Barbara Baraldi è una delle poche vere professioniste che conosca nella nuova leva dei ‘giallisti’ italiani. È l’impressione che ho ricavato la prima volta che l’ho incontrata al Sud Dinner Bar ospite di Pinketts e Cappi in occasione della vittoria del premio Gran Giallo Città di Cattolica ed è la sensazione che ho consolidato lavorando in più occasioni con lei (nell’antologia ‘Bad Prisma’ curata da Danilo Arona e più recentemente in ‘ Il mio vizio è una stanza chiusa’, entrambi editi da Mondadori). La professionalità sta nella solerzia della realizzazione dei progetti, la capacità di spaziare tra vari registri narrativi adattandosi con la giusta dose di umiltà ma anche con la consapevolezza del valore del proprio lavoro. Prova ne è “Tracce di sangue nella nebbia”, un ottimo thriller di stampo tradizionale pubblicato su Confidenze in tempi recenti. Vi propongo quindi questa intervista con grandissimo piacere.

In questi mesi sono apparse diverse tue opere di varia lunghezza: racconti per antologie, un Giallo Mondadori, un lungo romanzo, novelle a puntate... una produzione che si va ad aggiungere al già nutrito numero di pubblicazioni (e premi) nel tuo curriculum. Qual è la differenza tra queste varie forme di narrazione secondo te?

All’inizio del mio percorso di scrittrice scrivevo la storia che avevo voglia di raccontare, e non mi ponevo problematiche di tematica o lunghezza. Ora capita che mi vengano commissionati romanzi o racconti. Questo per me non è un limite, bensì un modo per mettermi in gioco e, magari, migliorarmi. La differenza tra le forme di narrazione, per quanto riguarda la mia scrittura, è più che altro organizzativa. Con il giallo a puntate, per esempio, dovevo dividere il romanzo in sei parti che si concludessero con una sorta di climax per spingere il lettore a desiderare di saperne di più, proprio come avveniva nel feuilletton. Dovevo quindi tenere ben presente la lunghezza di ogni puntata e giocarmi la scena di tensione al momento giusto. È stato molto divertente.

Quale formula trovi più congeniale al tuo modo di raccontare?

Non ho una formula più congeniale, forse perché scelgo la forma di narrazione a seconda della storia che voglio raccontare. E poi ognuna ha i suoi vantaggi: per esempio, la scrittura di un romanzo di ampio respiro come “Lullaby – La ninna nanna della morte”, mi ha permesso di restare a lungo in contatto con i personaggi, che mi hanno raccontato molto di loro nel corso dei mesi. Le novelle, invece, sullo stile del dittico di Amelia o “La casa dagli specchi rotti”, permettono di realizzare in un tempo relativamente breve una storia compiuta.

Raccontaci i tuoi esordi con la scrittura.

Ricordo un episodio in particolare. Ero alle scuole medie e ci chiesero di scrivere un tema che assomigliasse a un “giallo”. Scelsi la prima persona; la voce narrante indagava sulla sparizione di una giovane coppia di dirimpettai. Alla fine del tema la rivelazione: il narratore era una bambina e la coppia scomparsa due rondini che avevano fatto il nido sul tetto di fronte casa sua. Scrissi tutto il pomeriggio, in preda a un’urgenza fino ad allora sconosciuta.

Una domanda... ‘bruciante’... Quando hai intrapreso in questo mestiere immagino che, come tutti, ne avessi una visione un po’ idealizzata. Oggi, con un’esperienza ormai consolidata alle spalle, credo che tu abbia avuto contatto diretto con i risvolti meno piacevoli che comporta. Gelosie, concorsi, festival, promozioni più o meno soddisfacenti, insomma tutto quel contorno che fa parte del nostro lavoro ma che spesso esula dalla semplice creatività e ci costringe a fare i conti con una realtà piuttosto dura. Come ti rapporti a questa ineludibile fase dell’essere ‘scrittori’?

È un mondo difficile, come diceva quella canzone. Ci sono tanti risvolti poco piacevoli che solo chi lavora nel settore conosce. Ma cerco sempre di guardare le cose positive e quando sono giù di morale rileggo i commenti dei miei lettori e dei colleghi che mi sostengono. Sono cose che spronano ad andare avanti. E così mi rimetto a scrivere e creo nuovi mondi dove chi vuole può smarrirsi e ritrovarsi.

