E va bene che sono stanca, morta di sonno e che ho lavorato come una matta, ma quella scarpa non me la sto mica sognando. È di vernice rosso fuoco e sta dritta in mezzo all’erbaccia del bordo della strada. Dritta e splendente sul suo tacco a spillo di dodici centimetri. Una visione.

Mi guardo intorno: deserto. Faccio una corsetta e l’agguanto. Wow! Che culo, è bellissima, nuova nuova, e pure della mia misura. Culo sì, ma solo se trovo pure l’altra.

Dove cazzo può essere? Stupida non sono, me lo dicono tutti, e per me questa non è una scarpa di quelle che si trovano sull’asfalto, tutte schiacciate, perse non si capisce come in un incidente. No, no, questa meraviglia è perfetta: non ha neanche un graffiettino. Solo un po’ di terra sulla punta, come se si fosse incastrata in una zolla e fosse scivolata via dal piede. Sì, va bene, ma perché non fermarsi a raccoglierla? Ma perché chi la portava correva, chiaro. E perché correva? Chi corre con su tacchi a spillo di dodici centimetri? Chi scappa, chiaro. Però chi scappa con una scarpa sola non può andare tanto lontano. Quindi...

All’improvviso sono tutta eccitata. Mi immagino di essere uno di quei bei poliziottoni mori mori che si vedono alla TV. Cosa fanno loro? Ah, sì: perlustrano la zona. E allora perlustro. Figuriamoci se ho paura della pineta, io.

È mezzora che giro ma non... Eccola! La vedo! Eccola lì, spunta da un cespuglio. Corro, l’afferro per il tacco, resiste, tiro. Si toglie a fatica da un piede. Cazzo. 

La parrucca bionda di Marilù è impastata di una poltiglia scura, gli occhi sono sbarrati, sangue cola dalla bocca spalancata. Il pomo d’Adamo smette di fare su e giù proprio mentre sto lì a guardare.

Scappo. Una scarpa rossa nella borsetta, l’altra stretta al petto. Non mi è mai piaciuta, Marilù, troppo zoccola, troppo volgare. Strano che per le scarpe avesse gusto.