INTERVISTA A LAYLA ZHUQING JI

 

Il film “Victim(s)” si inspira a fatti realmente accaduti. Può dirci qualcosa di più su questi eventi e perché ha deciso di fare il suo primo film su questa storia?

Il film si ispira a, ma non è basato su fatti realmente accaduti, nel senso che non c’è una singola storia sulla quale ho deciso di concentrarmi per creare la mia opera. Mi interessava parlare di un dato argomento, e ho fatto quindi delle ricerche su più storie relative a quell’argomento e le ho usate come ispirazione, ma il film in realtà è una commistione fra il mio lavoro di ricerca ed eventi a cui ho assistito io stessa da adolescente.

L’ambientazione della storia non viene mai indicata in maniera esplicita. Visto che tutti i personaggi principali parlano in mandarino, il luogo della storia potrebbe essere una città cinese qualsiasi in Cina, a Taiwan o anche in Malaysia.  Si tratta di una scelta voluta?

Il mio è un film malese, poiché la storia è ambientata in Malaysia, nello specifico, all’interno della comunità cinese, uno dei gruppi etnici più grandi del paese. Per quel che riguarda la struttura della storia, però, abbiamo volutamente cercato di evitare di menzionare un paese specifico, perché la violenza scolastica e il cyber bullismo sono dei temi tendenzialmente universali. Volevo che il mio film potesse essere fruito e capito da più culture possibili. Allo stesso tempo, abbiamo anche cercato di includere le diversità culturali presenti in Malaysia nell’ambientazione e nelle parti sullo sfondo della storia stessa. Quindi, sì, credo che si possa dire che la mia sia stata una scelta voluta, perché ciò che presentiamo nel film sono questioni con cui tutti gli esseri umani si ritrovano a dover fare i conti, non solo in un paese specifico ma ovunque nel mondo.

C’è un motivo particolare per cui ha deciso di filmare Victim(s) in Malaysia?

Ero rimasta molto colpita dalla ricchezza delle culture ed etnie differenti presenti in Malaysia quando ho visitato il paese. Credo fosse il setting ideale per trattare un argomento universale come quello esposto nel mio film. Inoltre, i miei finanziatori sono del Sudest asiatico, per cui girare lì era più economico; in ogni caso, l’ambiente cinematografico malese è molto efficiente e professionale.

Oggi la Cina è l’industria cinematografica di maggiore espansione e si prevede che superi gli Stati Uniti in termini di incassi al box office entro il 2025. Crede che questo possa dare ai nuovi registi cinesi maggiori opportunità per fare in modo che la loro voce venga ascoltata?

Certamente. La Cina ha uno dei mercati cinematografici più vasti al mondo e sta crescendo ogni giorno sempre più rapidamente. Molti cineasti della mia generazione hanno avuto l’opportunità di studiare all’estero e sono diventati multilingue, quindi è solo questione di tempo prima che dei nuovi cineasti cinesi riescano a venire alla ribalta e diventino famosi. Credo anche che in futuro ci saranno sempre più registi cinesi in grado di superare la barriera della conoscenza delle lingue straniere e fare film all’estero, girandoli anche in altre lingue. Il cinema stesso è di per sé un linguaggio, e in quanto cineasti parliamo tutti la stessa lingua, indipendentemente dal nostro paese di provenienza. Tutte le voci meritano di essere ascoltate.

Nelle decadi precedenti, molti registi cinesi di solito andavano negli Stati Uniti per dirigere film e avere la libertà di creare le storie che volevano come volevano. Oggi invece, molti registi cinesi preferiscono studiare negli Stati Uniti per poi tornare in Cina per iniziare lì la loro carriera vera e propria. Lei stessa ha studiato negli Stati Uniti e, dopo aver filmato la sua opera di debutto “Victim(s)”, ha in progetto di girare un nuovo film in Cina. Quanto diversi sono per lei gli USA e la Cina riguardo le possibilità di carriera e il modo di considerare e dare spazio all’arte e alla creatività?

