Milhous Giordano è l’inconsapevole e impreparato ”messia” protagonista di questa storia, un ragazzino macilento, abbigliato sempre e solo di nero, a cui il destino ha riservato un insolito dono: un potere speciale acquisito in seguito alla comparsa di inequivocabili stimmate. L’idea di inserire un Cristo in un romanzo non è certo nuova, ma il modo in cui è rappresentato in questa storia è, se non altro, singolare: gestisce un negozio di tavole surf et similia, non è credente e usa stringate frasi di pezzi degli Smiths al posto delle parabole. La voce narrante è quella del nonno del protagonista che nelle prime pagine descrive il proprio funerale, ma i famigliari di Milhous rivaleggiano tutti in originalità. Raramente mi è capitato di incontrare una famiglia così stramba ed è impossibile non affezionarsi ai comprimari di questa storia che non è affatto superficiale, né mira a offendere la sensibilità religiosa di nessuno. La prospettiva di un guaritore che, in quanto tale, non si preoccupa di promettere paradisi postumi, bensì di rendere meno sofferente questa esistenza, contrasta con l’assenza di ideali di oscuri “inserzionisti” impegnati a promuovere il sacrosanto diritto di fare il pieno ai propri SUV e a garantirsi speculazioni finanziarie, rovinando e annientando, attraverso la guerra, persone che hanno comunque un’aspettativa di vita molto bassa. Sono questi i temi principali affrontati nel testo: l’importanza e il valore della vita di ognuno. La scrittura non è dissacrante come quella di Tom Robbins ma è altrettanto lisergica, non è comica come quella di Cristopher Moore ma diverte e fa riflettere al contempo. Un’uscita davvero fresca ed estiva, un bel colpo messo a segno dalla nuova Meridiano Zero. Da non perdere.