Identità bruciata (The Bourne Identity): è del 1988 questa serie TV in due puntate, ispirata molto fedelmente a Un nome senza volto (The Bourne Identity, 1980) di Robert Ludlum, sceneggiata da Carol Sobieski e diretta da Roger Young. Con qualche difficoltà si reperisce anche in DVD italiano di ottima qualità, essendo stato ristampato più volte.

Diciamo subito che rispetto agli adattamenti cinematografici degli anni 2000 c’è un abisso. Non sempre e non necessariamente in senso negativo. Siamo in un’epoca in cui il prodotto televisivo è lontano dalla rivoluzione che porteranno prima X-Files, quindi 24 e serie similari. Più che un serial questo è un film per la TV realizzato in due puntate da 90 minuti perché la storia è complessa. I mezzi, però, non sono ristretti e lo si vede dalla scelta degli interpreti.

Richard Chamberlain era ancora in una fase di considerevole notorietà. Noto soprattutto per il personaggio del dottor Kildare sarà poi padre Ralph in Uccelli di rovo e il Pilota di Shogun. Qui se la cava egregiamente per più di una ragione. Stando al romanzo originale Jason Bourne è stato sì militare in Vietnam (dove ha perso moglie e figlio uccisi - nello sceneggiato - proprio da Carlos lo Sciacallo) ma, fondamentalmente, è un uomo di cultura, un professore universitario. David Abbot (Donald Moffat) che lo ha adottato alla morte dei genitori e poi reclutato nella Treadstone 71 (che qui è un’operazione dei buoni volta solo all’eliminazione di Carlos) lo rammenta in numerose occasioni come un intellettuale, una persona “gentile”, non un militare cui hanno lavato il cervello.

           

Il piano di base che emerge nel corso della storia è quello del romanzo. David Webb è stato reclutato dopo la morte della moglie e del figlio vietnamiti per sostituire Jason Bourne, un killer venuto dalle fila del gruppo Medusa. Medusa è, ovviamente, una trasfigurazione della famigerata operazione Phoenix, organizzata dalla CIA per eliminare obiettivi vietcong e nordvietnamiti in zone non belligeranti come il Laos e la Cambogia. Jason Bourne, quello vero, però era un individuo incontrollabile, a detta dei suoi stessi compagni, un sadico che godeva a uccidere. Perfetta antitesi di quel Carlos di fantasia che negli stessi anni in Europa sta costruendosi la fama di terrorista internazionale.

Molti dei “tiri” effettuati da Bourne in Oriente (omicidi e attentati eclatanti anche quando non riusciti) sono reali. Poi Bourne viene eliminato e fatto sparire. Al suo posto, dopo una serie di interventi chirurgici e un addestramento adeguato, si inserisce Webb. Questi punta all’Europa, sfida Carlos sul suo stesso terreno per costringerlo a venire allo scoperto. Tutto sembra procedere secondo i piani, almeno sino alla vigilia dell’attentato mortale contro l’ambasciatore Leland, feroce oppositore dell’escalation degli armamenti e bersaglio di Carlos. In qualche modo il nuovo Bourne riesce ad arrivare all’interno dell’organizzazione di Carlos ma, a bordo di un battello al largo della riviera francese, viene colpito alla schiena e cade in mare. Recuperato a Pont Noir, un paesino della Francia del Sud da un medico ubriacone radiato dall’albo, interpretato con l’abituale misura da Denholm Elliott, Bourne si salva ma scopre di aver perduto completamente la memoria recente.

Richard Chamberlain e Jaclyn Smith
Richard Chamberlain e Jaclyn Smith
Con la convalescenza riprende le forze, scopre di conoscere diverse lingue ma la personalità di Webb e quella di Bourne si sono mescolate e in più nella sua mente la missione ha creato un’ulteriore confusione. Il suo scopo era quello di farsi passare per Carlos dalle organizzazioni terroristiche in modo da tendergli una trappola. La pallottola, il volo in acqua e lo shock hanno fatto il resto. Mentre alla televisione passano le immagini riguardanti la morte dell’ambasciatore, Bourne scopre di avere inserito sotto pelle un microfilm con il nome di una banca di Zurigo e un conto cifrato.

L’incontro casuale con due componenti dell’organizzazione di Carlos e la seguente rissa gli rivelano particolari ancor più sconcertanti. È un uomo capace di uccidere e battersi anche in condizioni di inferiorità e ci sono diversi indizi che porterebbero a pensare che lui sia se non proprio Carlos almeno un killer a pagamento. Una natura che il suo io profondo nega. Compreso di non poter più restare con il suo amico medico, si mette in viaggio seguendo l’unica pista che ha. Quel microfilm che lo lega oscuramente a un mondo di intrighi, alta finanza e crimine che neppure sospetta.

              

Come sempre in queste vicende di memorie cancellate e scambi di persona è richiesta allo spettatore una certa dose di sospensione di incredulità, ma la trama regge. Il nostro che a volte è incredibilmente spaesato e in altre si dimostra duro come l’acciaio finisce per coinvolgere contro la sua volontà Marie St. Jacques, economista canadese, incrociata in albergo sulla via di un congresso e sua involontaria complice nella fuga dai cattivissimi killer.

Jaclyn Smith (che è stata forse la più bella e meno famosa delle Charlie’s Angels originali) recita il suo ruolo alla perfezione. Spaventata, rabbiosa, poi comprensiva e innamorata, è esattamente il personaggio descritto da Ludlum nel suo romanzo. È lei che convince Bourne di non essere un assassino, è lei a far rinascere l’amore nell’animo di un uomo che ha perso tutto ma continua a rivedere i visi della moglie e del figlio prima della morte.

Come in ogni brava serie TV americana è l’elemento sentimentale che fa scattare l’identificazione della spettatrice che forse all’intrigo non è molto interessata ma già pende dalle labbra del bel Richard. È anche una figura che si contrappone alle altre donne della storia. La creatrice di moda parigina che copre i traffici di Carlos in Place de la Concorde, l’amante del vecchio generale (interpretato da Anthony Quayle in perfetta parte) amante di Carlos sin da tredici anni sono le cattive. Finiranno malissimo. Marie tentenna, sta quasi per denunciare Bourne, poi lui la salva dalla violenza di un brutale killer e questo basta a convincerla al di là di ogni ragionevole dubbio che l’uomo di cui ormai si è innamorata è buono oltre che bello. Non può essere un killer. E per dimostrarlo è disposta anche a diventare una ricercata.

            

Lo sceneggiato segue così il romanzo, semplificando quando è il caso ma permettendosi ambientazioni fascinose dalla Svizzera a Parigi sino all’epilogo a New York. L’atmosfera e i personaggi di Ludlum sono ripresi con aderenza al testo e se nel gioco di tradimenti e infiltrati non è difficile capire chi tradisce, la tensione è sempre alta.

L’azione non manca e, per l’epoca, è messa in scena con notevole credibilità. Siamo lontanissimi dalle sequenze sincopate di Greengrass quanto dalla spettacolarità al rallentatore dei film anni ’90. Ma, anche in questo settore, domina una professionalità per cui tutto risulta plausibile, piacevole anche a distanza di anni.

Yorgo Voyagis è un Carlos perfetto, truce e micidiale benché appaia raramente. La sequenza finale di duello all’interno della casa che ospita la Treadstone 71 è da manuale. La storia ha lieto fine, come il romanzo. Non prevede sequel. David Webb ritrova la memoria, la sua vera personalità, vendica la famiglia, libera il mondo da un feroce assassino e incontra l’amore. 180 minuti di ottima televisione da rivedere nell’ottica delle produzioni di quegli anni.