Giappone, 1945/46. L'imperatore Hiroito, per porre fine al conflitto mondiale decide di collaborare con il generale americano MacArthur firmando l’armistizio e rinunciando al suo status divino.

 

Film a suo modo geniale come geniale è tutto il cinema di Aleksandr Sokurov, sempre un passo dentro la Storia, perlomeno a stare ai suoi ultimi tre film, Moloch (un fine settimana qualunque di Hitler ed Eva Braun), Taurus (le ultime ore di vita di Lenin, mai distribuito in sala…) e questo Il sole, sulla figura dell’imperatore giapponese Hirohito. Un passo dentro ma anche sempre un passo fuori, in una dimensione atemporale, più vicina al sogno che alla realtà, dove Sokurov, sua la fotografia, smorza le luci e i colori preferendo smussare i contorni trasfigurando l’essenza stessa delle situazioni, piuttosto che riprodurre.

Dalla caligine fuoriesce un film diverso (come è diverso Il gusto dell’anguria di Tsai Ming-liang…), che andrebbe visto non fosse che per questo, un film che a ogni inquadratura segnala importanza, un film che non teme la noia scegliendo i tempi dilatatati dai cerimoniali prima e il pragmatismo dei vincitori poi, il tutto per illustrare la venuta al mondo di un essere che consegnato per tradizione al mito vorrebbe semplicemente e disperatamente esistere come uomo. È proprio tutta la tensione tra l’essere considerato un Dio e il non sentirsi tale a diventare un tutt’uno con l’altro grande tema che accompagna la trilogia di Sokurov, vale a dire il tema del potere sconfinato che concentrato nelle mani di un solo uomo finisce col generare tutt’attorno solo morte e distruzione.

Film rigoroso e inesorabile, nel bene e nel male, da prendere o da rifiutare senza mezze misure, eppure sempre capace di bastare a se stesso solo e soltanto con la forza delle immagini.