie e nei supermercati in qualsiasi momento dell’anno. Non dimentichiamo che sia Segretissimo che i Gialli nella loro storia hanno pubblicato autori di tutto rilievo, compreso il mio amato Eric Ambler, che oggi, riscoperto da Adelphi, è assurto a una considerazione che prima, per snobismo, non aveva presso il pubblico più esigente.

Proprio questa estrema precarietà del prodotto mi ha fatto allontanare, non senza ripensamenti, l’idea di continuare a scrivere per Segretissimo. Il mio ultimo romanzo L’uomo di Kos, edito da Hobby&Work in edizione cartonata, da libreria, ha ancora per protagonisti l’Esperia, il commissario di bordo Rudi Hagendorfer e Stavros Xenicos, ma vivaddio si vende ancora, se ne parla sui giornali, in questi giorni - l’altro ieri, al momento in cui scrivo questa nota - è stato argomento di dibattito presso le quinte classi di un liceo scientifico delle Marche che hanno fatto, nei giorni precedenti all’incontro con me, una ricerca sui temi di questo romanzo e su quello che l’ha preceduto, quel I confini dell’odio che, con il ritmo del thriller, ha raccontato la recente guerra nella ex Jugoslavia. Se fosse uscito con Segretissimo a quest’ora sarebbe già morto. Lo sa bene Sandrone Dazieri, ex-direttore di Segretissimo e dei Gialli, che i suoi romanzi, non meno degni delle collane che dirige, li pubblica da Einaudi Stile Libero.

Ciò è potuto accadere anche perché, negli anni, i Gialli, Segretissimo e Urania, hanno mancato, a mio avviso, a un grande appuntamento editoriale che doveva diventare la strategia della Mondadori. E cioè, di fronte alla crisi del prodotto da edicola che ha coinvolto il settore dei tradizionali Gialli e affini, far diventare le collane, unificandole, quella serie noir che, ad esempio, ben è rappresentata da Gallimard. Al punto che farne parte, per l’autore, è un punto di arrivo e non, tutt’al più, di passaggio.”

Diego Zandel, gennaio 2005