In Un affare di Stato Andrea Colombo ricostruisce il clima politico italiano nella stagione del compromesso storico: la Dc e i contrasti della sinistra, i servizi segreti e la malavita, la lotta interna alle Br, il ruolo di Moro. L'inizio dell'inesorabile declino della prima Repubblica.

Cinque uomini trucidati in mezzo a una strada, un bagno di sangue. Uno Stato colto di sorpresa e incapace di reagire, messo all'angolo dall'offensiva delle Brigate rosse. Comincia così la primavera di paura del 1978, i cinquantacinque lunghissimi giorni del sequestro di Aldo Moro, che si concludono con la sua uccisione. Il più clamoroso delitto politico nella storia recente d'Italia, forse d'Europa, la cui eco non si è spenta nei trent'anni successivi. Trent'anni in cui si è ripetuto che l'affare Moro è il grande mistero della nostra Repubblica. Anche se sette processi e tre commissioni parlamentari d'inchiesta hanno dimostrato il contrario. Le varie tesi complottiste, però, una funzione importante l'hanno avuta: consentire a un'intera classe politica di non rendere conto di ciò che accadde dal 16 marzo al 9 maggio '78, di coprire nei decenni le tante menzogne dette allora. Ovvero affermare che le Brigate rosse erano solo un'associazione a delinquere e non un gruppo politico in armi; attribuire all'ostaggio la "sindrome di Stoccolma", o peggio la pazzia; negare la possibilità di trattare e salvargli la vita senza per questo provocare la rovina dello Stato democratico.

Come la lettera rubata di Poe, la verità del caso Moro è sotto gli occhi di tutti, e forse per questo meno visibile; è nelle parole dei protagonisti dell'uno e dell'altro fronte. Non è una storia di oscure trame e congiure internazionali, ma piuttosto una tragedia politica italiana che affonda le sue radici nella "guerra civile" a sinistra, negli anni Settanta, tra il Partito comunista da un lato e la sinistra rivoluzionaria dall'altro.

Aldo Moro poteva essere salvato. A decidere la sua sorte non furono occulti burattinai, ma un intreccio di interessi e calcoli politici. Le scelte compiute allora da tutti, dalla Democrazia cristiana, dal Pci e dalle stesse Brigate rosse furono dettate da una "ragione di partito" camuffata da ragione di Stato oppure, nel caso dei terroristi, da ragione rivoluzionaria.

Dopo tre decenni di mistificazioni e falsi misteri, oggi è possibile guardare a quei giorni per quello che realmente furono: una lotta senza esclusione di colpi da cui uscirono sconfitti lo Stato e coloro che l'avevano colpito al cuore. E per la sinistra italiana, come per la Prima Repubblica, l'inizio della fine.

Andrea Colombo, a lungo notista politico del manifesto, collabora attualmente con il quotidiano Liberazione. È autore di Le due crociate del Cavaliere (2005). Suoi contributi nei volumi collettanei La città senza luoghi (1990), Ragazzi senza tempo (1993), Il '77 (1997), L'Orda d'oro (1998), George Romero (2003). Nel 2006, il suo Storia nera. Bologna: la verità di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, pubblicato per Cairo Editore e giunto alla quarta edizione, ha riportato l'attenzione dei media il dibattito sul processo per la strage del 1980 e sul terrorismo di destra.