Sbatto i pugni sul finestrino semiaperto, l’uomo-cervo si volta e vedo solo due occhi piccoli e rossi.

— Perché non la fai finita? Mi stai uccidendo!

Abbassa il finestrino di altri dieci centimetri e farfuglia qualcosa. Non capisco niente, sono troppo impegnato a scacciare la nuvola di fumo che l’ha preceduto. Come se non bastasse lo smog. Credo che mi dica che ha freddo. Mi guardo intorno, c’è una fila interminabile di macchine sbiadite nella desolazione bianca. Siamo immersi fino al collo nella neve, ho freddo pure io, che cazzo!

— Le tue fumate nere… devi spegnere il motore.

Il secondo colpo di tosse della bambina mi rimette mia moglie Pat davanti agli occhi. Tossisce anche lei, e piange con la bocca impastata di carta, sangue e tabacco, mentre corre verso la cameretta di Giulia. Gli ho appena strappato di mano il pacchetto di sigarette. Con un braccio intorno al collo l’ho tenuta bloccata e con l’altra mano gli ho infilato in bocca tutta quella merda, fino a spaccarle due denti. Se non lo capisci con le buone lo fai con le cattive. Prima ha acceso una sigaretta e poi mi ha detto che andava a dare il bacio della buona notte alla bambina. Eh no, non ci siamo proprio. Poi l’ho lasciata andare e lei si è infilata in camera di Giulia. Non è andata a darle il bacio della buona notte, ma a vestirla per uscire e portarla dalla nonna. Ma sì, portala dalla mummia, toglietevi dai coglioni tutte e due! È stata l’ultima cosa che le ho detto prima che sparisse dalla mia vita.

Il cervo continua a guardarmi. Il fumo si è diradato e posso vederlo in faccia. Ha due guance gonfie e rosse e un paio di baffoni neri. La berretta di lana e il maglione a collo alto isolano quel faccione che sembra quasi un disegno. In altre occasioni troverei la faccia quasi simpatica, ora mi sembra la più schifosa del mondo.

— Il riscaldamento non funziona con il motore spento — mi dice.

* * *

— Ciao cuoricino.

Il falso poliziotto era alla guida e si stava lisciando i baffi allo specchietto, mentre l’altro, quello che aveva sparato alla coppia di anziani, picchiettava al vetro sorridendo a Matteo, legato e imbavagliato dietro.

— E falla finita, Topo!

— Non sto facendo niente di male, Capo. Gioco un po’ col ragazzo, per ammazzare il tempo… oggi mi diverto ad ammazzare.

Iniziò a ridere come se avesse fatto la battuta più divertente del mondo, ma Capo fece una smorfia e iniziò a scuotere la testa.

— Sei un sadico.

— E vabbe’ — rispose con una scrollata di spalle. Si risistemò sul sedile e prese un fumetto di Topolino dal cruscotto.

— Questa neve di merda non ci voleva. Il ragazzo è una consegna urgente.

Il furgone aveva lasciato la casa di Matteo ed era entrato normalmente sul raccordo autostradale per Firenze, ma due chilometri prima dell’uscita “Siena nord”, il traffico era bloccato.

— Ma dove si porta?

— Tu non preoccuparti. Lo so io, basta e avanza.

Topo fece un ghigno.

— E se ti prende un infarto e crepi? Io dove lo porto?

— Tu non sai guidare, Topo. E se crepo non me ne frega un cazzo né di te, né del ragazzo. E neanche di quel ciccione di merda.

— Quale ciccione?

— Ah, lascia stare. Una brutta storia, farebbe vomitare anche te.

Topo sorrise e rimise il giornalino sul cruscotto.

— E dai! Quale ciccione? Perché non mi racconti mai niente dei nostri lavoretti? Non so mai cosa ci sta dietro.

— Perché il tuo lavoretto è di sparare a chi ti dico io. Non c’è niente di niente dietro. E ora stai zitto un secondo, sentiamo cosa dice Isoradio.

— Se danno Ramazzotti la prendo a calci. A me piacciono i Pooh.

— Zitto! Mi interessa il traffico.

Topo si voltò di nuovo e tornò a picchiettare al vetro. Matteo guardava terrorizzato il suo sorriso.

— Ciao cuoricino.

* * *

Sono rientrato in macchina e penso alla zaffata di alcool che mi è arrivata quando il cervo mi ha risposto. Se non fosse arrivato il ragazzino a dare ordini qua e là, credo che avrei aperto lo sportello e gli avrei dato una testata sul naso.

— Il vino non scalda abbastanza? — gli chiedo.

E lui mi indica la bambina seduta a fianco come fosse una giacca buttata lì a sgualcire. Danne un po’ anche a lei, stavo per ribattere. Poi qualcuno mi appoggia una mano sulla spalla. Mi volto per chiedere “e tu chi cazzo sei?” quando riconosco l’uniforme dei vigili del fuoco sotto a quella faccia ancora piena di brufoli. Bisogna fare spazio, devono passare loro a togliere un camion in mezzo alla strada o di qui non usciamo più.