“Un thriller europeo”, così viene proposto dall’Editrice Nord il nuovo romanzo di Stefano Di Marino. Sacrosanto. Ora Zero è un romanzo dove finalmente è l’Unione Europea (non semplicemente l’Europa, come continente o singole nazioni) a essere protagonista (e alla grande!) di una spy story pregna d’azione: un thriller incalzante, coinvolgente, elaborato nell’intreccio e nel contempo scandito da un countdown cinematografico.

Europei sono gli scenari (e ce ne sono veramente tanti, curati con attenzione, ma senza mai pesare sulla fluidità dello svolgimento), le strutture (politiche, militari, di polizia, di intelligence…), i personaggi, protagonisti e comprimari (“buoni” e “cattivi”, e li virgolettiamo perché le dicotomie poco si adattano ai lavori dimariniani), le eredità storiche, gli intrighi…

L’Unione Europea, di fronte alle sferzate di un feroce terrorismo interno e ai giochi del potere occulto e sovranazionale, dimostra svariate delle sue debolezze, la mancanza di una identità solida, di un superamento delle vecchie conflittualità, dei nazionalismi, dei sciovinismi, delle convenienze… Debole, dunque, ma per fortuna determinata ad andare avanti, a farcela. Col tempo. A dispetto delle difficoltà. Solo tirando fuori volontà e palle, però. Lottare: affinché tale Unione, pur complessa, superi gli anni duri dell’infanzia per sopravvivere, crescere, maturare.

Ma forse, questo è una mia lettura personale. Meglio parlarne direttamente con l’autore di Ora Zero.

Allora Stefano: un “thriller europeo”, in che termini?

Be’, innanzitutto ambientali. Era una scommessa scrivere una storia tutta europea dopo tanti romanzi con sfondi asiatici. Tutto nasce da un viaggio di circa due anni fa nell’Europa dell’Est, in treno. Un’avventura vera, dove fortunatamente non si spara ma ne son successe di tutte. Ricordi che ci fu l’alluvione a Praga? A un certo punto mi sono trovato bloccato e non riuscivo neanche a rimediare una camera per la notte. Scherzi a parte, molte ambientazioni sono uscite da quell’esperienza. Anche se il tema dei pericoli dell’Europa unita si è evoluto con il tempo ed è quello che hai correttamente inquadrato nell’apertura dell’articolo.

"Ora Zero" conta quasi 700 pagine. E’ abbastanza raro che a un romanzo “di genere” italiano venga concesso tanto spazio, per quanto l’autore possa vantare su una esperienza lunga, vasta e solida come la tua. La Nord dimostra da un lato di credere (giustamente!) nel valore del tuo romanzo, dall’altro di ritenere pronto il nostro mercato a riconoscere la validità della narrativa italiana anche in generi numericamente poco rappresentati dai nostri autori (fatte salve alcune eccezioni, e qui è doveroso ricordare quantomeno il grande Alan D. Altieri). Possiamo essere ottimisti, sperare in un trend positivo?

Assolutamente sì. Per questo devo ringraziare l’editore che ha creduto nel progetto e direi sì, anche nell’idea che in Italia si possano produrre finalmente romanzi in grado di combattere con le stesse armi delle spy-story straniere. A questo proposito ci tengo a specificare che, benché l’esempio anglosassone non sia prescindibile, la mia idea è quella di proporre romanzi che siano “europei” non solo nell’ambientazione ma nello spirito. Le regole per costruire una storia dove tutto tiene - non ultima l’attenzione del lettore - non sono… americane, sono regole del romanzo in sé. E’ importante che si cominci a pensare a una tradizione europea - non solo italiana - del romanzo d’azione che non è contraria a quella anglosassone, solo se ne discosta per quel che riguarda temi, ambientazioni, caratteri dei personaggi. E’ un discorso cui tengo molto e che ho approfondito sul sito di Europolar. Ma il miglior modo di sostenere un “manifesto” narrativo se vogliamo chiamarlo così è… scrivere, appunto.

Quasi settecento pagine, dicevamo. Ma non si sentono affatto. Be', il ritmo non è mai mancato nella tua narrativa, qualsiasi sia il nome con cui ti firmi (Stefano Di Marino, Steve Di Marino, Stephen Gunn, Xavier LeNormand, ecc…), ma in "Ora Zero" trovo che il montaggio sia ancor più serrato, a tratti sincopato. Non per niente, è una “guerra” su più fronti. E la narrazione non ne tralascia nessuno.

