Mi permetta innanzitutto di farLe i complimenti per l’incipit di" Sarti Antonio e l’assassino". La scena del cadavere nell’armadio non si dimentica.

Ho pensato da sempre che un buon inizio sia un invito, uno stimolo al lettore per andare avanti. L’incipit di Sarti Antonio e l’assassino mi è venuto bene, sì. Grazie.

Cosa, secondo Lei, è piaciuto di più alla gente di Sarti Antonio, personaggio che è alla ribalta da ormai 30 anni e che è amatissimo da generazioni di lettori?

Proprio da poco ho presentato, qui a Bologna, Sui colli all’alba, la ristampa (per Stile libero, Einaudi) di un romanzo pubblicato per la prima volta nel 1976. Ebbene, sono rimasto stupito per i giovani lettori che ho trovato in sala. Cosa è piaciuto nel 1976 di Sarti Antonio? E cosa piace oggi ai nuovi lettori? Se lo sapessi...

Posso azzardare un’ipotesi: non saranno scritti bene i miei romanzi?

Sarti Antonio e l'assassino
Sarti Antonio e l'assassino
È una battuta, naturalmente, ma durare in libreria per oltre trent’anni, con l’ipotesi di andare ancora avanti, mi mette una certa euforia.

A proposito di “Sui colli all’alba”; risale, appunto, al 1976. Lo ritiene ancora attuale? Pensa che possa “parlare” ai lettori di oggi come ha parlato a quelli di ieri?

Non lo so. So per certo che è una bella fotografia di quei giorni e che se qualcuno vuol saperne più di ciò che già sa di quel periodo, può leggere Sui colli all’alba.

La dimostrazione la danno le vendite e le presenze di giovani lettori agli incontri.

Non ha pensato di “attualizzarlo”, come fanno molti Suoi colleghi scrittori quando si trovano alle prese con una riedizione a molti anni di distanza dalla prima uscita?

Sarebbe come ritoccare una bella fotografia d’epoca. O come se Leonardo, passando dinanzi alla sua Gioconda, al Louvre, prendesse fuori pennelli e colori e ritoccasse le mani della Gioconda perché non gli piacciono più. O il sorriso. Sia chiaro, non mi sento Leonardo, ma il concetto è questo.

Lei pubblica gialli da tempi non sospetti, quando questo tipo di narrativa non era ancora un fenomeno così diffuso e così di moda. Cosa l’ha attirata verso questo genere?

In verità il giallo italiano, negli anni ’70, semplicemente non era.

Tranne qualche raro romanzo di Fruttero e Lucentini, qualche Felisatt e Pittorru, qualche Olivieri, qualche Macchiavelli, il panorama era decisamente desolante.

Le piste dell'attentato
Le piste dell'attentato
E forse è stato proprio per questo che ci ho provato. Intanto i romanzi che leggevo non mi piacevano ed ero convinto che si potesse fare meglio. Ci ho provato e credo di esserci riuscito.

Almeno a giudicare dai miei lettori.

Cosa pensa della inarrestabile “rinascita” del giallo? Pensa che possa essere un pericolo per la qualità della scrittura il fatto che oramai tutti scrivano e pubblichino libri di questo tipo?

Come dicevo sopra, si tratta di vera e propria nascita. Difatti Scerbanenco non bastava a giustificare un genere italiano. Ci voleva la presenza continua e costante in libreria; ci volevano dei giovani scrittori che dessero nuove idee al giallo, ci volevano editori e lettori che si accorgessero che siamo capaci, almeno quanto gli stranieri, di scrivere un giallo ambientato da noi e con storie nostre.

Dal 1990 tutto questo esiste. E funziona. Ora, se mi dovessi mettere dei pensieri perché si scrivono troppi romanzi gialli, sarebbe come se mi preoccupassi perché tutti i giorni spunta il sole e potrebbe essere che un giorno non spuntasse più.

La qualità del giallo non mi preoccupa: saranno i lettori a giudicare.

