È uscito in libreria da pochi giorni Doppio Marlowe. Liscio e senza ghiaccio (Robin Edizioni, 2011, pp. 189, Euro 13.00), terzo romanzo della serie scritta da Frank Spada (uno pseudonimo) e che vede come protagonista Marlowe, l’eponimo detective dell’eroe creato da Raymond Chandler.

Questa volta Marlowe incontra al funerale di un amico (inizio più marlowiano non si può proprio!) un irlandese che ha conosciuto da bambino e che gli lascia una busta che contiene rivelazioni a proposito di un tesoro, un mistero del passato; dopo aver passato il testimone l'irlandese scompare dalla scena... Questo è l'incipit. La storia, poi, procede con continui colpi di scena, citazioni, ricordi, suggestioni di film noir d'epoca... E, infine, con numerose metafore e rinvii criptici contenuti in una scrittura indubbiamente originale. Sempre seguendo le tracce di Marlowe, per antonomasia personaggio mutevolmente costante (mi si perdoni l'ossimoro...).

Ma diciamo qualcosa di Frank Spada. Nato a Udine, dove abita, Spada è stato un noto professionista fino al dicembre dell'anno scorso. Da diversi anni ha scritto vari racconti selezionati in concorsi letterari, poi pubblicati in antologie. Più di recente si è “inventato” la serie di Marlowe, di cui sono usciti - oltre a quest'ultimo - Marlowe ti amo e Dimmi chi sei, Marlowe, ambedue pubblicati da Robin Ed. nel 2010.

Ritornando a bomba... per capire la mutevolezza e insieme le costanti del personaggio Marlowe bisogna afferrarne il succo: che, cioè, si sta parlando di un orfano integrale. Di lui, in una famosa lettera, Chandler scriveva così: “Marlowe non ha mai parlato dei suoi genitori e a quanto pare non ha parenti viventi.” In più, è arrivato nella California meridionale non si sa da dove, non si sa quando e non si sa perché... Secondo i più, è un inguaribile immaturo, inadeguato all'adattamento sociale, e a modo suo uno in rivolta contro la società corrotta. Ma non è un cinico. “Né un eunuco né un satiro”, aggiunge Chandler. Certo è che con le donne ci sa fare, precisa ancora lo scrittore di La Jolla, California.

In ultimo, in un brano celebre (che all'istante non so da dove provenga...) Chandler fa dire a Marlowe: “Non vidi mai più nessuno di loro, tranne i poliziotti. Il sistema per dir loro addio non è stato ancora inventato”.

Dunque il “lungo addio” si consuma lentamente per, alla fine, ricomporsi in un ricordo lungo, in qualche modo eterno. E il ricordo dell'addio, si sa, è ancora più malinconico dell'addio stesso.

Quando e come si è realizzata l'idea di seguire le tracce di Marlowe?

Ho iniziato a scrivere per gioco il 7 gennaio del 2007 – la data l’ho segnata in un’agendina – il giorno dopo Epifania, guarda caso, spinto dall’impulso di sbloccare il meccanismo quotidiano delle “consuetudini”, nel tentativo di capire e conciliare le contraddizioni comuni a ciascun individuo, rincorrendo i suoi ricordi, “quasi” smarriti, per indagare su qualcuno che comunque non saprò mai chi è veramente stato.

E Marlowe… forse Raymond, suo padre, ha puntato casualmente un dito contro un tizio per burlarsi di lui e tendergli un tranello nel quale sono ingenuamente caduto proprio per quel “quasi”.

Sei d'accordo sulla mia affermazione sul “lungo addio”? E che cioè mai finisce e che, in qualche modo, ricompare nel ricordo ancora più malinconico...

Certamente sì. Perché il tempo che non muore è quello che ritorna, fatalmente, perpetuando il grande inganno, ironico e beffardo, di una corsa truccata fin dalla partenza, tesa a raccogliere il testimone da uno sconosciuto che apparentemente sembra essere scomparso e passarlo ad altri come lui, per rinnovare quella sottile e malinconica certezza, senza età, che si prolunga con un addio che va oltre la memoria.

Mi sono convinto dell'importanza dei richiami cinematografici (film noir classici, s'intende...) nelle tue storie. Forse sono più importanti di altre suggestioni... mi sbaglio?

No, perché il lettore “accorto” sa che la settima arte le riunisce tutte, a iniziare dalla cinematografia dell’espressionismo tedesco, quando accolse le prime suggestioni della psicanalisi, per poi costringerle a emigrare a Hollywood. E qui confesso che un ragazzino, che non amava andare a scuola, ha imparato molto affascinando gli occhi sugli schermi, affinandosi le orecchie con le colonne sonore in bianco e nero e contrassegnando il proprio animo per sempre.

Mi riferisco naturalmente alla capacità di assorbimento del lettore. Non trascuro affatto le suggestioni del ritmo della musica jazz (c'è pure in appendice l'elenco “Jazz e dintorni nei romanzi di Frank Spada”), ma mi sembra che il ritmo del jazz serva soprattutto a te, l'autore...

Il ritmo della mia scrittura, o annotare il passo, è quello di un giro armonico, ripetitivo come un braccio che riporta costantemente una puntina a frusciare i solchi di un V disc: tempi veloci, o medio brevi, spezzettati, fino a quelli lenti e spazzolati come fossero la cenere di una sigaretta depositatasi nella memoria di un tabagista. Non per nulla, uno strumentista jazz da quattro spiccioli si scambiò le ciliegine dei Tom Collins con la figlia di un Capitano Usa Air Force a Aviano, alla fine dei ’50, prima di ruzzolare a terra per un lungo tratto della vita a causa dei ripetuti esercizi spirituali.

Cosa stai preparando?... se puoi farci la confidenza, s'intende...

Ho intenzione di proseguire il gioco, e sempre senza imbrogli, nella convinzione che un libro esiste solo quando un qualsivoglia lettore lo legge, non si annoia e lo passa a qualcun altro. Lo scrittore, secondo me, è, o dovrebbe essere, un individuo invisibile, senza nome, che vuole esercitarsi all’ombra di se stesso, sapendo che sarà condannato a non poter mai leggere un proprio testo con gli occhi di un qualsivoglia altro lettore.