Personalmente, credo fermamente che la Cina offra davvero molte più opportunità degli Stati Uniti, essendo un mercato in continua crescita e con una richiesta maggiore, soprattutto di nuovi registi e sceneggiatori. Mentre ero negli Stati Uniti, mi sono resa conto che se vuoi essere presa sul serio come artista, devi prima ottenere un qualche riconoscimento prestigioso ad un festival o rappresentare un’istanza di qualche tipo, politica o sociale. In Cina invece, ci sono molte più opportunità e aiuti per sostenere i giovani cineasti attraverso concorsi e mercati legati ai festival cinematografici; inoltre, molte case di produzione cinematografiche cinesi sono disposte a rischiare puntando su nuovi talenti permettendo loro di cimentarsi con un’opera prima, magari anche sbagliando, ma avendo comunque la possibilità di crescere e imparare  ̶  questo è molto raro che accada negli Stati Uniti, perché le grandi case di produzione non sono disposte a correre rischi simili. Per quel che riguarda le differenze sul modo di considerare e dare spazio all’arte e alla creatività in un paese o nell’altro, credo che culture fra loro differenti contribuiscano a trasmettere un’idea di “diversità” o varietà, anche se questa “diversità” non necessariamente comporta un’autentica “differenza” culturale, artistica o di altro tipo; penso che ogni artista o narratrice/narratore senta il bisogno di esprimersi e dedicarsi al tipo di arte che predilige, e per me non dovrebbero esistere delle etichette con cui imbrigliare o limitare la creatività di qualcuno.

Crede che oggi la Cina offra più opportunità alle registe donne rispetto al passato? Secondo lei, esistono delle forme di discriminazione che le donne registe devono ancora subire, sia nell’industria cinematografica cinese in particolare che nel mondo del cinema in generale?

Ci sono tante registe donne leggendarie in Cina, anche se è indubbio che le registe siano ancora considerate un’eccezione, ma è un problema mondiale, non solo cinese. D’altra parte, in Cina ci sono molte opportunità di carriera per i nuovi talenti, e quindi anche per le donne che vogliono dirigere dei film. A volte, alcune case di produzione cinesi riconoscono il punto di vista differente e “sensibile” delle donne registe, e quindi chiedono loro di dirigere una data storia; però questo non ha nulla a che vedere con quanto accade negli Stati Uniti, dove dietro la scelta di una regista donna ci sono spesso questioni politiche e dove purtroppo una scelta simile è considerata una moda. Credo che, in quanto donne che lavorano in un settore gestito e dominato dagli uomini, come registe dobbiamo costantemente affrontare delle sfide. Credo anche che per le direttrici della fotografia sia anche peggio, perché sono ancora più rare delle registe. Nel team con il quale lavoro, ad esempio, siamo una regista, una direttrice della fotografia e due produttrici, ma lavoriamo anche come produttori e finanziatori uomini molto in gamba e c’è rispetto reciproco. Ho sentito dire però che in alcuni luoghi dell’Asia (non ricordo di preciso dove né se sia solo una diceria), le donne non possono sedersi su una cassetta di mele perché si pensa che portino sfortuna al set del film, come una sorta di maledizione sugli strumenti di lavoro, i macchinari o una cosa del genere. Quando me l’hanno riferito ho pensato: “mmh, se mai girerò un film da quelle parti, farò in modo di fornire una cassetta di mele a ogni donna presente sul set e di farla sedere proprio lì sopra!”

Oggi si parla tanto di tematiche LGBTQ+ e sebbene nel 2019 a Taiwan sia stata approvata una legge che rende i matrimoni same-sex legali, questi argomenti sono ancora un tabù in molti paesi asiatici (ma anche in molti paesi occidentali). Secondo lei il conflitto interiore sul proprio orientamento sessuale descritto nel film è tipico di tanti adolescenti cinesi di oggi?