Scrivendo s’impara, non solo, pubblicando s’impara… meglio di quanto uno non possa fare leggendo cento manuali. Ogni libro pubblicato segue tutta una lavorazione che t’insegna qualcosa. In effetti oggi questo genere di narrativa richiede tempi più serrati - come anche il cinema ci ha insegnato. A volte mi capita di rileggere dei classici che, per carità, sono pietre miliari, tipo i vecchi Forsyth, ma mi rendo conto che oggi il ritmo è cambiato. Una volta la formula di raccontarti tutto nei minimi particolari funzionava, adesso, soprattutto di fronte a storie così complesse, la scansione dei capitoli, i traguardi di lettura dati a chi ti segue sono fondamentali. Un po’ di responsabilità ce l’hanno i media. Uno tsunami oggi, uno scandalo il giorno dopo e poi ancora un attentato. Qualsiasi notizia, anche la più terrificante, dopo un giorno è superata… non so se sia giusto o sbagliato ma è così, ormai siamo abituati a seguire in presa diretta di tutto dalla cronaca della guerra alle catastrofi naturali, magari mescolate con l’ultimo scandalo dei vip. Si crea una forma mentis che il narratore deve comunque tenere presente se vuole essere seguito.

OK, molta azione, alta frequenza dei cambi di scena, adrenalina, botti e botte… Ma non lasciamoci fuorviare: in "Ora Zero" curi molto lo spessore psicologico dei protagonisti e le interazioni private che necessariamente si intersecano a quelle professionali. E’ anche una storia di amicizie messa alla prova, di passioni difficili, di sentimenti contrastanti…

Certo. Non che avessi in mente di scrivere un romanzo psicologico… impegnato, ma certe cose, se senti la storia… i personaggi… escono naturalmente. Bruno ha qualcosa in comune con Chance ma anche con me. Era un ragazzo italiano che voleva diventare un eroe e si è giocato tutto per realizzare il suo sogno, poi ha capito che non solo il sogno non era così bello, ma che non sapeva fare altro. Poi ci sono certi atteggiamenti un po’ autodistruttivi, la passione per i sigari, la vodka, l’abitudine di farsi il caffè da solo. Cose funzionali alla trama ma che rivelano certe sue nevrosi. E così Linda che è veramente il suo doppio femminile, per questo la loro storia è così difficile. Ma ci sono altri personaggi, Regina. Non c’è sesso esplicito in questa storia ma quando Bruno e Regina sono insieme la tensione sessuale è sempre alta. Bruno con le donne non ci sa fare, sceglie sempre quelle sbagliate. Regina è il frutto proibito e lui lo sa, ma ci cade lo stesso. E comunque rispetto all’Ombra del Corvo Bruno è più cinico, più freddo. Gli anni passano, è un sopravvissuto. Ma tutto questo non deve interferire con la storia, deve aiutarla.

Molti personaggi, dicevamo. Protagonisti alcuni, caratteristi altri. Vediamone i principali. Iniziando ovviamente da due vecchie conoscenze: Bruno Genovese (L’ombra del Corvo, Sperling & Kupfer), Ermelinda Casillas (Pista cieca, Mondadori, e ancora L’ombra del Corvo).

Be’, questa domanda prosegue ciò che dicevamo. Sì, mi piaceva l’idea di riprendere dei personaggi che avevano già un passato che non necessariamente deve essere raccontato. Bruno ha una brutta cicatrice. Non sappiamo esattamente perché (chi non ha letto L’ombra del Corvo, naturalmente) ma c’è. È servito soprattutto a me per inserire personaggi che nascono da un vissuto precedente che a volte riemerge, li rende se non più realistici, più credibili.

I tuoi fans di vecchia data saranno di certo contenti di ritrovare anche altri volti noti, primo fra tutti Marc Bastien (Pista cieca), e poi Marie Galante (Lacrime di drago, Mondadori) e, se la memoria non mi lancia falsi segnali, direi anche qualche altro…

Marc Bastien è stato uno dei miei personaggi più amati, forse perché Pista cieca fu un libro sofferto. Adesso è invecchiato. Con Linda ha sempre un rapporto inespresso come nel primo romanzo, ma c’è molta tensione tra loro. Marie Galante, in verità, è un mix di due personaggi, quello che citi e un altro che moriva in Pista cieca. L’idea nasce da una ragazza che conobbi molti, molti anni fa, prima ancora di Pista Cieca. Non so che fine abbia fatto. Me la ricordo però, è lì, nella memoria.

Ora, passiamo al… nemico. Un tuo recente romanzo della serie del Professionista si intitola "Il nemico siamo noi" (Segretissimo 1502, a firma Stephen Gunn). Un concetto che, in più punti, e sotto vari aspetti, ritorna in "Ora Zero", dove ben presto diventa difficile distinguere amici e nemici.

