Francesco Chiacchio è un illustratore, disegnatore, pittore fiorentino.

Ha creato le copertine di alcuni romanzi di Leonardo Gori, Marco Vichi e Gianni Biondillo. Ha disegnato quattro fumetti, le immagini per un progetto multimediale (Suite per Malcolm ), vari romanzi fra cui Germinal di Zola e “90 secondi all’inferno. Storie jazz” di Basile e Monastra.

Si è cimentato anche in rielaborazioni pittoriche di alcune copertine di riviste femminili.

Fra i volumi illustrati, “Un regalo per Nino”, di Lilith Moscon e “Monsieur Magritte” di Lilith Moscon, entrambi editi da Libri Volanti e la raccolta di poesie di Silvia Vecchini "Acerbo sarai tu", edito da Topipittori. I due libri sul tema dell'immigrazione sono "Dall'Atlante agli Appennini" e "Anche Superman era un rifugiato".

Ha prestato spesso il tratto e i colori per illustrazioni di libri per l’infanzia fra cui “Dall’Atlante agli Appennini” di Maria Attanasio, (Orecchio acerbo) e “Anche Superman era un rifugiato”(Il battelo a vapore), entrambi sul tema dell’immigrazione.

In una delle presentazioni fiorentine del penultimo romanzo di Leonardo Gori, “La nave dei vinti”, erano mostrate al pubblico che assiepava la libreria le copertine incorniciate dei precedenti romanzi dell’autore. La loro visione d’insieme costituiva una summa pittorica dell’opera di Gori.

Sulla base di questa suggestione, ho deciso di porgere qualche domanda a Francesco Chiacchio, sicura di interpretare la curiosità di molti lettori sul lavoro dell'illustratore.

Partiamo dal mondo dell’illustrazione di testi letterari. Qual è la chiave di interpretazione per poter rendere graficamente un testo scritto?

Io parto sempre dal segno, un musicista direbbe dal suono. Insomma, è come se cercassi un'assonanza tra il mio segno e il testo, una voce adatta a raccontare la storia in questione. Il segno è l'anima che sorregge tutta la struttura grafica, anche emotivamente.

L’illustrazione di un libro destinato ad un pubblico di bambini o ragazzi risponde a delle regole differenti rispetto all’illustrazione di un classico o di un romanzo per adulti?

Secondo il mio approccio no, in ogni situazione mi confronto col testo e lascio che siano le parole a far nascere le immagini nella mia testa, senza alcuna regola o preconcetto. Che si tratti di un classico o meno.

Come struttura l’immagine di copertina di un romanzo?

Solitamente i tempi di lavorazione, che sono brevi, non mi permettono di poter leggere interamente il romanzo, così mi viene fornita una sinossi dall'editore. Cerco di cogliere l'essenziale, e tradurlo in una sola immagine rappresentativa. è un buon esercizio di sintesi. Nel caso di Leonardo Gori poi, abitando vicini, il confronto si amplia e ormai da tradizione per ogni libro nuovo ci incontriamo per bere o mangiare qualcosa insieme e parlare del nuovo libro. Leonardo è un bravo e generoso narratore e riesce sempre a suggerirmi gli elementi utili a scovare l'idea giusta. A quel punto passo ai pennelli, cercando sempre di tenere la parte alta dell'immagine libera per il titolo e il nome dello scrittore. Dunque la scena si focalizza principalmente dalla metà della copertina verso il basso, anche se cerco di non tradire l'equilibrio generale, considerando una tensione verticale che segua la struttura fisica del libro.

Nell’elaborazione delle copertine dei romanzi di Leonardo Gori quali sono gli elementi caratterizzanti? I colori scelti hanno lo scopo di rendere l’atmosfera dell’opera?

Da subito l'idea condivisa con l'editore è stata quella di trovare uno stile che differisse dalle copertine di Marco Vichi e da quelle di Gianni Biondillo. Volevamo che a colpo d'occhio i libri di questi tre autori avessero tre identità differenti. Dunque ho scelto la materia dell'acquerello, che uso più o meno densamente, dipingendo alcune ambientazioni legate alla storia raccontata, e inserendo sempre nella scena il protagonista, il colonnello Arcieri, cercando però di non mostrarne mai nitidamente il volto o l'aspetto, così da lasciare spazio all'immaginazione del lettore. Per quanto riguarda i colori, cerco di variarne da copertina a copertina le combinazioni, così da poter riconoscere a un primo sguardo che si tratta di una storia diversa, seppur sempre legata al colonnello Arcieri.

Un lavoro multimediale, come la Suite perr Malcolm, unisce musica e immagine. Ogni artista che partecipa al progetto si confronta con gli altri e viene elaborata una linea comune oppure ognuno lavora separatamente dagli altri e alla fine si mettono insieme i vari risultati?

Per me quello è stato un lavoro particolarmente interessante e arricchente. L'idea di Francesco Bearzatti, che ha composto la Suite for Malcolm, e del suo Tinissima Quartet, era quella di tradurre in musica l'autobiografia di Malcolm X, seguendone i capitoli in maniera cronologica. Questo ci ha permesso di lavorare in parallelo, Francesco con la composizione musicale e io con la parte visuale. Il lavoro si è dunque sviluppato attraverso un confronto costante e uno stimolo reciproco. Musica e immagini si animano attraverso un vero e proprio dialogo.

Qual è per lei il rapporto fra immagine, musica, parole?

Sia la musica che le parole per me sono le principali fonti d'ispirazione e d'immaginazione. Le parole, come la musica, contengono immagini che non vedi davanti a te concretamente, ma che puoi provare a tradurre su carta con i materiali che preferisci. Le parole, come la musica, possono farti gioire, soffrire, pensare, ricordare, sperare. Ovvero metterti nella condizione emotiva giusta per produrre immagini.

Il lavoro dello scenografo l’ha mai tentata?

No, ma mai dire mai, la vita che ho davanti spero sia ancora lunga…

La rielaborazione delle copertine di riviste di moda femminile mi ha sorpreso. Faceva parte di un progetto espositivo?

In realtà no, non si tratta di un progetto, è stato un gioco che ho portato avanti negli anni, per puro piacere personale. Quando ho cominciato volevo lavorare sopra una copertina che avesse già una sua struttura definita per provare a sovvertirne l'equilibrio, la struttura, e il soggetto. Ho lavorato con pastelli, collage, acrilico… tecniche miste che mi aiutavano a scoprire poi nuovi soggetti che definivo finendo per dimenticarmi il punto da cui avevo iniziato. Mi piace pensare che un'immagine abbia tante variabili di esistenza.

Qual è la forma pittorica in cui si sente più libero di esprimersi?

Non saprei, forse tutte quelle che ancora non conosco, dove non ho padronanza. Trovo molta libertà nelle situazioni in cui non ho il pieno controllo di quello che sta accadendo, e l'errore può rivelare una scoperta che forse razionalmente non farei.

Quali i prossimi progetti?

Sto cominciando proprio in questo periodo a dipingere dei piatti di ceramica, è un modo di lavorare completamente nuovo per me, sto sperimentando. Con lo stesso spirito dovrei nei prossimi giorni incontrarmi con un ceramista più specializzato nella porcellana, per provare a fare qualcosa insieme. Sono in cerca di novità, di un segno nuovo.

Grazie a Francesco che ci ha offerto il suo punto di vista artistico in un campo poco frequentato dai lettori, e per questo ancora più prezioso, come quello del rapporto fra parola e immagine.

Francesco Chiacchio

Francesco Chiacchio

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