Non direi che si tratti di una questione tipica soltanto degli adolescenti cinesi. Nel film, Gangzi rappresenta un personaggio che vive una fase di confusione riguardo il proprio orientamento sessuale. Credo che le fasi descritte nel film siano tipiche di molti adolescenti di diverse parti del mondo: la difficoltà di accettarsi, il fingere di essere etero, il rifiuto di ciò che si è… In Malaysia è ancora più difficile, essendo un paese dove la religioen è molto importante, quindi  Gangzi si ritrova a gestire un conflitto interiore ancora più caotico di quello di adolescenti che vivono in altri luoghi del pianeta. Credo davvero che molti adolescenti vivano il proprio orientamento sessuale in maniera confusa, quindi la storia da me descritta è in qualche modo tipica, ed è importante che noi adulti costruiamo una società in grado di accogliere e aiutare gli giovani a ridurre la propria ansia di sentirsi non accettati o fuori posto.

Pensa che il suo film possa stimolare una riflessione pubblica sul sessismo e l’omofobia dei paesi in cui si parla mandarino, permettendo sia agli artisti che al pubblico di parlare apertamente di questi argomenti? Era questo il suo intento originario quando ha creato la storia di “Victim(s)”?

 

Spero vivamente che il mio film possa generare una discussione pubblica sulla violenza nelle scuole, sul cyberbullismo e sulle motivazioni che si celano dietro questi eventi brutali. Per me, il cinema è un linguaggio, quindi è qualcosa che comunica, ma non dovrebbe “educare” le persone. Credo piuttosto che il film possa generare una consapevolezza sulle tematiche di cui tratta, per stimolare poi una discussione e magari influenzare le persone per spingerle a vedere le cose con occhi diversi. Se il mio film generasse tutte queste cose insieme, la mia missione sarebbe compiuta, e ne sarei davvero contenta.

Ci sono dei registi o delle registe da cui ha tratto diretta ispirazione per scrivere e dirigere il suo film? Ci sono dei film precisi che le piacerebbe nominare come influenze principali per il suo lavoro?

Adoro Clint Eastwood, trovo intrigante il fatto di non poter prevedere dove andrà a parare la storia ogni volta che vedo un suo film. Mi piace il modo in cui ignora del tutto le regole del gioco, come se dicesse: “questo è ciò che voglio dire e come voglio dirlo, punto e basta.” Credo di essermi ispirata a lui per il modo in cui ho strutturato il mio film. Amo anche Ang Lee, per il modo in cui riesce a saltare da un genere all’altro. Mi piacerebbe fare una cosa del genere un giorno. Ci sono un sacco di film che mi hanno influenzata da ragazza; sulle tematiche sociali, mi viene in mente “The Cove”, ma adoro anche film sudcoreani come “Silenced (Do-Ga-Ni)”, oppure opere come “Spotlight”. Sono senza dubbio i film che mi fanno ricordare perché sono voluta diventare una cineasta.

 Attualmente sta lavorando ad un nuovo progetto? Di cosa si tratta?

Sto lavorando ad un paio di storie, ma mi stanno prendendo veramente tanto tempo e non so quando le finirò. Inoltre, dirigerò un film mainstream, una storia romantica che è anche l’adattamento di un romanzo cinese.

Crede che dirigerà un altro film in Malaysia o da qualche altra parte fuori dalla Cina o Victim(s) è stato un evento unico e irripetibile?

Dirigerò senz’altro qualcos’altro fuori dalla Cina. Per me, la possibilità di girare film in giro per il mondo è qualcosa a cui non saprei resistere. Inoltre, parlando fluentemente tre lingue, non sarebbe difficile in termini di comunicazione con la troupe e con le persone in generale. Di volta in volta, andrò dove la storia a cui sto lavorando mi porterà.

Che consiglio darebbe a una giovane donna cinese che sogna di diventare regista?

 

“Non cercare di essere come tutti gli altri, cerca di essere diversa.” Un responsabile alla UTA mi diede questo consiglio qualche anno fa, mi è piaciuto molto e lo giro volentieri ad altre persone.