Chi non funziona, non dura a lungo. D’altra parte un rischio di questo tipo esiste per tutte le manifestazioni umane: la quantità non significa qualità.

L’importante è che ci siano romanzi, e quindi scrittori, fra i quali il lettore possa scegliere.

Bologna è una città che a lungo è stata considerata “inadatta” all’ambientazione di romanzi gialli. Poi la realtà ha smentito coloro che lo affermavano…

La gente si mette strane idee in testa... Ricordo la lettera di risposta della Garzanti alla mia richiesta di pubblicare il primo romanzo al quale avevo dato un titolo piuttosto stupido: 26 luglio, attentato. Raffaele Crovi lo pubblicò poi con un titolo più intelligente: Le piste dell’attentato.

Bene, in quella lettera c’era scritto, più o meno: Egregio signor Macchiavelli, cosa le salta in mente di ambientare un romanzo giallo a Bologna quando è noto a tutti che Bologna è un’isola felice?

Eravamo nel 1973. Poi l’isola felice se n’è andata come tutti i sogni all’alba.

La verità era, ed è, che Bologna è una città straordinariamente misteriosa e adatta al romanzo giallo. Anche architettonicamente, intendo.

Possiamo dire che la Sua ambientazione a Bologna era considerata "socialmente pericolosa"? Non dimentichiamo che allora questa città era “grassa e rossa “ assieme.

Uno strano destino: quelli di sinistra mi hanno odiato (adesso non più) perché mostravo il volto nascosto di una Bologna che sarebbe stato meglio mantenere nascosto. Quelli di destra mi odiavano (e mi odiano ancora) perché mostravo una Bologna amministrata dalla sinistra e nella quale, nonostante tutto, si viveva meglio che altrove.

Mi viene un dubbio: non sarò io a essere socialmente pericoloso?

Cosa Le piace leggere? E qual è il libro che Le sarebbe piaciuto scrivere?

Mi piace leggere di tutto.

La Bibbia
La Bibbia
In questo momento sono incastrato nella lettura di saggi sulla scienza e sulla filosofia della scienza perché ho trovato che molti problemi di queste discipline si possono adeguare alla cultura letteraria. Al mio lavoro, per intenderci.

Confesso che mi sarebbe piaciuto molto scrivere la Bibbia, ma quando ci ho pensato, il mio editore mi ha avvertito che qualcuno l’aveva già scritta.

Mi tolga una curiosità. Scrive di getto dove Le capita, o sempre nello stesso posto agli stessi orari?

Non ho particolari manie.

Scrivo quando ne ho voglia, e cioè spesso.

“Strage”e “Funerale dopo Ustica”. Cosa L’ha spinta a pubblicare questi libri sotto lo pseudonimo di Jules Quicher?

Mi ha spinto un progetto editoriale studiato con un importante editor della Rizzoli. I romanzi con pseudonimo dovevano essere tre, ma al secondo (Strage) sono stato scoperto perché uno degli inquisiti per la strage alla stazione di Bologna ha ritenuto (a ragione, secondo me) di riconoscersi in uno dei miei personaggi. Mi ha querelato chiedendo alcuni miliardi di lire di risarcimento danni. Fortunatamente il giudice ha riconosciuto allo scrittore la facoltà–diritto di informazione e mi ha assolto.

Il motivo per cui l’abbiamo fatto è semplice: siccome all’epoca la critica e buona parte dei lettori ritenevano che uno scrittore italiano non fosse in grado di scrivere un buon romanzo di giallo o di spionaggio, io e l’editor avevamo pensato di fregare entrambi e di dimostrare che il loro era solo un pregiudizio. Una volta accolti trionfalmente i tre romanzi e l’autore, avremmo, durante una conferenza stampa, rivelato il gioco.

Funerale dopo Ustica è stato un best seller, Strage non ha avuto il tempo per diventarlo perché il giudice di Milano Pomarici ne ordinò il sequestro in tutto il territorio del Regno. Scusa, della Repubblica.

