Puoi descriverci la tua infanzia? Quali erano le tue passioni da bambino, le tue letture, ma anche le tue paure di quei momenti?

Ho letto libri di fantascienza praticamente fin da quando ero bambino. Ho letto H.G. Wells, Jules Verne, le riviste di fantascienza del periodo, ovvero quasi 60 anni fa, e poi ho iniziato a scrivere le mie storie, per imitare quelle che a me piacevano.

Come è nata in te la passione per le storie di fantascienza?

E’ partito tutto dal desiderio di scoprire mondi che non avrei mai visto. Andavo nei musei e vedevo i dinosauri e mi chiedevo come doveva essere stato il loro mondo, un mondo che non avrei mai potuto visitare, un mondo in cui nessuno sarebbe mai potuto andare, e poi ho rivolto la mia curiosità nell’altra direzione e mi sono chiesto come sarebbe il mondo del futuro, perché nemmeno in quel caso potremo andarci. Però possiamo leggerne, scriverne, pensarci.

Scrivere di fantascienza significa raccontare il presente, il passato oppure il futuro?

Tutte e tre.

In questi anni di grandi e nuove tecnologie è facile scrivere nuove storie di fantascienza?

No, è molto difficile. La tecnologia avanza a un ritmo molto superiore alle mie capacità di apprendimento e oggi è molto difficile mantenersi al passo con tutte le cose nuove e meravigliose che succedono sul piano tecnologico. Io ci provo, ma è molto difficile.

Robert, quali sono i temi classici delle tue opere, quelli che hai cercato di sviluppare meglio nel corso del tempo?

Ha tutto a che fare con il concetto di esplorazione. Esplorazione del tempo, in tutte le sue manifestazioni, ovvero presente, passato e futuro. Sono tutte importanti. Non puoi scrivere del futuro se non conosci qualcosa del passato e, certamente, del presente, e così nel mio lavoro io torno sempre al passato e analizzo gli imperi dell’antichità, la preistoria del mondo… La mia esplorazione riguarda anche altre direzioni, cioè altri mondi, altre epoche, altri pianeti. Proprio la settimana scorsa, ho esplorato l’Italia. Non smetto mai di esplorare.

Per te il romanzo rappresenta la forma narrativa perfetta della fantascienza?

No. Credo che la forma narrativa perfetta sia la novella, cioè un romanzo compreso tra le 20,000 e le 30,000 parole, cioè la forma narrativa che consente allo scrittore di creare un mondo completo senza finire intrappolato nelle complicazioni della narrazione. Credo che i miei romanzi migliori abbiano proprio quella struttura breve. Mi riferisco a opere come L’amore al tempo dei morti oppure Salpare per Bisanzio, oppure quella appena pubblicata, La partenza, in cui si possono stabilire dei concetti fondamentali, sviluppare un tema pur se all’interno di un testo breve.

Ė vero che hai vissuto per molti anni nello stesso palazzo in cui abitavano Harlan Ellison e Randall Garrett? Avete parlato spesso dei vostri nuovi progetti?

Ero molto giovane. Non ci ho vissuto per molto tempo, solo per un anno o due, però quando hai diciotto anni ti sembra un sacco, e non facevamo altro che parlare delle nostre storie. Eravamo degli scrittori giovani con una gran voglia di lasciare un segno nel mondo della fantascienza e, in un certo senso, ci siamo riusciti tutti, ma, ripeto, si è trattato solo di pochi anni ed è passato molto tempo da allora.

Cosa ricordi della collaborazione con Isaac Asimov per Notturno, L’uomo bicentenario, Figlio del tempo. È stato facile lavorare con questi racconti di Asimov ed espanderli?

È stato molto facile perché quelle storie le conoscevo bene e le amavo molto. Conoscevo bene Isaac ed eravamo amici da molti anni. Il suo stile narrativo lo capivo bene. Entrare nella sua mente e ampliare le sue famose storie è stata un’esperienza molto interessante e gratificante. È stato un momento importante della mia carriera, soprattutto in quella fase.

Uno dei tuoi prossimi progetti avrebbe dovuto essere la versione  de Il libro dei teschi, diretto da William Friedkin.

Non c’è molto da dire in questo momento perché c’è stata una specie di rivoluzione alla Paramount. La presidentessa della compagnia, che poi sarebbe la moglie di Friedkin, se n’è andata e dunque tutti i progetti che lei aveva avviati sono rimasti in sospeso e non so nemmeno più se questo film sarà mai realizzato o meno.

Nei due racconti contenuti ne L’amore al tempo dei morti, parli ancora una volta di un tema come quello dell’immortalità. Che messaggio volevi lanciare a i tuoi lettori.

Ho diversi messaggi che potete trovare nel mio nuovo libro, quello che contiene L’amore al tempo dei morti e La partenza. In una delle due storie, i protagonisti si aggrappano alla vita, lottano per sopravvivere e tornano dal mondo dei morti e nell’altra i protagonisti non sono costretti a morire, ma lo fanno di loro spontanea iniziativa. Quello che cerco di dire di quando in quando in tutte le mie storie è che la vita è breve e che forse potremmo ottenere di più da essa. Sarebbe bellissimo vivere più a lungo. Ma sarebbe davvero un fatto positivo e desiderabile vivere più a lungo? Io non ne sono convinto. Credo che la vita abbia una sua lunghezza naturale. Possiamo cercare di allungare la vita, ma non possiamo impedire che finisca.

Noi appassionati di Silverberg vorremmo sapere se hai mai scritto un racconto avente per protagonisti degli zombie.

No. Far paura alla gente non è un tipo di scrittura thriller che mi appassioni, tanto come scrittore quanto come lettore. In L’amore al tempo dei morti, in un certo senso le persone sono delle specie di zombie, ma di un tipo speciale, non zombie alla George Romero, quelli che saltano fuori da dietro una pianta e cercano di spaventarti.