Ha intrapreso gli studi e ora l'insegnamento della cultura sciamanica. Che cosa l’ha affascinata di questa materia?

Quando ho iniziato ad occuparmi delle lingue e letterature ugrofinniche da un punto di vista filologico ho cercato di capire le motivazioni dei principali tratti inconfondibili, e questo mi ha condotto a studiare le origini e lo sviluppo nel corso dei secoli della particolare visione del mondo, legata, anche se in forma non sempre esplicita, con lo sciamanesimo, che sta alla base della cultura di queste popolazioni, del loro modo di pensare e di esprimersi. Così ho avuto modo di studiare le concezioni sciamaniche e di apprezzarne lo straordinario carattere d’attualità.

Lo sciamanesimo condensato in una frase.

Lo sciamanesimo ugrofinnico e siberiano, un sistema di credenze ordinato e al tempo stesso flessibile, la cui coerenza si basa sulla complementarità degli opposti, è la “grammatica della mente” che guida i comportamenti della vita quotidiana degli uomini, rispecchiandosi in ogni codice della cultura, dagli oggetti artigianali alle fiabe, alla musica, alla letteratura colta.

Nell’ultimo convegno “Sul cammino delle metamorfosi tra gli Urali e il Mediterraneo. Dal mito alle trasformazioni sociali”, organizzato dal Laboratorio Permanente degli studi sullo sciamanesimo, tenutosi a marzo di quest’anno a Bologna, si è affrontato il tema della metamorfosi su vari fronti: l’arte, la mitologia, la letteratura, la sociologia, la linguistica e, addirittura, i processi formativi. In che modo il concetto di metamorfosi tiene insieme tutto? E in quale ottica può aiutare l’uomo moderno?

Il fenomeno della metamorfosi è presente in ogni tipo di cambiamento, sia esso artistico, letterario, linguistico o connesso con la formazione (che implica sempre un cambiamento, altrimenti non avrebbe ragione d’essere) e nella storia culturale d’ogni popolo. Il convegno in oggetto ha analizzato il fenomeno in una prospettiva interdisciplinare e comparativo-contrastiva con particolare riferimento all’area ugrofinnica e più ampiamente uralica e all’area europea occidentale per riflettere sugli aspetti che caratterizzano i difficili momenti di transizione, di “passaggio”, sulle modalità con cui furono o sono affrontati, momenti che richiedono sforzi e fatica per la salvaguardia dei valori morali e civili e che possono diventare occasioni di rinnovamento e di sviluppo. La nostra società in continua trasformazione ha bisogno di ritrovare al suo interno le risorse migliori e di potenziarle.

Da esperta e studiosa di cultura sciamanica, quali sono le riflessioni post convegno maturate?

La concezione sciamanica della metamorfosi-renovatio, intesa come momento costitutivo del percorso iniziatico dell’esistenza senza soluzione di continuità, che presuppone impegno e spesso anche sofferenza, è frutto di un pensiero profondamente elaborato che trova riscontro, tra l’altro, nella letteratura e nell’arte europee occidentali. È una concezione modellata sui cambiamenti stagionali della natura, che risale alle origini, quando gli Ugrofinni erano nomadi delle steppe e, dovendo sopravvivere in un habitat naturale spesso ostile, si crearono una filosofia di vita e un codice di comportamento fondati sulla sintonia tra l’uomo e le energie della natura, maestra da osservare e da seguire. Un concezione, dunque, “primitiva” nel senso di “originaria”, non certo nel senso negativo del termine, come ad uno sguardo eurocentrico potrebbe, a torto, sembrare.

Il convegno mi ha confermato quanto possa essere utile per chi vive nelle società industrializzate prendere in particolare considerazione le opportunità che i processi di transizione offrono a tutti i livelli, storico-sociali e individuali, e i pericoli che possono essere evitati. Le ideologie sciamaniche, ancora osservate in certe zone del nostro continente eurasiatico, possono rappresentare un proficuo punto di riferimento per le società cosiddette avanzate, che non tengono nel debito conto le forze della natura con cui l’uomo deve saper convivere, dimenticando il loro passato tradizionale, patrimonio prezioso di saggezza.

