Le mele di Adamo, l’esordio alla regia dello sceneggiatore Anders Thomas Jensen (Mifune, Non desiderare la donna d’altri), che tanto per cominciare fa in modo di rendere piuttosto difficile il non parteggiare per Adam, un neonazista condannato a scontare un periodo di riabilitazione in una parrocchia protestante. Il perché nonostante tutto parteggi per lui è presto detto: perché rispetto a Ivan, il pastore protestante che lo accoglie, e agli altri due ospiti della parrocchia comunità, Gunnar, un ex tennista mai più ripresosi dalla prima sconfitta, e Khalid, un arabo forse con un passato da terrorista, Adam appare come l’unico in grado di affrontare la realtà umana esattamente per quella che è, senza inganni, senza fraintendimenti, l’unico insomma a non difettare quanto a capacità di giudizio, il solo, in buona sostanza, a saper dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, cosa tutt’altro che semplice per colui che in via teorica con una cosa del genere dovrebbe avere una certa dimestichezza, cioè Ivan, affetto da una spiccata quanto preoccupante tendenza a credere ad un mondo che oltre a non esistere, di sicuro appare migliore di quello che è, il tutto dovuto non alla fede, con la quale Ivan pare avere poco a che spartire, ma più semplicemente dalla negazione di qualsiasi evento di natura tragica.

Per questo motivo Le mele di Adamo è in larga parte la storia di come un uomo di Dio dovrà ricredersi sulla propria bontà e per converso di come un neonazista dovrà ricredersi sulla propria malvagità, processi entrambi innescati dall’albero del titolo, dei cui frutti Adam tenta in qualche modo di prendersi cura.

Storie a incastro quindi, in qualche modo contrapposte ma al tempo stesso complementari, dove ciò che uno lascia perché costretto, l’altro raccoglie (perché costretto anche lui…).

A tratti si ride, amaro e a denti stretti, visto che Jensen non lesina un certo umorismo su argomenti come la Shoah, l’handicap, l’aborto (preventivo), il cancro (che in modo bizzarro un proiettile provvederà a rimuovere…), il tutto contaminato da innesti che fanno di Le mele di Adamo a tratti una versione fredda e un po’ bizzarra di Pulp Fiction.

Ma sono appunto contaminazioni che lasciano intatto il nervo principale del film che sembra essere quello di mettere a confronto due mondi assai diversi tra loro e stare a vedere quello che di buono (e di cattivo…) ne esce fuori.

 

Peccato che quando si tratta di chiudere il cerchio, il film mostra qualche crepa, preferendo di gran lunga rimettere a posto tutto ciò che all’inizio si era divertito allegramente a mandare all’aria.