A parlar male (anzi a scrivere male…) di L’eletto, regia (??) di Guillaume Nicloux, fa provare il medesimo stato d’animo che si proverebbe a “sparare sulla Crocerossa”. Atmosfera messianica a mille attorno a un piccolo orfano dato in adozione alla Monica Bellucci che gli vuole bene ma che è giustamente preoccupata perché gli incubi del figlio sono anche i suoi (ci fosse uno straccio d’immagine sugli incubi che perseguitano i due, così, tanto per capire di che pasta sono fatti ‘sti incubi…). Si scoprirà che il bambino è atteso da una setta che come ogni setta che si rispetti vuole la salvezza dei propri adepti (qua pare di capire la posta in gioco è l’immortalità, ma fa lo stesso) e tutti gli altri vadano alla malora (oppure che si convertano…). Regia quasi inesistente, sceneggiatura pure (tratta dal libro del regista di In compagnia dei lupi) che visto l’esiguo numero di personaggi in scena c’ha poco da mescolare le carte. Aggiungiamoci pure che alcuni li vediamo solo in foto, per cui ricollegare nomi e facce quando per spiegare il mistero le parole aumentano in modo esponenziale è cosa complicata (e il buio perenne che avvolge le scene aumenta la difficoltà…). La Bellucci fa la mamma col cuore e la traduttrice, conosce il russo, col cervello (le sentiamo pronunciare solo una parola in russo con la sua voce, per il resto è doppiata e ci fosse una scena che è una che ce la mostra al lavoro, stessa cosa che avveniva con Pierfrancesco Favino scrittore di romanzi per bambini in Saturno contro, mai una volta con una penna in mano o davanti un computer a fare il suo mestiere…). La Deneuve fa, udite udite, la neuropsicologa (pure lei disoccupata da quello che si vede…). Da segnalare, oltre alle rovinose cadute della Bellucci (prima e unica volta che è dato di vedere una persona che precipita mentre sta strisciando in uni di quei tubi per l’aria condizionata che corrono sui soffitti, strisciata che di solito annuncia la scena climatica dove il protagonista origlia, non visto, le parole del villain di turno…), la presenza di animali dall’alto valore simbolico: un’aquila, un serpente, un orso. Quest’ultimo evocato a più riprese dal bambino con domande da bambino (“Mamma, l’orso è buono o cattivo?” “Cosa mangia?”) alla fine arriva (ma siamo sicuri che è un orso?). Siccome costava troppo prendere animali veri, sono tutti frutti del digitale. L’unico motivo per vedere il film è l’aria condizionata (della sala).