Siamo pieni di tic, di paure, di buoni e cattivi propositi. E la vita scorre inesorabile mentre cerchiamo di darle un senso. Magari proprio attaccandoci a questi tic, a queste paure, a questi buoni e cattivi propositi. Mordersi l'interno di una guancia, come fa spesso Grazia Negro, uno dei personaggi ricorrenti di Carlo Lucarelli, ripetersi spesso che ci si deve chiarire, come fa De Luca nei primi romanzi, un altro personaggio ricorrente di Lucarelli. E queste canzoni, come Almost Blue, o come, in questo caso, Almeno Tu, che una volta che si sono infilate in testa non se ne vanno più e girano a vuoto in un "loop" continuo, è l'earworm ci spiega lo stesso autore nel romanzo Almeno tu. È una cosa che si chiama Sindrome della canzone bloccata, earworm, appunto, verme dell'orecchio, "come un tarlo che colpisce la corteccia uditiva del cervello e si infila nel magazzino della memoria a breve termine, rimbalza nella scatola cranica, si inchioda su un punto dissonante e riattacca, perché è cosí che fa il cervello, non tira dritto, si resetta e riparte".

E anche il nome Vittorio torna, un nome utilizzato spesso dall'autore, come un personaggio ricorrente che però è sempre diverso, solo il nome è uguale. Lo troviamo come killer professionista in Un giorno dopo l'altro, e come poliziotto al primo impiego in Febbre gialla. Tanti tic, tante paure, e tanti buoni e cattivi propositi, come mettere meno zucchero nel caffè, come portare a termine una vendetta feroce.

Noi non possiamo essere noi stessi.

Come pensiamo di voler essere, come siamo, come ci vediamo, come ci vedono gli altri. Siamo sempre e comunque inscatolati nel nostro cervello e in quello degli altri. Se non capiamo qualcosa la escludiamo o le diamo il senso che vogliamo noi, perché così si fa prima. Non possiamo essere quel che siamo, ma cosa siamo? senza che qualcuno, compreso noi stessi non ci dia fastidio. E anche noi interveniamo a modificare le cose come crediamo che debbano essere, come ci hanno detto che debbano essere, come nessuno crede che debbano essere, ma cosa vuoi, oramai si fa così.

In questo romanzo la scrittura di Lucarelli mette ansia, ha un ritmo, spesso, singhiozzante e convulsivo. O forse siamo noi che non abbiamo rispettato gli "a capo" nella lettura. Perché non vedevamo l'ora di sapere come sarebbe andata a finire. E lo scorrere delle azioni travolgeva il nostro voler sapere. È sempre stato un mondo bizzarro senza freni, quello dell'essere umano, non è oggi che le cose vanno così. E comunque vada si fa sempre fatica a stargli dietro, ma siamo noi stessi che lo facciamo rotolare senza freni.

Poco sappiamo, sempre, e quel poco che sappiamo è tutto il nostro universo. E se non capiamo qualcosa cerchiamo comunque di infilarla in quella misera scatola che è la nostra testa. E se non ci entra le spacchiamo gli angoli, la facciamo a pezzi, ce la ficchiamo a forza, oppure la buttiamo via, la escludiamo. Non fa per noi. Noi siamo meglio. Peggio è quando cerchiamo di cambiarla o di ricondurla a quelle che pensiamo siano le regole da seguire, regole che ci hanno insegnato, che ci siamo obbligati a seguire, regole che ci chiedono gli altri, di seguire.

È un affanno continuo. 

Lucarelli non ha voluto solo scrivere un noir, o quel che è, un thriller, un suspense, chiamatelo come volete, ha voluto scrivere,  ed ha scritto, un romanzo. Un romanzo che rispecchiasse quest'ansia, questa paura, quest'affanno continuo, questo non capirci, mai.

E ci è riuscito, a scrivere un noir, un thriller, un suspense, un quello che volete. E anche a scrivere un romanzo che ci racconta come ci siamo ridotti a vivere la vita.

È il resoconto di vite frenetiche che non si fermano mai a riflettere veramente sulle loro azioni, le loro motivazioni. Un affanno continuo.

Ed è la vita stessa che piano piano ci accoppa, uno alla volta, la vita nella quale ci siamo invischiati e non ce ne siamo mai accorti, pensando sempre, anche adesso, di essere nel giusto. O anche ponendoci dubbi e rivalutazioni in continuo, un affanno continuo, insomma.