Angelo Marenzana è uno scrittore! Nel senso più alto del termine. Costruisce storie, mondi, personaggi che entrano nella pelle, che trascinano con la loro profonda umanità, che conquistano il lettore passo dopo passo. Un lento innamoramento che dalla pagina scritta coinvolge e avvolge in una ragnatela di misteri e sensazioni, sorprese ed emozioni. Il tutto con la lieve grazia e lo stile raffinato di una narrazione perfettamente calibrata, ma sempre tesa e dinamica.

Autore alessandrino, divide il suo tempo fra la piemontese terra natia, e l’amato Abruzzo, terra che lo ha conquistato anni fa e che spesso lo accoglie nella sua casa di Fara Filiorum Petri. Dopo essersi imposto come autore di racconti, con una produzione di grandissimo spessore per i maggiori editori italiani (Mondatori, Einaudi, Robin ecc), e dopo interessanti e coinvolgenti romanzi come: Ora segnata (Iris4), Legami di morte (Flaccovio, 2009), Destinazione Avalon (Robin, 2009), è adesso in libreria con il sorprendente L’uomo dei temporali (Rizzoli) e con un personaggio che non mancherà di affascinare, il commissario Augusto Maria Bendicò.

Chi è l’uomo dei temporali?

L’Uomo dei temporali arriva nei giorni di siccità, prende dei rami secchi, accende piccoli roghi votivi, recita parole magiche e aspetta la pioggia. È stata sicuramente, almeno nella civiltà contadina, una figura tra il leggendario e il reale. In modi differenti è stata una credenza trasversale delle campagne dal nord al sud Italia. Nel romanzo assume un valore simbolico. Siamo in un’epoca “rovente” per colpa del regime, di ideologie contrapposte, ma soprattutto a causa di una guerra che pretende di essere una passeggiata, con il Duce seduto al tavolo dei vincitori a spartirsi l’Europa in compagnia dell’alleato nazista.

Ma in realtà il conflitto da subito macina morti e provoca pesanti danni all’economia, trascinando la nazione sull’orlo del baratro. Forse, l’Uomo dei temporali è un personaggio che ha gli occhi fissi su un’epoca ricca di chiaroscuri, dove si sta per scatenare un acquazzone capace, come dice lo stesso Bendicò, di “lavare i ricordi della guerra ma anche le coscienze di chi ci aveva creduto”.

Come nasce il tuo personaggio il Commissario Bendicò? Parlaci di lui.

Il nome Bendicò è un omaggio ai miei cani. L’ho preso in prestito dal segugio di razza del Principe di Salina ne Il gattopardo. Augusto è il nome del più noto Augusto De Angelis, maestro di narrativa gialla molto attivo a cavallo degli anni Trenta-Quaranta, e reso famigliare al grande pubblico televisivo dall’interpretazione di Paolo Stoppa. Maria è un ricordo di mio nonno. Lo portava come secondo nome, consuetudine che vale per molti nati nell’Ottocento. Il personaggio invece veste i panni del poliziotto, utili per scrivere un romanzo dalla trama gialla e lasciarmi guidare in una investigazione tra i misteri piccoli e grandi di provincia, in un periodo storico ben definito: ovvero il Ventennio fascista. Augusto Maria Bendicò, di origine siciliana, è un uomo riservato di poche parole ma dotato di grande ironia. E’ancora prostrato per la morte recente quanto improvvisa della moglie. Vive un profondo distacco con i colleghi questurini così come con i superiori. Si muove insieme ad altri due personaggi: il brigadiere Rizzo, fascista convinto e rigoroso, e il medico legale, il dottor Silvera, di stampo socialista. Sono comprimari opposti tra loro, non si incontreranno mai pagina dopo pagina, e singolarmente permettono al commissario di confrontarsi con i dubbi e le certezze dell’epoca, e con lo scorrere degli eventi storici che fanno sempre da sottofondo. La peculiarità di Bendicò è il suo netto rifiuto della guerra, dopo aver vissuto il dramma del primo conflitto bellico che, nel romanzo, ritorna con alcuni prepotenti flashback. Ed il trauma della guerra è il motivo per cui, con la dichiarazione del 10 giugno, si sentirà più distante dall’ideologia del regime.

