Sei direttore editoriale di Castelvecchi Editore. Cosa implica questo ruolo? Sintetizzalo in cinque parole

Cercare libri belli da pubblicare… e sono davvero cinque parole, no?

Come ti mantieni aggiornato?

Mi mantengo aggiornato facendo tutte queste cose e molto altro ancora… sempre sintetizzando potrei tagliare corto dicendo che mi aggiorno vivendo!

Quale pensi che sia l’orientamento attuale di Castelvecchi? Ci dai uno slogan esemplificativo?

Attualmente la nostra produzione viene pensata e organizzata al grido di “Castelvecchi, il classico che non ti aspetti!”. Vuole semplicemente dire che intendiamo scoprire e offrire il nuovo nell’ambito di una tradizione di lunga durata – quella della controcultura italiana, dalle origini satiriche fino alle attuali derivazioni pop – alla quale ci sentiamo di appartenere

Cosa pensa della situazione editoriale italiana?

La crisi si fa sentire colpendo le librerie e, di conseguenza, tutto l’apparato produttivo, Però è anche vero che rispetto ad altri settori, anche molto più forti, il mercato del libro tende a contraddistinguersi per una relativa stabilità.

E di quella estera? È molto differente dalla nostra?

Per quanto riguarda il discorso crisi la situazione, all’estero, è anche peggiore. In una realtà come quella anglosassone ancora più raccolta intorno a grandi gruppi industriali, i licenziamenti di migliaia di persone si decidono con un tratto di penna. E così, ogni volta che vado a una fiera internazionale, decine di colleghi americani e inglesi con i quali, nel tempo, avevo fatto amicizia, molto semplicemente non ci sono più. Inquietante, no?

È vero che in Italia siamo invasi da autori stranieri a discapito dei nostri, diversamente da ciò che accade negli altri paesi?

È vero: l’Italia è il paese che, in assoluto, acquista più diritti esteri nel mondo, un primato che negli ultimi anni ha strappato alla Germania. La cosa ha senz’altro una ricaduta negativa sul pil italiano, specialmente se si considera che in stati come gli Stati Uniti e l’Inghilterra il commercio di prodotti culturali incide significativamente sulle entrate del paese. Da un punto di vista culturale, però, io considero la disponibilità di libri tradotti una ricchezza: in realtà sono contento di vivere in un posto dove posso trovare grandissimi capolavori nella mia lingua, anche se so che la cosa non è certo innocente ma affonda le sue radici in politiche culturali che ci trasciniamo dietro dai tempi della sconfitta italiana nella seconda guerra mondiale e del suo conseguente inserimento nell’orbita della Nato.

Facciamo un sondaggio Castelvecchi, rispondi in percentuale e dicci, da gennaio a luglio 2010, quindi praticamente soltanto i primi sei mesi dell’anno, quanti:

Non è stato facile fare tutti questi calcoli… tuttavia i risultati sono:

stranieri avete pubblicato: 27%

italiani avete pubblicato: 73%

autori (maschi) avete pubblicato: 68%

autrici avete pubblicato: 32%

autori/trici conosciuti come scrittori avete pubblicato: 35%

autori/trici esordienti avete pubblicato: 18%

autori famosi in altri settori (sport/spettacolo/etc) avete pubblicato: 3%

manoscritti tra quelli ricevuti avete pubblicato: 5%

Volevo farti più di alcune domande standard sulla questione manoscritti, ma sul web si possono trovare facilmente le tue risposte. Quindi ti chiedo qual è il manoscritto più strano che ti sia mai passato tra le mani. (e perché ovviamente)

Ho ricevuto manuali per la manutenzione dei trattori, raccolte di poesie casuali (cioè composte da lettere ritagliate dai giornali e appiccicate a caso su dei fogli), fotografie di coprofagi (giuro!)… già per definire ciò che è più strano ci vorrebbe uno psichiatra!

Raccontaci il manoscritto ideale, quello dei tuoi sogni.

