In “Una brutta faccenda” (Tea, 2005) si manifestano, tra le righe, molte riflessioni sull’omicidio e sulla natura umana. Esiste il male assoluto?

Non credo, secondo me è sempre questione di “dosi”: in tutti c’è il bene e c’è il male, ma ogni individuo ha le sue personali percentuali dei due elementi e il suo grado di consapevolezza, e questo determina la sua “qualità”.

Il commissario Bordelli, il poliziotto protagonista di alcuni tuoi romanzi, ha un senso della giustizia molto profondo. Ma a volte il suo senso della giustizia prescinde sia dalla morale comune, sia dalla legge...

In effetti ha un senso della giustizia tutto suo, che spesso non è in linea con la impersonale Legge dello stato.

Bordelli non sbatterebbe mai in galera chi ruba per mangiare, e quando a essere ucciso è un sopraffattore si trova quasi a parteggiare per l’assassino.

Ci racconti qualcosa del commissario Bordelli?

Il commissario Bordelli esiste, è un mio vicino di casa… e ogni tanto mi concede l’onore di raccontare una delle sue avventure.

In “Perché dollari?” (Guanda, 2005) vi è un racconto, “Reparto Macelleria”,  in cui dai uno scorcio delle atrocità vissute nel nazifascismo. Inoltre, nei romanzi a lui dedicati, chiarisci che Bordelli è un comandante del Battaglione San Marco (della parte badogliana, perché esisteva anche un San Marco repubblichino)e, per alcuni romanzi, si può parlare anche di genere noir-storico. Cosa pensi dell’utilità della storia nella vita? Secondo te vi è una tendenza generalizzata all’oblio?

Mio padre, che era nel San Marco e i cui ricordi di guerra ho travasato pari pari nella memoria del commissario, mi diceva sempre che l’Italia si sarebbe ricordata dei partigiani e degli alleati, ma non delle forze militari regolari che combatterono contro il nazifascismo. E in effetti, chi legge i romanzi di Bordelli continua a chiamarlo partigiano, ignorando le informazioni sulla sua appartenenza al San Marco (corpo speciale della Marina Militare).

Più in generale, penso che la dimenticanza sia una tendenza naturale dell’uomo, che in più di un’occasione viene “aiutata” con coscienza. Sono errori politici che spesso posson fare gravi danni.

Hai scritto numerosi romanzi e sceneggiature. Quale ti è costato più fatica, emotivamente parlando?

Per me scrivere non è mai una fatica, anzi… per fortuna è un grande divertimento.

Molte delle tue ambientazioni sono toscane (Chianti, Firenze, etc). Qual è lo shining della tua terra?

Credo che in fondo sia una questione di familiarità. È meglio ambientare le storie in luoghi che si conoscono bene, per poterli usare senza essere didascalici e senza cadere nella “cartolina”.

In “Per nessun motivo” (Rizzoli, 2008) la storia è invece ambientata a Parigi. Cosa c’è di meraviglioso e di terribile allo stesso tempo, per trasporlo ad ambientazione letteraria?

Conosco bene Parigi, ci ho vissuto qualche anno a singhiozzi e mi manca molto.

Sentivo il bisogno di ambientare un romanzo in quella metropoli, forse proprio perché mi manca. La parola serve anche a questo, a evocare ciò che non è presente, sia in termini di spazio che di tempo.

Sempre in “Per nessun motivo” vi è un gioco di forze per cui prevale l’illogicità del destino. Cosa ne pensi tu del destino? Esiste, è solo una coincidenza, quanto incide sugli eventi umani?

A volte mi viene da identificare il destino con il Caso, anche se può sembrare una contraddizione. E spesso il Caso cambia la vita delle persone o fa riemergere antichi misteri. Nel romanzo “Per nessun motivo”, il Caso gioca un brutto tiro a un uomo che non ha saputo trovare il coraggio di parlare con chiarezza. È una storia sulle conseguenze della vigliaccheria.

“Nero di luna” è apparso, in anteprima e a puntate, ogni giorno per un mese su La Stampa: cosa ne pensi del rapporto della stampa con la narrativa e dello spazio che riservano ad essa?

La pubblicazione di “Nero di luna” a puntate su un quotidiano è stata un bella esperienza, che mi piacerebbe ripetere. Mi piace la narrativa sui giornali, e sarei contento che avesse molto più spazio. Le notizie hanno il loro peso, ma la narrativa può aprire porte che il giornalismo non può aprire.

Un’altra bella esperienza di lavoro con i quotidiani è stata la scrittura di raccontini che prendevano liberamente spunto dalla cronaca, in cui cercavo di raccontare le persone e i loro tormenti al di là della notizia nuda e cruda.

E con la televisione, a parte le sceneggiature estrapolate dai film?

La televisione può fare grandi cose, ce lo dimostrano serie americane come Six Feet Under o Dexter.

Ci anticipi qualcosa dei tuoi prossimi progetti?

“Morte a Firenze”, uscito da poco, è il romanzo più amaro e cupo della serie del commissario. Comincia con la sparizione nel nulla di un ragazzino, già avvenuta da qualche giorno. E Bordelli annaspa alla ricerca di una qualsiasi traccia, anche la più banale e fragile, per cercare di venirne a capo. Ma è anche un romanzo sull’Alluvione di Firenze, e la massa di fango, oltre a distruggere la città, mette i bastoni tra le ruote alle indagini di Bordelli… altro non vorrei dire.

Il prossimo romanzo uscirà a primavera 2010, e non sarà un Bordelli. Il titolo: “Il Signor Rossi”. Su questo romanzo preferisco non dire nulla, a parte che il protagonista è un normalissimo sessantenne.