Uno dei film cinesi più interessanti presentati alla diciannovesima edizione del FEFF di Udine (21- 29 aprile 2017) è Mr Zhu’s Summer di Song Haolin, autore anche dalla sceneggiatura. Ambientato in gran parte nel mondo della scuola, il film narra le vicende di Zhu Tailang (l’attore Sun Bo), un professore di scuola elementare un po’ buffo e calvo, apparentemente debole perché non competitivo né aggressivo come dimostrano essere i suoi colleghi, i genitori degli allievi e gli allievi stessi. Significativa in tal senso è la presa in giro che appare sulla lavagna di classe quasi all’inizio della storia, poiché racchiude un gioco di parole insito nel titolo del film, dove al carattere 朱 (Zhū) del cognome del protagonista viene sostituito il carattere omofono 猪 (zhū) di maiale: gli studenti scrivono deliberatamente il suo cognome in modo sbagliato disegnandogli affianco il volto di un maialino, in quello che vuole essere un chiaro intento denigratorio. Nessuno infatti sembra rispettare Zhu Tailang, né gli allievi che invece di ascoltarlo gli dicono apertamente “se lei parlasse meno, avrebbe più capelli”, né i colleghi o il capo, perché Zhu non vince mai il premio come Miglior Docente dell’Anno, né tanto meno i genitori degli allievi – una mamma arriva persino a schiaffeggiarlo per rimarcare quanto lo ritenga incapace di gestire gli studenti.

Insomma, ce n’è abbastanza perché Zhu Tailang decida di dare le dimissioni e passare a lavorare per una ditta privata, anche se il preside lo costringe comunque a rimanere a gestire la classe affidatagli, la peggiore della scuola, fino a fine anno, nonostante entrambi dubitino che la cosa funzionerà. Ma, come spesso accade in Cina, la realtà è molto più aperta a mille interpretazioni di quanto sembri all’apparenza; così, anche i simboli sono tutt’altro che univoci: il maiale ad esempio è ben lungi dall’essere un semplice sinonimo di ingenuità o debolezza; nell’immaginario dello zodiaco cinese, infatti, il maiale è anche caratterizzato da qualità nobili quali la generosità, la diligenza e l’empatia, tutte caratteristiche che vedremo lentamente emergere in Mr Zhu trasformandolo quasi in un animale altro, tradizionalmente più dotato di coraggio, come il lupo (狼, láng, il secondo carattere che compone il suo nome, vuol dire proprio lupo), o forse semplicemente rivelando il maialino coraggioso che è dentro di lui. Le metafore zoomorfe del film non finiscono qui: gli altri personaggi principali, due studenti un po’ ribelli che daranno filo da torcere a Zhu Tailang,  sono soprannominati da tutti con nomi di animali, Zha Meng (蚱蜢 zhà mĕng, ossia cavalletta) e Jin Gang (金刚, jīn gāng, calco dall’inglese per King Kong, ossia una grossa scimmia), a voler rafforzare ancor di più il tono da favola dolceamara del film. Entrambi poco interessati allo studio e con dei genitori anaffettivi ossessionati l’uno dalle superstizioni cinesi e l’altro dalla telefonia mobile, Zha Meng e Jin Gang sono l’uno il rovescio dell’altro, il primo magro e piccolo, il secondo grasso e imponente, sempre in cerca di guai e intenti o a picchiare qualcuno, adulti compresi, o a compiere atti di vandalismo. Se non proprio per conquistarli, almeno per arginarne la potenziale componente esplosiva,

Zhu Tailang si inventa un metodo di insegnamento alternativo in cui, un po’ in stile Dead Poets Society (L’attimo fuggente), sposta le lezioni all’aperto e invece di insegnare la lingua cinese fa sfogare gli allievi in gridi liberatori e poi li fa soffermare sul rumore del vento o, rientrati in classe, giocare con i colori. La tecnica sembra funzionare, quando, avendo ricevuto un compito per casa da Zha Meng su nastro registrato, Zhu Tailang commosso dalla parole del bambino decide di far trasmettere alla radio della scuola il saggio composto dall’allievo. Zha Meng, però, non solo non gradisce, ma appena riconosce la sua voce si reca nella stanza della radio e distrugge tutto, compiendo poi un nuovo atto di violenza ai danni di un guardiano insieme a Jin Gang. La situazione ancora una volta sembra degenerare, il preside e il comitato scolastico richiamano nuovamente Zhu per i suoi metodi non solo inefficienti ma adesso anche non ortodossi, e Zhu capisce che tutto è perduto.