Un romanzo di genere ottimamente scritto, un saggio dall’argomento ben centrato e affrontato con ampiezza… tutto ciò che può essere girato direttamente alla redazione per l’impaginazione e la stampa in generale! Ma parliamo di cose davvero rare, autentiche “mosche bianche”.

Un libro con cui hai osato.

Bisognerebbe intendersi sul termine osare… perché il vero rischio, in editoria, non sta tanto nel proporre libri che possono essere considerati politicamente scorretti o sperimentali, perché in genere questi non hanno mai grossi costi di diritti d’autore né alte tirature. Il vero rischio si prende, invece, quando si accetta di pagare un grosso anticipo all’autore straniero più o meno famoso, sopportando poi i relativi costi di traduzione, ritrovandosi alla fine con pile di libri invenduti che si trasformano in rese che tornano all’editore: questo è il vero rischio… un rischio che si corre molto spesso.

Il libro più ironico.

Se stiamo ai titoli, oscillerei tra “Giovani, nazisti e disoccupati” e “Tutti i poveri devono morire”… una vera e propria produzione di varia di marca strettamente ironica, qui in Castelvecchi non l’ho ancora iniziata.

Quello che incute più paura.

Forse “La vergine del sudario” di Bram Stoker… le sottili atmosfere vittoriane, dove le inquietudini sono alluse più che ostentate, hanno sempre il loro perché

Quello che ha dato più soddisfazioni in termini di vendita.

Il best-seller dell’estate è “Augustus.

Il romanzo dell’imperatore” di John E. Williams: insieme a “Io, Claudio” di Robert Graves e a “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar, il più bel romanzo storico mai scritto sull’Impero Romano.

Un autore che avresti voluto pubblicare

Essendo che gli autori morti conservano comunque il privilegio di poter essere pubblicati preferirei non rispondere… non vorrei ritrovare una mia idea in libreria con il marchio di un altro editore!

Progetti editoriali?

Al momento la Castelvecchi sta iniziando ad assumere una nuova fisionomia, per me molto interessante. L’anno prossimo mi dedicherò al suo consolidamento, questo è il progetto a cui tengo di più.

Sei anche scrittore e saggista. Hai pubblicato “Italia Criminale” (Newton Compton 2006), un saggio sulla delinquenza e la rapina, nel nostro paese, collegate a passaggi storici significativi del Novecento. I personaggi di cui parli incarnano un individualismo e una concezione della vita fuori dalle regole, che sono specchio oggi di una parte della nostra società? O meglio: noi siamo i crimini che facciamo?

Noi siamo i crimini che sogniamo di commettere… per quanto riguarda i rapinatori, poi, i loro sono criminali di altri tempi.

Qualunque speculatore finanziario, oggi, riesce a fare una quantità di danni talmente elevata da rendere ridicole le gesta dei grandi specialisti della rapina… e il bello, per questi nuovi loschi figuri, è che riparati dalle giacche e dalle cravatte non si sporcano mai le mani.

Progetti tuoi, letterari?

Sto lavorando a una raccolta di racconti dedicati alla violenza politica… ma non prevedo di completare tanto presto l’opera.

Ora alcune domande personali. Cosa fai quando non lavori?

Quando non lavoro… dormo!

C’è qualcosa che ti piacerebbe fare e per cui non trovi tempo?

In realtà no, ho un carattere che persegue ostinatamente ciò che gli procura piacere e io è proprio con la carta stampata che intrattengo una relazione totalizzante e passionale… almeno quando non sono innamorato, si intende!

Un desiderio.

Vivere in una società basata sui valori di fraternità, libertà e uguaglianza.

Una perplessità.

Una sola? Mi pare che il mondo ne solleciti a piene mani tutte le volte che ci si decide ad osservarlo.

Una certezza.

In futuro saremo tutti famosi per quindici minuti… è la società dello spettacolo… che ci tratta da prodotti già da adesso.

Ci saluti con una citazione da “Italia Criminale”?

“Mani in alto, questa è una rapina”.