Dove sei quando scrivi? Sia fisicamente che mentalmente

Fisicamente sono ovunque. No, non sono uno e trino: più semplicemente, le mie giornate sono talmente piene che, a prescindere dal luogo in cui mi trovo, ogni attimo di libertà può essere un’occasione per buttare giù qualcosa, cristallizzare un’idea ed evitare che me ne dimentichi subito dopo. Vivo in provincia di Roma, lavoro nella Capitale e trascorro molto tempo in viaggio su treni regionali e mezzi pubblici: tra uno sbadiglio all’alba o al tramonto, un ritardo o un guasto sui binari, nel traffico cittadino se il bus è poco affollato, il cloud e le note del mio smartphone si riempiono di idee che diventano dialoghi, descrizioni, sentimenti, scene d’azione. A casa è doveroso dare la priorità alla famiglia ma non nego che, quando se ne presenta la possibilità, mi ritaglio un piccolo spazio e, davanti al pc, in compagnia di un bel calice di vino, do sfogo alla mia necessità di scrivere. Mentalmente? Nei luoghi che ospitano le storie che narro, accanto ai personaggi, tra i vicoli e le piazze di cui riesco a immaginare anche suoni e profumi.

Come scegli le tue vittime, e i tuoi assassini?

Sono loro a scegliere me. Non ho un criterio prestabilito. Capita di iniziare a buttare giù un incipit senza ancora decidere cosa accadrà, sono emozioni che hanno bisogno di uscire dal mio animo e finire tra gli appunti di una storia che sta per nascere. È lì che, poco alla volta, spuntano i personaggi. Mi cercano, mi trovano, si presentano e affidano la loro sorte alla mia fantasia. Nel romanzo da poco pubblicato, ad esempio, l'assassino è diventato tale in zona Cesarini.

Qual è il tuo modus operandi?

Siamo sicuri che si possa rispondere senza le garanzie difensive? Perfino in una narrazione basata sul delitto più efferato, non devono mancare leggerezza e romanticismo. Non sto ridipingendo di rosa un romanzo giallo: mi piace creare storie nella storia, in cui i protagonisti svelano anche il loro lato privato, le passioni e le debolezze che non per forza hanno a che fare, almeno direttamente, con l'indagine principale. Mi piacciono i colpi di scena ma ho imparato che non devono essere troppi. Voglio che tra il lettore e i personaggi, o almeno alcuni di loro, nasca un'empatia spontanea. 

Chi sono i tuoi complici?

Vabbè, ormai sono sotto scacco e confesso. La complice principale è Elisa, mia moglie, testimone della nascita, delle modifiche, degli stralci e della crescita delle mie opere: le faccio leggere tutto, dalle singole frasi, per capire quale effetto sortiscano, fino alle evoluzioni delle vicende; ammiro la sua sensibilità, unita all’oggettività che va al di là del legame sentimentale. Grazie a Il mistero di Villa Feoli, ho avuto il piacere e l’onore di collaborare con Raffaella Catalano, editor e codirettrice della collana Le dalie nere della casa editrice Ianieri Edizioni, la quale è stata molto preziosa. Cosa? Altri complici? Ancora? Non faccio più la spia, neanche sotto tortura. Anzi, ritratto anche il coinvolgimento di Elisa e Raffaella. E voglio un avvocato!

Che rapporti hai con i tuoi lettori e le tue lettrici? Avanti, parla!

Adoro parlare in pubblico, datemi una platea e mi gaso come Vasco Rossi sul palco. Ovviamente non è sempre possibile e approfitto della tecnologia, ad esempio i social, per conoscere le opinioni, le emozioni, le critiche e i consigli di chi legge ciò che nasce dalla mia penna ma, a prodotto finito, non è più mio ma di tutti.

Che messaggio vuoi dare con le tue opere?

La perfezione non esiste, soprattutto tra gli esseri umani, ma la bellezza è ovunque e va cercata e vissuta, in tutte le sue accezioni.