Impossibile rifarsi a un classico come Distretto 13 Le brigate della morte e pensare, per rimanere in tema, di uscirne vivi.

Ciò che faceva del film di Carpenter (1976) un piccolo grande capolavoro (oltre ad essere esso stesso il trans-remake di Un dollaro d’onore di Hawks…) era:

1. l’uso accortissimo dello spazio con la netta contrapposizione tra il dentro del distretto, claustrofobico al massimo, e il fuori pullulante di nemici;

2. la tensione prossima all’insostenibile che scaturiva dalla circostanza che nessuno dall’esterno si accorgeva della battaglia in corso con l’aggiunta della magnifica colonna sonora (a firma, come si ricorderà, dello stesso Carpenter);

3. il silenzio, quasi paradossale, nel quale l’assedio si svolgeva (l’intero film risultava sul piano sonoro estremamente ovattato);

4. la tipologia degli assedianti che privi di una qualsivoglia identità, finivano dritti spediti a rappresentare la dimensione archetipica del Male.

 

Nulla di tutto ciò in questo lasco remake dal titolo omonimo a quello originale, vale a dire Assault on Precinct 13 di J. F. Richet, che pare voler prendere in modo massiccio le distanze dal prototipo e dirottare ciò che rimane su altre piste.

Mal gliene viene. Il film paradossalmente soffre troppo del tentativo di delineare la dimensione psicologica del sergente Jake Roenick/Ethan Hawk, che roso dal senso di colpa per non essere riuscito a garantire l’incolumità di due suoi agenti durante un’operazione undercover (si veda il prologo), si ritrova un’altra volta, suo malgrado, a decidere della vita e della morte di altre persone.

 

Altro cambiamento che certo nuoce al film è quello che muta inspiegabilmente l’identità degli assedianti, così che ai poliziotti assediati nel distretto in via di dismissione (e come tale tagliato fuori a livello di comunicazione dal resto del mondo), viene contrapposto un gruppo ben nutrito di poliziotti che tanto per cambiare risultano corrotti.

A rimanere senza spessore è anche la parte, certo importante, che vede di fronte al pericolo venire meno le distinzioni tra poliziotti sani e delinquenti rinchiusi nelle celle, così che a prescindere dalla fedina penale, ognuno cerca di salvare la propria vita e indirettamente quella degli altri.

Ma l’afflato morale, ammesso e non concesso che all’interno del film ne circoli uno, rimane a livelli infimi, dimostrando ampiamente come il film si sia ispirato a qualcosa che non si è compreso.