Finché non giunge una notizia inaspettata che rimette tutto in gioco: alcuni docenti notano una foto su un forum online, che ritrae i due bambini ribelli mentre aiutano un vecchietto che era caduto a rialzarsi. La notizia fa il giro di tutta la scuola e un amico di Zhu, che lavora in televisione, vede in questo evento una possibilità di riscatto per Zhu e gli propone di creare una puntata speciale del suo show televisivo in cui intervisterà sia i due bambini che Zhu stesso, in modo che la scuola riabiliterà sia gli uni che l’altro. La favola sembra volgere al lieto fine, quando i due bambini rivelano a Zhu che la foto apparsa sul forum nasconde la realtà dei fatti invece che mostrarla: Zha Meng e Jin Gang, infatti, lungi dal voler aiutare l’uomo anziano, l’hanno fatto cadere apposta. Accecato dall’improvvisa notorietà datagli dalla notizia, l’uomo si atterrà alla storia creduta vera dai mass media, ma Zhu saprà fingere altrettanto di fronte a milioni di telespettatori, solo per fare propaganda alla scuola e “salvare la faccia” a tutti?

Nonostante certe ingenuità (fra tutte, il ralenti di Jin Gang che corre affannato) e un finale aperto che da qualche anno sembra essere il nuovo trademark dei cineasti cinesi, Mr Zhu’s Summer ha il pregio di voler creare uno scarto rispetto alla realtà di materialismo sfrenato che caratterizza la società cinese urbana contemporanea, e di cui il cinema mainstream è spesso una fin troppo indulgente cifra speculare nella sua palese celebrazione di uomini e donne in carriera che sfoggiano oggetti di lusso, sete di successo e ricerca di un partner e di un lavoro come simboli di buona posizione sociale. Il film di Song Haolin, infatti, non ci parla di egoismo o di competizione per eccellere a tutti i costi se non in maniera obliqua e attraverso dei personaggi periferici.

Al contrario, la storia ruota attorno a una persona sottotono e dimessa come Zhu Tailang, che all’aggressività urlata e al credo del produrre quasi sembra non voler reagire se non con la semplicità del contatto umano, anche fugace e momentaneo ma vero, e senza nessun tornaconto basato sulle regole non scritte del guangxi, quell’avere le giuste conoscenze che in Cina è fondamentale per fare carriera, affari ed essere una persona di successo. 

Di grande impatto sono ad esempio le scene che vedono Zhu alle prese con i genitori degli allievi e che palesano una critica evidente alla volgare prepotenza dei genitori cinesi di oggi (senza però, per ovvi motivi di censura, soffermarsi più di tanto sulle falle di un sistema scolastico in cui l’unico credo è quello di imparare a memoria nozioni per ottenere i punteggi giusti per accedere a scuole, università e carriere migliori).

Ma è soprattutto in una scena apparentemente secondaria ad emergere il contrasto fra l’edonismo egoista delle masse, tutte soldi cellulari e apparire, e la semplicità delle piccole cose e dell’essere: ad un certo punto, mentre cammina per strada, Zhu Tailang incontra un mendicante che regala banane ai passanti con il sorriso in volto e una fascia rossa attorno al petto decorata con la scritta di maoista memoria “为人民服务” (wéi rén mín fù wù, servire il popolo). Mentre tutti scansano l’uomo e il suo regalo trattandoli come un fastidio temporaneo, costui si inchina davanti a loro senza smettere di sorridere, e Zhu lo osserva con il candore di chi non giudica ma si lascia stupire dall’inaspettato. La scelta di un motto come “Servire il Popolo”, non può certo essere casuale: ormai svuotato del suo significato rivoluzionario tanto da essere usato in modo ambivalente sia a fini consumisti in commercio per vendere di più e meglio sia in narrativa dallo scrittore Yan Liangke a fini parodistici per denunciare un sistema partitico corrotto, lo slogan qui è associato ad un uomo che non aspira a nulla se non a regalare un sorriso e della frutta, quindi senza voler trarre profitto dal suo gesto né travalicare chi ha di fronte. L’apparizione improvvisa di quest’uomo avvolto da una scritta così carica di storia ma che, se riportata al suo significato letterale, corrisponde a un gesto di puro altruismo, sembra nascondere un intento filosofico da parte del regista, un rimando a quel “rettificare i nomi” che per i pensatori cinesi dell’antichità voleva dire riportare le parole al loro significato reale e originario, senza condizionamenti dettati dalla meschinità o dal proprio tornaconto personale, per creare una società armoniosa. La scena, così apparentemente casuale, è in realtà un modo delicato del regista per dirci che la vera sfida nel vivere è quella di vedere tutto con occhi limpidi e sempre nuovi, per riuscire a tornare alla radice delle cose ed esercitare ciò che Confucio chiamava 仁 (rén, benevolenza, umanità), la qualità più essenziale di ogni essere umano, ossia ciò che ci rende veramente degni di questo nome. Ed è tutta lì l’essenza del film, in quella capacità un po’ imperfetta di sentire l’altro che Zhu, e non per ultimi anche i due bambini ribelli, imparano a coltivare dentro di sé e nel rapporto con gli altri, e da cui tutti noi dovremmo imparare per innalzarci dalle nostre piccole vite fatte di falsi obiettivi che portano solo affanno perché lo scopo della vita è la vita stessa e nient’altro.