Hai un metodo di lavoro per la narrativa? Scalette? Appunti? Oppure segui l’ispirazione del momento?

Ogni romanzo è un caso a sé. Per quanto riguarda “Bambole pericolose”, che presenta molti personaggi e una trama intricata, mi sono avvalsa di una scaletta e di parecchi appunti, per non perdere mai il contatto con l’universo del romanzo.

Una volta, parlando del nostro lavoro di narratori, ha fatto un magnifico accostamento con la condizione degli artisti di strada. Vuoi approfondire il concetto?

Certi scrittori sono così. Vivono come artisti e leggono la contemporaneità dalla strada. Questo è un lavoro che non dà sicurezze; si cammina come equilibristi su un filo sottile tessuto di parole.

Ho amato moltissimo il tuo racconto per l’antologia del Vizio... quasi un film... ti piacerebbe (immagino di sì!) che fosse portato sullo schermo? In tal caso che genere di cambiamenti apporteresti al racconto per adattarlo al cinema?

Ho scritto quel racconto come se dovessi scrivere una sceneggiatura. Ho vissuto ogni scena come una visione. È stata l’antologia stessa, intrisa delle atmosfere cinematografiche anni 70, a ispirarmi. In un film le poesie di Neruda, tratte dal libro guida di una delle protagoniste, farebbero da leit motiv alla narrazione. Aggiungerei un finale più lungo per consentire alla macchina da presa di esplorare maggiormente la casa dagli specchi rotti e i suoi segreti.

Hai avuto approcci con il cinema e la televisione?

Mi è capitato di frequentare il set de “L’Ispettore Coliandro” il serial tratto dal personaggio di Carlo Lucarelli con la regia dei Manetti bros. È stato divertente quando mi hanno chiesto se volevo fare da comparsa. I Manetti sono dei grandi professionisti e vederli girare scene di inseguimenti, sparatorie, o mettere in scena interi concerti mi ha dato i brividi. Figuriamoci partecipare alle riprese girate in camera mortuaria o servire la birra all’ispettore in persona: )

‘La bambola dagli occhi di cristallo’ e ‘Bambole pericolose’, momenti diversi della travagliata esistenza di Eva. Com’è cambiato il personaggio nelle due storie?

In “Bambole Pericolose” Eva è più consapevole e più determinata. Ma, come spesso accade, con la coscienza si risveglia anche il senso di colpa. Dopo quanto avvenuto ne “La bambola dagli occhi di cristallo” si pone concretamente la domanda su cosa sia giusto o sbagliato. Ma non c’è tempo per rispondere. Viene risucchiata in una brutta storia più grande di lei, e non le resta che una cosa da fare: combattere in nome di ciò a cui crede.

Bologna è una delle protagoniste delle tue storie. Continuerai a raccontarcene i risvolti neri?

Assolutamente sì. Ho una amore viscerale per Bologna. È come una donna misteriosa con tanti volti ancora da svelare.

Durante una tua recente presentazione è stato detto che, parlando di Bologna e di ‘Bambole pericolose’ c’è un’affinità con la struttura narrativa di ‘Sin City’. Cosa ne pensi?

Immergersi in “Bambole pericolose” significa entrare in un romanzo con forti contaminazioni fumettistiche, oltre che cinematografiche. L’atmosfera notturna e il tormento dei personaggi possono ricordare ‘Sin City’, secondo me: immagini in bianco nero forti, contrastate, con un colore dominante che ogni tanto esplode e sporca la nitidezza dell’immagine.

In ‘Bambole pericolose’c’è una straordinaria capacità di ricreare il mondo degli sport da combattimento nella sua versione più estrema e meno conosciuta. Da dove nasce questa idea e come ti sei documentata?

Era tempo che volevo scrivere un romanzo in cui le arti marziali avessero un ruolo di primo piano. Quello dei combattimenti corpo a corpo è un mondo che mi affascina da sempre. Ho seguito un corso di thai boxe come spettatrice, ho parlato a lungo con allenatori ed esperti. Ho seguito i nazionali di thai dal vivo, e devo dire che a certi livelli di professionismo è un incredibile spettacolo di forza ed equilibrio. Per non parlare del mio amore per il cinema di Hong Kong. Sono cresciuta con i film di Bruce Lee che le tv private passavano di pomeriggio, con lo scontro tra Rocky e Ivan Drago e la serie di Kung Fu con David Carradine.

