Cap.1

Tartini si svegliò incazzato. Aveva fatto un brutto sogno. Una storia con una donna innamorata. E non c’è cosa peggiore al mondo di una donna innamorata, pensò lui. Perché degenerano, si alterano come i cibi scaduti. Buttò all’aria le coperte, tolse una sigaretta dal pacchetto di Memphis Lights, l’accese e rimase imbambolato, seduto sulla sponda del letto. Aveva voglia di un caffè, ma aspettò. Tirò una boccata dietro l’altra, mentre fissava le persiane della sua stanza da letto. Era ancora buio, eppure la sveglia indicava le sette del mattino. Sentì un ticchettìo: stava piovendo. Quel maledetto sogno lo aveva sconvolto. E se lo ricordava tutto! Lei, un’avvenente udinese, che lo aveva ammaliato con armi improprie e poi, peggio di Norina con Don Pasquale, lo aveva distrutto in quattro e quattr’otto.

Spense il mozzicone e si trascinò in bagno. Fu allora che si fece vedere il gatto Annibale. Come sempre, si strusciò alle gambe del padrone: aveva fame. Gourmet etoile, dadolata di polpa di tonno orientale. Una vera prelibatezza. Gli cambiò l’acqua, mentre il grosso micio divorava il contenuto della scatoletta. Poi finì di farsi la barba. Si sciacquò la faccia e fece la doccia. Il ‘magic moment’, in cui riusciva a cancellare tutti i pensieri, sia quelli brutti che quelli belli. Lui sotto lo scroscio e basta. Il mondo finiva per cinque minuti. Con le sue guerre e con le sue miserie. Con la Coppa del Mondo appena conquistata e con Prodi alla ricerca affannosa di una maggioranza compatta. Con i problemi della giustizia e con le turpitudini del suo lavoro di ispettore capo della Polizia di Stato. Rientrando in camera da letto, sbirciò dalla finestra. Cadeva una pioggia fitta fitta, che ostacolava la visione del Campiello Colombina, peraltro deserto e ancora addormentato. Un vento capriccioso batteva, a fasi alterne, contro le imposte. La lampadina comunale era spenta.

Giangiorgio ruppe gli indugi e si vestì. Il caffè bolliva. Cercò l’ombrello. Dove diavolo si era cacciato? Sacramentò all’indirizzo della sua vicina, la signora Rebetz, che gli accudiva casa e gatto e che, nel suo concetto di ordine, era disordinatissima. Bevve due tazzine di caffè. E mangiò un paio di Buondì Motta. Accese un’altra sigaretta, mettendosi di nuovo alla ricerca dell’ombrello. Lo trovò, dopo un quarto d’ora, in un cassetto dell’armadio insieme alle camicie. Brontolò l’ira di Dio, poi si diede pace e uscì.

Camminò lentamente tra le calli di San Marcuola. Il solito percorso mattutino. Tortuoso e pittorico. Sostò su un ponte. Tra le gocce che il vento gli schizzò in faccia, vide un gondoliere che portava già a spasso un paio di giapponesi. Scosse la testa e proseguì. Giunto all’imbarcadero, salutò un distinto signore che come lui, ogni mattina, prendeva il solito vaporetto linea 1. Era un direttore di banca. E leggeva il Gazzettino. “Belle notizie?” domandò. “E quando mai?” gli rispose l’altro. “La borsa?” “In ribasso. Sta sprofondando come Venezia”.

Incoraggiato da questa ondata di ottimismo, Giangiorgio salì sull’imbarcazione e si mise a sedere dentro. Guardò le punte dei suoi stivaletti. Erano corrose. Come se qualcuno le avesse grattate. Alla stazione salirono diverse persone. Quasi tutti turisti. Armati di macchinette

fotografiche digitali, di videocamere e di telefonini spaziali. Venezia è una necropoli resa viva dai vivi. Che cambiano come le mode e poi ritornano.

Sceso a terra dopo l’impatto tremendo del vaporetto con l’imbarcadero, Tartini si diresse verso il commissariato di polizia. Lo aspettava un ufficio tetro. Per prima cosa spalancò la finestra, che dava su un piccolo canale nero a forma di esse, dopodiché si accomodò sulla poltrona malandata e consunta. Si accese una sigaretta e fissò lo sguardo sulle lampadine che animavano un lampadario stile Anni 60, brutto e polveroso. Gli ritornò in mente il sogno, anzi l’incubo notturno, allora si scosse e chiamò l’ispettore Farsetti.

Questi accorse subito. Aveva una faccia cadaverica.

-Dormito male pure tu?” gli chiese Giangiorgio.

-No. Ma sai, mi piace la vita notturna.

Farsetti era un puttaniere. Solo Tartini ne era a conoscenza. Del resto, prima della omicidi, Dario aveva lavorato per vent’anni alla buoncostume. E aveva legato non pochi rapporti, lui sosteneva che si trattava di confidenti della polizia, con le donnine allegre.

-Capisco.

-Che ha fatto la Triestina?