Chernobyl è una miniserie televisiva nata da una coproduzione statunitense e britannica, creata e scritta da Craig Mazin e diretta da Johan Renck. La miniserie è stato un vero e proprio caso televisivo. conquistando critica e pubblico, dando seguito a un rinnovato interesse per il disastro nucleare avvenuto il 26 aprile 1986 in Ucraina.

Si tratta di cinque episodi che raccontano la storia del disastro di Chernobyl a oltre 30 anni dall'accaduto, e seguono da una parte gli uomini e le donne che si sono sacrificati per salvare l'Europa da un disastro nucleare, dall’altra chi invece ha causato l’incidente e chi ha provato a coprirlo fino all’ultimo. Le vicende si basano, in buona parte, sui resoconti degli abitanti di Pripyat, raccolti dalla scrittrice Premio Nobel per la letteratura Svetlana Alexievich nel suo libro Preghiera per Chernobyl.

I fatti narrano che nella notte del 26 aprile 1986, all’1,23 minuti e 45 secondi, vi fu la prima delle esplosioni che distrussero il reattore Rbmk-1000 del blocco 4 nella centrale elettronucleare “Vladimir Il'ič Lenin”, a tre chilometri da Pripyat e a 18 da Chernobyl, in Ucraina (allora sotto il controllo dell’Unione Sovietica). Si è calcolato che in quattro secondi il reattore raggiuse una potenza cento volte superiore a quella nominale. La grandissima esplosione ha diffusa una radioattività pari a 400 volte la bomba di Hiroshima. A oggi è il più grave incidente mai verificatosi in una centrale nucleare, uno dei due, con quello di Fukushima Dai-ichi del marzo 2011, classificato di livello 7 (“catastrofico”) nella scala Ines dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica.

È stato storicamente dimostrato che le cause principali del disastro vanno cercate in responsabilità umane nell’effettuazione di un test di sicurezza frutto di dati falsati, attività al risparmio che hanno posposto le indispensabili misure di sicurezza. Sconcertanti i ripetutiti tentativi di insabbiare le colpe e gli errori commessi in svariati frangenti. Ovviamente la Russia non è rimasta molto contenta della rappresentazione dei fatti proposta da HBO. Tra i maggiori detrattori, il partito marxista-leninista di Sergey Malinkovich che aveva richiesto che la serie fosse addirittura bandita e che il produttore, il regista e lo sceneggiatore fossero perseguiti per diffamazione.

La serie è narrata dal punto di vista del fisico nucleare Valery Legasov, il quale lavora all’interno del governo sovietico per cercare di gestire le conseguenze dalla crisi e salvare il paese da ripercussioni. A interpretare Legasov è Jared Harris, già visto all’opera come il professor Moriarty in Sherlock Holmes – Gioco d’ombre, che si dimostra un attore della capacità incredibili. Notevoli sono anche le interpretazioni di Stellan Skarsgård nei panni di Boris Shcherbina, che diviene l’incarnazione del regime sovietico che monitora e inizialmente osteggia le mosse di Legasov, e di Emily Watson, che dà invece il volto alla scienziata Ulana Khomyuk, impegnata a cercare delle soluzioni concrete in opposizione alla stoltezza dell’establishment di stato.

Particolare cura è stata riposta nella scelta delle location per le riprese: il distretto residenziale Fabijoniškės della capitale Vilnius e l’impianto ora dismesso di Ignalina, spesso accomunato per la sua rassomiglianza con quello di Chernobyl.

Venendo al giudizio sulla serie, di per sé non si capisce il motivo di fare della nota vicenda un film, quando sembrava più confacente realizzare un asettico documentario. Tutto della vicenda era noto… o quasi.

Guardandolo, già dai primi minuti si può comprendere la enorme abilità di professionisti che evidentemente masticano la materia con grande destrezza e un pizzico di mestiere, che non guasta.

Fin dall’inizio di Chernobyl si avverte un senso di mancanza, qualcosa che non torna, un filo appeso a cui manca un pezzo. Ed è nel quinto episodio che tutto si capisce e si risolve con il processo ai colpevoli e con la dettagliata ricostruzione della catena letale di errori e pressapochismo che ha causato l’incidente.

Se lo sceneggiatore Craig Mazin lo avesse messo all’inizio della serie probabilmente nessuno avrebbe visto la serie completa. Facendo così invece si crea quel pathos e suspense necessari per condurre lo spettatore fino alla fine. E si da un senso a ben 5 puntate che in altro modo non avrebbero avuto senso.

Mazin non per niente ha lavorato su Una notte da leoni 2 e 3. Chi li ha visti, sa benissimo che la costruzione della trama è effettuata al contrario, cioè partendo dalla fine e andando a ricostruire a ritroso quello che è accaduto (antesignano di questo tipo di cinema, Memento di Christopher Nolan, con Guy Pearce).