Potrebbero chiamarla “la città degli arcobaleni”. Se ne formano di continuo nel cielo di Londonderry, o soltanto Derry, come la chiamano gli irredentisti irlandesi dell’Ulster. È la città a maggioranza cattolica dove nel 1969 cominciarono i Troubles (guai), ovvero gli incidenti a catena che proseguono oggi, rendendo pressoché invivibile l’Irlanda del Nord.

Derry sorge sul Foyle, nel punto in cui il fiume si allarga nel Mar d’Irlanda formando un loch. Vista dalla riva orientale, i suoi contrafforti di pietra del diciassettesimo secolo e le montagne alle spalle, sembra una paesaggio fiabesco. Non altrettanto per il ghetto cattolico di Bogside. Fu qui che covò la rivolta nei primi mesi del 1969. Giovani disoccupati impazzavano per le strade colpendo a prima vista gli agenti di polizia della RUC (Royal Ulster Constabulary). Eppure c’erano delle cause.

Il parlamento dell’Irlanda del Nord con sede a Stormont favoriva in ogni modo la fetta protestante della popolazione. I migliori impieghi pubblici erano preclusi ai cattolici. Perfino quando si trattò di costruire le autostrade, si collegò Belfast a nord con Ballymena e a sud con Portadown, due centri protestanti, tagliando fuori Londonderry. Quest’ultima si vide preclusa anche l’assegnazione della seconda sede universitaria nordirlandese, che andò alla protestante Coleraine. C’è una macabra barzelletta: l’unico modo per un cattolico di entrare alla Queen’s University di Belfast è donare il proprio corpo per la ricerca medica.

             

La discriminazione persistette durante il grande sviluppo tecnologico degli anni ’60 e ’70, quando i nuovi posti specialistici e dirigenziali nelle imprese andarono in prevalenza ai protestanti. In un clima non dichiarato di apartheid, comunque la popolazione cattolica non si identificava affatto con l’IRA. La posizione dominante era quella di un’emancipazione collettiva nell’Ulster, che facesse superare le anacronistiche contrapposizioni fra la parti. La struttura militare dell’Irish Republican Army ha infatti sempre rivelato la carenza di un progetto politico chiaro. Irlanda unita e libera, ma poi?

Ruairi O’Bradaigh abbozzò un disegno denominato Eira Nua (Nuova Irlanda). Esso prevedeva una repubblica federale composta dalle quattro province originarie: Ulster, Munster, Leinster e Connaught, ciascuna con propri parlamenti e poteri esecutivi. Il governo centrale si sarebbe dovuto limitare alla difesa e alla politica estera. Inutile sottolineare che lo stesso progetto sta fallendo nell’ex URSS. Elemento principale del progetto di O’Bradaigh era che il Dail Uladh (il parlamento dell’Ulster) avrebbe dovuto includere tutte e nove le contee storiche, non solo le sei assegnate dall’Home Rule. In questo modo il rapporto fra la popolazione si sarebbe riequilibrato a favore dei protestanti, che così non avrebbero più dovuto temere la perdita d'identità paventata in uno stato irlandese unificato.

La proposta venne ufficialmente annunciata il 5 settembre 1971, senza che alterasse sostanzialmente lo stato delle cose nell’Irlanda del Nord.

L’esercito britannico era intervenuto fin dai tempi della Guerra Civile del 1922-23. Ma fu durante i Troubles del 1969 che si installò in pianta stabile a Londonderry, Belfast e gli altri centri dell’Ulster, devastati dalla violenza. Una parte consistente della popolazione cattolica, accolse con favore le truppe di Londra, considerate una protezione dagli estremisti protestanti. Di fatto, gli inglesi si trovarono spesso fra due fuochi. Fino all’abolizione del parlamento nordirlandese di Stormont. Il 24 marzo 1972 infatti, il primo ministro inglese Edward Heath avocò direttamente a Londra il potere esecutivo sul territorio nordirlandese.

Dal punto di vista dell’IRA, poteva persino apparire una vittoria. Uno degli scopi storici del terrorismo è proprio quello di spingere lo stato a misure estreme, che inaspriscano la gente fino alla rivolta. Lo stesso propugnavano le Brigate Rosse in Italia.

Ma in realtà, l’abolizione del parlamento nordirlandese era il culmine di una stretta repressiva iniziata l’anno prima con l’operazione Demetrius.

               

Alle quattro del mattino di mercoledì, 10 agosto 1971, l’esercito inglese fece irruzione nei ghetti di Belfast effettuando 342 arresti. 116 non furono convalidati, però la mossa ebbe un grosso impatto negativo sull’opinione pubblica mondiale. Mentre in tutto il mondo era in corso il processo di decolonizzazione, la Gran Bretagna applicava sul proprio territorio sistemi di controllo anacronistici che si rivelavano una cura peggiore della malattia.

Peraltro, la presenza delle truppe inglesi nell’Ulster creava i classici scenari d’occupazione, ben noti soprattutto in Francia. L’IRA, oltre a far esplodere bombe che sterminavano in prevalenza civili, se la prendeva anche con la ragazze colpevoli di collaboration horizontale, cioè di intrattenere relazioni con soldati considerati invasori. Classica punizione per le sventurate: tosatura a zero e cartelli appesi al collo con la loro colpa riassunta in un solo sostantivo.

La scena nordirlandese andò imbarbarendosi fino al protagonismo degli esplosivi e delle armi. In particolare, l’Armalite AR-18, soprannominato tetramente “fabbricavedove”. Si tratta di un micidiale fucile d’assalto maneggevole e facile da nascondere, che sembra inventato apposta per le esigenze dell’IRA. Quanto all’esplosivo, fu scoperto il modo di fabbricarlo utilizzando un comune fertilizzante.