E chi ci riesce più? Andiamo a portare la pace e la democrazia coi fucili oppure stiamo facendo il gioco di qualcun altro? Davvero si può lasciare che un dittatore spadroneggi a suo piacimento? Ma i “superpoliziotti” perché ne scelgono uno invece di un altro? E allora nei miei romanzi tutti, in entrambi in campi, perdono un po’ il senso di quello che stanno facendo. Sono travolti da un gioco dove si può solo continuare a combattere. Alcuni, però, hanno ancora un loro senso morale, dei sentimenti, dell’amicizia. Ma sono cose personali. Niente ideali, vessilli dietro ai quali correre. Forse Bruno, se fosse nato in un villaggio dei Balcani sarebbe stato un seguace di Dragan. È un’ipotesi agghiacciante… Questa mancanza di linea di demarcazione tra buoni e cattivi, credo sia appunto lo spirito “europeo” che distingue il mio romanzo da prodotti simili anglosassoni.

Lo spietato terrorismo che colpisce sanguinosamente l’Europa nel tuo romanzo ha origine endogena, anche se diventa presto chiaro quanto una Unione debole faccia comodo a molti. Dunque, se Caspar Dragan è in un certo senso il “classico” nemico per antonomasia (con tutte le caratteristiche di lucida follia e di perverso carisma che caratterizzano le figure del nostro immaginario, e purtroppo anche troppi protagonisti della Storia e dell’attualità), la minaccia più grande resta quella del Comitato, di ciò che rappresenta.

Sì, con Dragan mi sono anche divertito a creare un cattivo-cattivo del genere di Tazzi (in Pista cieca) di quelli che si rialzano sempre perché… alla fine Ora Zero è una storia d’avventura e in questo genere il cattivo piagnone non funziona. Dragan è così perché quella è la sua natura. Com’era Geronimo che forse aveva giustificazioni perché era cresciuto nelle badlands, gli avevano sterminato la famiglia ma poi ha finito per vivere per la guerra in se stessa, accendeva i fuochi sotto le teste dei prigionieri, gettava i neonati sui cactus. Poche storie, in un thriller il cattivo è uno con le palle altrimenti non fa paura. Poi c’è il Comitato che è ancora peggio perché è la faccia oscura del mondo che vediamo tutti i giorni. È il benessere, la ricchezza, il progresso che difende se stesso e lo fa, come ha sempre fatto, con la corruzione, la violenza, l’inganno. Non so quale dei due sia peggiore. Però Dragan ci è più simpatico, è uno che ha visto la fame nera, non ha studiato filosofia o frequentato qualche circolo radical-chic per diventare quello che è. Un puro, se vogliamo.

L’intrigo è radicato nella tua narrativa, in qualsiasi forma e genere si presenti. Sotto questo aspetto, "Ora Zero" è probabilmente il romanzo più complesso che hai scritto, di certo il più lungo. E’ stato anche il più impegnativo?

Assolutamente, il problema maggiore era mantenere l’unità di tempo. In 7 giorni non si può pretendere che uno non dorma mai, non mangi mai, eccetera… quindi ho dovuto trovare il modo perché i personaggi, buoni e cattivi, avessero i loro momenti di respiro. Puoi far credere che uno esca indenne da una sparatoria con quattro killer perché è una convenzione del genere, ma non che non dorma per una settimana. Ho vissuto i sei mesi della scrittura con tutti loro, buoni e cattivi, bella fatica ma anche grossa soddisfazione.

Avventura dopo avventura, un tale Jack Ryan ha fatto un carrierone che lo ha portato fino allo studio ovale. Riempiendo le tasche di Tom Clancy. Bruno Genovese non me lo vedo proprio sotto i riflettori della politica; non di meno, sentiremo sicuramente parlare ancora di lui, alla direzione del DSE, o meno che sia. Sei pronto per lanciarlo di nuovo in campo?

No, Bruno è un tipo fisico. Essere bloccato nella stanza dei bottoni è stata la sua nemesi. Se lo conosco cercherà di starne fuori. E poi alla fine del romanzo riemergae una sua ossessione. Sto elaborando un seguito che non voglio sia un altro episodio di un serial, ma una tappa della vita dei personaggi, proprio come lo erano i precedenti romanzi che hanno strutture e ritmi differenti. È la principale differenza con il Professionista e Vlad che hanno proprio un “format” differente. Un’altra sfida…

OK, Stefano, abbiamo incuriosito abbastanza i nostri lettori. Ti auguriamo che "Ora Zero" sia un grande successo, affinché possa venir tradotto, letto e apprezzato in più paesi dell’Unione. Un caro saluto a te e a tutti coloro che ci hanno seguito.

Grazie a tutti voi che avete la pazienza di seguirmi…