Giallo e giornalismo d’inchiesta. Ci sono punti di contatto? Rapporti?

In passato direi di no. Oggi sì, moltissimi. Intanto molti romanzi polizieschi italiani prendono spunto da avvenimenti di cronaca nera e altri si ispirano comunque alla nostra realtà. Sono perfettamente d’accordo con Carlotto quando sostiene che il romanzo giallo (o noir, se vi piace di più) sta sempre più sostituendosi alle inchieste giornalistiche serie e impegnate che sono sempre più rare nei giornali e nelle televisioni di casa nostra. Oggi è forse troppo pericoloso toccare certi argomenti: con il romanzo si può fare, tanto si tratta di un romanzo.

Come mai, secondo Lei, negli ultimi tempi i giallisti sono diventati tuttologi, interpellati in occasione di qualsiasi fatto di sangue?

Ecco, questa è una moda che mi preoccupa.

Un triangolo a quattro lati
Un triangolo a quattro lati
Forse qualcuno dei miei colleghi si illude che questo sia un sintomo di come gli scrittori di romanzi polizieschi siano importanti, nel nostro paese, visto che finalmente vengono presi sul serio.

Per me è solo il sintomo, grave, che siamo entrati nell’ingranaggio, che non diamo più fastidio.

Personalmente non intervengo mai a dibattiti o a interrogazioni di questo tipo perché io scrivo romanzi, non sono un tuttologo e le vicende della vita e della società che mi circonda, le racconto nei miei libri.

Le è mai capitato, come successo a Lucarelli, di avere anticipato in qualche suo libro una verità venuta poi fuori a distanza di tempo, o la parziale soluzione di un caso?

Questo è accaduto spesso e a molti scrittori di giallo, specie stranieri. È un fatto semplice che non ha nulla di trascendentale o misterioso. Semplicemente, gli scrittori di giallo hanno le antenne drizzate e captano prima di altri certe situazioni, atmosfere, presagi...

Nel 1976, nel mio romanzo Sui colli all’alba, io raccontavo che qualcuno aveva messo una bomba alla stazione di Bologna. Che dire?

In un racconto di qualche tempo fa e del quale non ricordo il titolo (forse sto scrivendo troppo), raccontavo di una sparatoria in un campo nomadi alla periferia di Bologna. Più tardi ecco la Uno bianca realizzare, più o meno, quell’episodio.

Qual è la caratteristica di Sarti Antonio che Lei preferisce?

La sua onestà professionale. Se pure io non condivido le sue idee, il suo modo di vivere e di interpretare la Legge, mi piace questo suo pregio. Anche se oggi, nel mondo in cui viviamo, l’onestà è più un difetto che un pregio. Anzi, sono del parere che presto uscirà una legge che punirà severamente gli onesti. Finalmente l’onestà avrà, così, dei limiti stabiliti per legge.

C’è una cosa che invidio a Sarti Antonio, sergente: la sua possibilità di bere tutti i caffè che vuole. Se lo facessi io, che pure vorrei tanto, finirei male.

Molti scrittori che hanno creato personaggi seriali si dichiarano infastiditi dal successo degli stessi; ammesso che siano sinceri… Lei prova gli stessi sentimenti per il Suo sergente?

Io sono contento che Sarti Antonio, sergente, mi dia da vivere.

Sui colli all'alba
Sui colli all'alba
Anche se qualche tempo fa, ho tentato di ucciderlo, ma questa, come si dice, è un’altra storia.

Oreste del Buono nel testo d’annata che Einaudi pubblica come postfazione a “Sui colli all’alba” dice che per Sarti Antonio l’ispettore Raimondi è peggio del crimine…

Sono perfettamente d’accordo. Certi personaggi, che pure ricoprono cariche importanti, sono il crimine e andrebbero, non arrivo a dire messi in galera perché sono contrario alle galere, ma tolti dai posti di responsabilità. Ne guadagnerebbe la nostra vita.

I Suoi progetti futuri?

Scrivere!