Un altro filone importante della tua produzione è quello che sostituisce alle ambientazioni urbane, più dark, altre apparentemente più solari ma ammantare da un alone inquietante. Mi riferisco al ‘Giardino dei bambini perduti’ e a’Tracce di sangue nella nebbia’. Ci vuoi parlare di questa tua ispirazione?

Trovo che le ambientazioni rurali, quelle dei paesi di provincia persi nel nulla, siano perfetti come sfondo a una storia dal sapore gotico. Ancora oggi, dopo averlo visto innumerevoli volte, “La casa dalle finestre che ridono” riesce a strapparmi ben più di un brivido, e non a caso è ambientato tra Comacchio e i dintorni, zone che conosco bene e che da queste parti sono considerate l’ideale per una gita fuori porta. È questo che cerco: la calma apparente, una persona che spia da una finestra socchiusa, il senso atavico di una natura ancora non del tutto addomesticata e le anime inquiete che vagano in cerca di qualcosa, o dell’anima di qualcuno.

Quanto influisce la tua attività di fotografa sulla prosa dei tuoi racconti?

L’occhio da fotografa mi spinge a cercare una singola immagine in cui focalizzare l’essenza di una scena. Spesso le modelle che fotografo danno il volto alle mie protagoniste, regalando loro caratteristiche uniche.

E arriviamo a ‘Lullaby’ un romanzo che ti sta molto a cuore, credo....

“Lullaby” è il romanzo a cui lavoro da più tempo. Anni di scritture, riscritture, pause di riflessione. Litigi, ma anche profondi momenti di trasporto. In un certo senso, “Lullaby” è un romanzo scritto con il sangue.

‘Lullaby’ inaugura la collana ‘Le Torpedini’ di Castelvecchi, che in un prossimo futuro ospiterà tra gli altri anche Gianluca Morozzi. Un volume elegante con un prezzo contenuto, una copertina graficamente accattivante e una cura grafica a cominciare dal frontespizio che incuriosiscono. Cosa deve aspettarsi il lettore da questo romanzo?

Deve aspettarsi un prodotto “di frontiera”, un protagonista con caratteristiche originali da cui lasciarsi condurre verso passioni sconosciute, repentini cambi di prospettiva e capovolgimenti del punto di vista. Paura, perché no, ma anche momenti di poesia. Credo che “Lullaby” sia come una ninna nanna: difficile svegliarsi, poi.

Sin dai primi capitoli si intuisce una strutturazione focalizzata sui personaggi. Giada e Marcello. È forse il loro tratteggio psicologico la caratteristica che più mi ha colpito. Ce li vuoi presentare...senza rivelare troppo perché sempre di una storia di mistero si tratta...

Giada è una ragazzina “perduta”, una figlia di questi tempi. Genitori assenti, a volte vorrebbe essere notata, a volte vorrebbe solo essere amata. Un desiderio talmente profondo da sfociare in episodi di autolesionismo. Il suo passato nasconde un terribile segreto. Marcello è un aspirante scrittore, un personaggio poliedrico, per certi versi inafferrabile. Egoista, ma succube di una madre soffocante. Forse in qualche modo rappresenta il caos, che irrompe a scuotere la tranquilla vita di una provincia addormentata.

Ti confronti con questo romanzo con un tema classico. Lo scrittore alle prese con le difficoltà dell’ispirazione. Quanto devi alla tradizione cinematografica e letteraria sull’argomento e quanto viene dalla tua osservazione di questa strana razza che siamo noi narratori?

Da appassionata lettrice, molto viene dalla mia osservazione di questa “strana razza” che sono i narratori. Credo che dentro ognuno ci sia un Marcello, che vorrebbe emergere e guadagnare il rispetto di chi gli sta intorno tramite il proprio lavoro. Allo stesso tempo, Marcello deve convivere con una congenita mancanza di ispirazione, che affonda le sue radici, forse, nel modo un po’ codardo con cui affronta la vita. Ma è estremamente determinato e, in questo senso, secondo me, raccoglie il grido di molti aspiranti scrittori ed esordienti, che faticano a farsi notare, nonostante gli sforzi.

Azzardo una domanda che mi viene accostando la tua attenzione per l’ambiente dei combattimenti clandestini di ‘Bambole pericolose’ e il realismo con cui porti sulla pagina le sfaccettature di Marcello. Trovi corretto avvicinare un fighter a uno scrittore? Uno strano miscuglio di spavalderia, durezza, forza e fragilità interiore?

