Nella vita reale, invece, non mi sono innamorato mai, ho solo sognato il romanzo. Bene, adesso ce l’ho il mio romanzo, servito su un vassoio. Sangue, tragedia, sacrificio, ma non mi sto divertendo affatto. E ho anche un bell’enigma su cui rompermi la testa, mentre sprofondo nell’afa puzzolente di questa mia cella. Prima di tutto bisognerebbe capire chi ha fatto quella fottuta telefonata. Barbara è stata molto vaga, non ha saputo riconoscere la voce, ha detto.

Freida: come ho fatto a non pensarci prima? Adesso sono quasi sicuro che fosse Freida. Era pronta a tutto quella donna per arrivare in cima alla sua bella scalata sociale, anche ad andare a letto con il grassone. E così se l’era lavorato per bene, tanto da fargli dare il benservito a Barbara. Si vedeva già seduta sul trono della Simpkin Corporation, Freida, ma poi sono arrivato io a manomettere le cose. C’era almeno un milione di prove accumulato contro Barbara: la sua macchina parcheggiata fuori dal palazzo che almeno qualcuno doveva aver visto, il vestito che si era sporcato col sangue di Constantin, il bicchiere in cui aveva bevuto e non so quanti altri segni che testimoniavano che era passata di là. Ma con una confessione firmata nessuno sarebbe andato ad approfondire la cosa. Serviva un bel capro espiatorio che mettesse a tacere l’intera Giuria e non avevo sotto mano nessun altro che me stesso.

“Le donne portano guai” diceva sempre O’Shea, un vecchio pugile che i pugni non erano riusciti a rintronare quanto una donna dai capelli rossi che si era divertita a spezzargli il cuore in due. E anch’io mi ero cacciato in un bel guaio a causa di una donna. Ma volevo eliminare anche l’unico movente e così mi sono seduto alla scrivania, ho guardato Constantin nelle pupille vitree, ho preso la sua carta da lettera e mi sono messo a falsificare quei documenti. Ho avuto delle noie in passato per questo mio piccolo hobby, quando lavoravo per Robert Buchmann, ma questo fu molto prima che arrivassi a Savannah. Bene, adesso nessuno avrebbe potuto più dire che Constantin voleva far fuori Barbara se la nominava Presidente.

Avrei pagato un milione di dollari per vedere la faccia di Freida quando è stata data lettura dell’ultima lettera di Constantin. Freida è il tipo di donna che quando le saltano i nervi è capace di cacciare un coltello nella gola di un uomo. Barbara no, Barbara non ha mai perso il controllo una volta. Ha perfino avuto la freddezza di restare sola mezz’ora con il cadavere, in attesa che io arrivassi in suo aiuto. “Le persone controllate non sanno soffrire” mi diceva Wendy una volta. E forse è un bene che Barbara non ne sia capace. Ma allora perché me la immagino spaventata e smarrita in quella fatidica notte? Comincio a credere di non saperla più ricordare, di amare soltanto l’idea di me come eroe di questa storia e di aver riscattato con un gesto una vita spesa a deludere la gente e a berci poi sopra.

Quante volte ho fatto a botte coi ragazzi del paese, prima di piantare lì tutto e dare fuoco al fienile di mio padre... Poi me ne sono andato avanti e indietro per il Continente, fermandomi solo alle pompe di benzina e ai supermercati e in fredde caffetterie che all’alba ti mettevano addosso l’angoscia. E ho incontrato un po’ di ragazze che hanno passeggiato sul mio cuore coi loro tacchetti a spillo, indurendolo ogni volta un po’ di più. Alla fine mi sono ritrovato per un paio d’anni nello studio di Robert Buchmann e me ne sono andato in fuga anche da lì, inseguito da un codazzo di avvocati. Naturalmente quella strega della sua segretaria non ha mancato di saltar fuori al processo per completare il mio ritratto di personaggio poco onesto. Cosa diavolo avevano a che fare quella vecchia megera e quel vecchio episodio con Savannah? Perché si era messa a nominare Freddy Eagle e Barbara Lovecraft?

Gli spettri vanno e vengono dentro la mia cella e mi hanno assalito con un nuovo tormento. Tutto questo non ha senso, perché Buchmann e la strega e tutti i guai che ho combinato là appartengono al passato e non c’entrano con Fred e con Barbara e Savannah e Constantin e non ci ho fatto caso al processo perché non aveva senso e l’ho creduto un altro dei miei deliri. Ma se invece non fosse un’incongruenza, se Barbara e Fred avessero conosciuto Buchmann e avessero saputo di me prima, prima d’incontrarmi... Il bicchiere, accidenti, il bicchiere! Anche questo non aveva senso. C’erano due bicchieri sul tavolo, come se avesse bevuto con Constantin, e io mi sono affrettato a nasconderli.