Il volume “Simboli e miti della tradizione sciamanica” raccoglie gli atti del Convegno Internazionale tenutosi a Bologna nel maggio 2006. Quali sono i miti e i simboli ricorrenti nelle varie culture? Potrebbero far pensare ad una comune matrice sciamanica?

Nella tradizione sciamanica ugrofinnica e siberiana i simboli si riallacciano a uno scenario mitico in cui ogni essere del cosmo ha un’insostituibile funzione, un’energia necessaria al mantenimento dell’armonia del creato. I miti e simboli più ricorrenti sono ben rappresentati in forma stilizzata sui tamburi degli sciamani: sono raffigurati in tre fasce sovrapposte corrispondenti alle tre parti dell’universo, vale a dire quella superiore (cielo), quella di mezzo (terra) e quella inferiore (aldilà). La mitologia celeste è simboleggiata dal sole, dalla luna, dalla stella polare e dalle costellazioni; quella terrestre, dalla flora e fauna sacre; quella dell’aldilà, dagli uccelli, dai pesci e dai rettili (in cui l’anima immortale dell’uomo si trasforma dopo la morte). Al centro del tamburo spesso è dipinto l’”albero cosmico”, che con la sua cima raggiunge il cielo e con le sue radici arriva nell’aldilà, trait d’union tra i tre livelli del cosmo, emblema della continua relazione e interdipendenza tra le diverse parti del mondo. Come si evince dalla letteratura popolare, la medesima simbologia dell’albero archetipo è attribuita, in una dimensione orizzontale, alla Via Lattea, lungo la quale i defunti- uccello raggiungono l’oltretomba.

Anche nelle culture indeuropee elementi tipologici di carattere sciamanico, probabilmente autoctoni, sono presenti fin dall’antichità. Ad esempio, presso gli antichi Greci e Celti i simboli d’iniziazione e le concezioni mitiche della flora e della fauna rivelano peculiarità prettamente sciamaniche. Ma, mentre in Occidente i saperi tradizionali sono in gran parte caduti nell’oblìo, in area uralica e altaica si sono rafforzati nel corso dei secoli e hanno continuato, in certe zone fino ad oggi, ad essere collettivamente condivisi.

Gli elementi naturali (fauna, flora, acqua, fuoco, ecc.) hanno una forte valenza nella tradizione sciamanica. Esiste un elemento che prevale su tutti gli altri?

Ognuno di questi elementi, con le sue potenzialità ambivalenti, è parte integrante dell’armonia della natura, determinata dall’insieme d’equilibrate relazioni fra energie diverse. Non si può parlare di un elemento prevalente, ma caso mai di un punto focale, che nello sciamanesimo è costituito dal sole. Si può affermare che il sistema sciamanico di credenze ugrofinnico e siberiano ha uno spiccato carattere eliocentrico.

Esistono degli elementi ancora d’oscura interpretazione?

Esistono non tanto elementi d’oscura interpretazione, quanto interpretazioni non puntuali della simbologia di certi elementi naturali, soprattutto in ambito rituale. C’è ancora da fare un lavoro enorme di ricerca, anche “sul campo”, per ricostruire la storia dello sciamanesimo delle diverse comunità, in modo da poter comprendere le varianti mitiche e simboliche che differenziano la cultura di ognuna di esse.

In Italia si ritrovano tracce sciamaniche? Dove, ad esempio, per incanalare i profani?

La tradizione mitica e magica di numerose zone italiane rivela molteplici tracce sciamaniche. Posso fare alcuni significativi esempi, che riguardano la concezione dell’albero cosmico, della fauna sacra, della testa (come ricettacolo dell’anima immortale), del sole, degli operatori di magia, della guarigione rituale.