Da dove nascono le tue storie?

Ho aperto uno scrigno di ricordi. Una collezione di chiacchiere. Nulla di letto sui libri. Ho avuto una famiglia alle spalle che ha saputo fare da ponte tra me e la città di Alessandria, dove si svolge la storia narrata nel romanzo. È stata una famiglia che, tutta, ha vissuto quegli anni con intensa drammaticità.

E poi vanno aggiunti amici, conoscenti, vicini di casa, abitanti del quartiere che hanno avuto la capacità di trasferirmi oralmente piccoli e grandi eventi. Gli anni della mia infanzia sono ancora quelli vissuti nelle case di ringhiera, con la gente nei cortili che parlava, raccontava, ricordava, faceva riemergere aneddoti, esperienze dure marcate con l’ironia tipica della zona, dolori, gioie, rancori di un’epoca segnata ancora da profonde ferite, molte della quali non ancora rimarginate oggi giorno. E mille profili di personaggi. Si tratta di un vero patrimonio cui ho voluto dare una veste letteraria.

La provincia, le sue atmosfere i suoi misteri sono elementi ben presenti in molte tue storie, qual è il tuo legame con la tua terra?

Non so bene che tipo di legame ho con la città. Ci sono nato e cresciuto. L’ho lasciata per lavoro e ci sono tornato. Credo che succeda a tanti. Nel caso de L’uomo dei temporali, ho voluto raccontarla in termini soprattutto emotivi e di atmosfera. Non sono uno storico di casa mia, nemmeno un saggista. Conservo in me i tratti di un’appartenenza e so riconoscerli negli altri. Punto. Questo mi basta per chiedere alla mia città se gentilmente si presta a trasformarsi nel palcoscenico su cui muovere i miei personaggi.

Per chi scrivi? Per gli altri, per te, per una persona sconosciuta e lontana?

Credo di scrivere per un piacere tutto mio. Però quando un interesse personale prende una dimensione di professionalità e si apre a un potenziale pubblico, allora bisogna anche tenere presente che esistono degli equilibri da rispettare.

Nel rapporto con il lettore occorre essere corretti. Evitare la superficialità stilistica o gli inganni nella stesura della trama. Insomma, cercare di non tradire chi, acquistando un libro, pone delle aspettative.

La tua è una scrittura raffinata e perfettamente calibrata, come lavori? Come strutturi le tue storie?

Non seguo una regola precisa. Parto quasi sempre da un’idea il più coinvolgente possibile, capace di affascinarmi. Poi sviluppo le prime pagine inserendo elementi che solo in seguito troveranno una maggiore definizione. Il tempo mi aiuta a perfezionare la trama. L’unica regola: cerco di scrivere, anche poco, tutti i giorni. Mi serve a mantenere il ritmo, a essere partecipe di quanto sto raccontando. A non dimenticarmi che sto modellando una creatura. A non dovermi fare in quattro per riprendere il filo. Rileggo spesso e volentieri la parte di testo già scritto, e sempre con crescente attenzione. Credo che nel proprio lavoro uno scrittore debba sempre tenere vivi un paio di concetti fondamentali. Primo, come un attore, deve saper interpretare parola dopo parola i vari ruoli imposti dalla narrazione. Secondo, come fanno gli sportivi, tenersi in allenamento con la parola scritta per poter affrontare le gare importanti. Come, per esempio, riuscire ad arrivare fino in fondo a un romanzo che sia emozionante, convincente e coinvolgente

A cosa stai lavorando adesso? Puoi darci qualche anticipazione?

Naturalmente a una nuova storia del commissario Augusto Maria Bendicò. Ne ha ancora da dire.