Il piccolo Danny è stato cresciuto da uno strozzino di nome Bart con un unico scopo: quello di farne una micidiale macchina di morte utile ai suoi loschi interessi… "Va' e uccidi" ordina il Boss, e Danny va (magari non uccide ma certo massacra di brutto). "Va' e uccidi" ordina di nuovo il Boss, e Danny va, senza chiedersi né perché né percome. "Va' e uccidi", ordina ancora il Boss, ma stavolta Danny non va, Danny the dog stavolta dice no. Merito della muuusica (come diceva Totò), sì, della musica, ma non quella della colonna sonora dei Massive Attack, quella classica… che cancella i riflessi (pavloviani), acquieta l'anima, monda i dolori del mondo, smorza per sempre la rabbia che monta, quella stessa musica che fa di Danny il cane (con tanto di collare...) un'altra persona, nuova di zecca. Senza dilungarsi troppo, l’ennesimo parto della fantasia bessoniana (che tanto sfrenata non pare…) è tutto qui, in questo viaggio di ritorno dallo stato animale allo stato umano, qualcosa di già visto tante e tante volte e che tante altre volte si vedrà. Ma il vero punto di forza del film sono le coreografie di Yuen Woo-ping, con i combattimenti piazzati anche in mezzo a corridoi larghi nemmeno mezzo metro, servite intelligentemente da un montaggio tutt’altro che serrato così che si ha il modo di apprezzarne lo svolgimento quasi per intero unite a quella saetta che risponde al nome di Jet-Lee. Oltre a lottare come un'ira di Dio quando c'è da lottare, ogni qualvolta che c’è da render conto di cosa significa tornare a una vita normale dopo un sacco di anni passati a fare la bestia e quindi tocca tirare fuori le espressioni adeguate, non si fa pregare due volte dimostrando di essere un attore tutt’altro che trascurabile. Il fatto poi che tutto sopravviva all’interno di un film che, inutile nasconderlo, a tratti è di un'ingenuità sconcertante, stupisce ancora di più. Jet-Lee, lo confessiamo, come personaggio esce ampiamente dagli angusti spazi della sceneggiatura, mentre come corpo è sempre più vicino ad un’icona vivente.