L’albero archetipo era riprodotto sui carri agricoli, ed era venerato in tutta Italia così come la vegetazione sacra: lo dimostrano ampiamente sia le credenze e le tradizioni, in particolare quelle solstiziali, sia numerosi toponimi medievali.

Le preistoriche incisioni rupestri della Val Camonica (provincia di Brescia), d’origine quasi sicuramente celtica, che riproducono cervi con grandi palchi di corna e un uomo con corna di cervo, probabilmente Cernunno (nel ruolo di “Iniziatore” e mitico “Signore degli animali”), rimandano a una concezione iniziatica dell’esistenza in continuo rinnovamento (simboleggiato dalla muta annuale delle corna degli esemplari maschi, per la forma ramificata associate all’“albero cosmico” del centro del mondo, su cui risplende il sole).

Soprattutto negli insediamenti celtici, ma anche altrove in Italia, era conosciuto il culto sciamanico della testa, di cui restano testimonianze archeologiche e chiari riferimenti negli antichi autori, nelle fonti agiografiche, nelle leggende che, tra l’altro, attribuivano alla testa mozzata una funzione oracolare.

Reperti archeologici, come il carretto cultuale d’Este (in Veneto), i dischi solari di Castione Marchesi (Fidenza), di Redù (Modena), di Borgo Panigale (Bologna), di Gualdo Tadino (Perugia), le offerte rituali all’astro celeste di spade gettate nell’acqua (Emilia) e le tradizioni mitiche diffuse lungo le antichissime vie del commercio dell’ambra baltica, come il mito delle Elettridi (alla foce del Po), sono in connessione con il culto del sole come simbolo sciamanico di “passaggio”.

Operatori del sacro, come i “benandanti” friulani studiati da Carlo Ginzburg, o guaritori e guaritrici tradizionali, di cui resta qualche rarissima sopravvivenza, presentano indubbie affinità con gli sciamani.

Il pontifex romano era in origine il costruttore di ponti, intesi come strumento di congiunzione dei tre livelli del cosmo, la cui ambivalente sacralità trova, tra l’altro, riscontro nelle leggende dei “ponti del diavolo” e dei “ponti dei Santi”, conosciute sulle sponde dell’Adriatico.

La rappresentazione del mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto (1163-11659 di re Artù in groppa a un animale simile al caprone ci rimanda alle esperienze estatiche delle donne che prendevano parte alla “caccia selvaggia”, sotto la guida di una dea (come Artemide, Diana, Perchta, Abundia) apportatrice di abbondanza e prosperità, dietro la quale si profila la figura sciamanica della “Signora degli animali”.

Come hanno messo in evidenza le ricerche di Gabriele Costa, nella scuola di Velia (città della Lucania in Magna Grecia, in cui si stabilì una colonia di Focesi) si curavano gli ammalati con l’incubazione rituale in una caverna, che assai probabilmente comportava il fumo d’oppio, per favorire la perdita di coscienza.

Verosimilmente le primordiali tradizioni sciamaniche autoctone s’intrecciarono con nuovi apporti, derivati dagli scambi commerciali, che furono anche “veicoli” di trasmissione culturale, e dall’influenza greca nella Magna Grecia e a Roma.

A cosa sta lavorando ora?

Ora mi sto occupando delle vivande delle popolazioni ugrofinniche e del loro valore sacro, sempre in un’ottica comparativo-contrastava rispetto all’alimentazione nelle società avanzate.

Ci saluta con una citazione tratta da uno dei suoi saggi?

Lo sciamanesimo “può costituire un modello di riflessione e di confronto anche per l’uomo dei nostri giorni, alle prese con i problemi connessi con la salvaguardia della natura, con l’inserimento sociale, con il mantenimento dell’identità individuale e di gruppo”.