Assolutamente sì. Per affrontare un rifiuto, l’indifferenza degli editori o una recensione negativa bisogna essere combattenti. E non perdersi d’animo, mai.

Giada ed Eva, due modi di essere donna o due facce di una stessa medaglia?

Ogni donna racchiude un mondo di contrasti e possibilità. Giada ed Eva sono due aspetti della femminilità; entrambe sono alla ricerca della propria identità, e affrontano il mondo a modo loro. Entrambe cercano di vivere lontano dai compromessi, pur seguendo due percorsi totalmente differenti.

La famiglia. Genitori e figli. Amicizie che ripropongono legami familiari. Mi sembrano temi importanti e svolti sempre con particolare attenzione a una psicologica che, per quanto inserita in una fiction, risulta ‘vera’. Un argomento che ti sta a cuore, quindi?

Credo che la famiglia rappresenti il primo microcosmo formativo di un essere umano. Secondo me i rapporti con i genitori e con i fratelli influiscono molto sul carattere. Sono molto interessata ai meccanismi che si istaurano all’interno delle mura domestiche: i segreti, le parole non dette, gli equilibri. E da sempre ho paura di quello che si cela negli armadi.

Una domanda che credo sia d’obbligo considerata la tua produzione più recente. Che differenze hai trovato misurandoti con il format del ‘Giallo’ popolare (come quelli che hai scritto per Mondadori e Confidenze) e un romanzo svincolato da regole precise in cui sei più libera di sviluppare la storia dando rilievo a elementi che esulano dalla pura tensione?

È la tensione, amorosa o emotiva che sia, che mi spinge a voltare le pagine quando leggo. Cerco di scrivere romanzi che mi piacerebbe leggere, costruendoli sul filo sottile del brivido. C’è chi pensa che il “genere” non richieda uno sforzo di costruzione dei personaggi o una grande profondità emotiva. Io non la penso così. Insisto sui personaggi fino a che non li sento respirare. Almeno, questo il mio intento.

‘La collezionista di sogni infranti’ e ‘La casa di Amelia’ entrambi pubblicati con Perdisa sono fiabe nere per tua stessa definizione. Consideri allo stesso modo anche ‘Lullaby’?

“Lullaby” può essere considerata una fiaba nera. E penso che, proprio come una fiaba, possa avere diversi livelli di interpretazione. Una storia d’amore, un viaggio nella mente di un serial killer, un’istantanea della nostra società. E poi? Lascio la parola ai lettori.

Cosa pensi della situazione del thriller italiano?

Penso stia vivendo un momento di transizione, e come tale ci siano nuove opportunità, ma anche nuovi pericoli. Penso che ognuno di noi, lettore, scrittore o editor che sia, possa dare il suo apporto al cambiamento.

Un’ideale colonna sonora per i tuoi ultimi romanzi. Facci la tua compilation...

Penso che una buona tracklist da tenere in sottofondo mentre si legge “Lullaby – La ninna nanna della morte”, possa essere:

Traccia 1- Lullaby (Cure)

Traccia 2- Enjoy the silence (Depeche mode)

Traccia 3- Closer (Nine inch nails)

Traccia 4- Ratamahatta (Sepoltura)

Traccia 5- Nuotando nell’aria (Marlene Kunz)

Traccia 6- To lose my life (White lies)

Traccia 7- Disorder (Joy division)

Ascolti musica quando scrivi?

Sempre. E ogni volta si trasforma in parole.

Sappiamo che tra poco ‘La bambola dagli occhi di cristallo’ sarà pubblicato in Inghilterra. Per il lettore anglosassone sarà una sorpresa scoprire una Bologna così lontana dagli stereotipi sul nostro Paese. Che slogan useresti per convincere i lettori stranieri a seguire la tua protagonista nell’universo che descrivi?

Proporrei di seguire Eva in un viaggio pericoloso attraverso una città seducente.

Io ti considero già un’autrice consolidata. Cosa consiglieresti a un’esordiente’ o meglio cosa diresti a te stessa, fotografata agli esordi, adesso che hai già accumulato queste esperienze?

Consiglierei di non avere mai fretta: è una cattiva consigliera.

Credo che i tuoi lettori meritino un saluto personale....

Un saluto affettuoso a tutti i lettori che abbiano voglia di immergersi nelle atmosfere dei miei romanzi. E grazie a tutti per averci seguito fino all’ultima riga.: )