Ha finalmente quel nome. Ci sono voluti anni, ma adesso ha quel nome.

José Antonio Gardel.

José Antonio, come il fondatore della Falange spagnola.

Gardel, come il musicista che ha reso famoso il tango nel mondo.

Ma José Antonio Gardel non è un musicista. Lui non produce musica. Produce rumore, questo sì. E sangue, terrore, disperazione, morte.

José Antonio Gardel è l’uomo che ha compiuto la strage del tribunale di Brescia, anni fa. Otto morti, venticinque feriti.

Una strage spaventosa.

E quei morti lui li rivede ogni volta che chiude gli occhi. Quei morti gli chiedono vendetta. Quei morti lo accusano. Perché lui è l’uomo che ha aiutato Gardel a fare la strage.

Da Milano a Barcellona, un viaggio lungo e pieno di pericoli. La polizia italiana, la Gendarmerie francese, la Guardia Civil spagnola. Un lungo viaggio in cui ha dormito poco, mangiato ancora meno. Un lungo viaggio con in testa soltanto una cosa: quel nome.

Ma gli è andata bene, nessuno lo ha fermato, nessuno lo ha controllato.

Dalla stazione di Sants, fino a Plaza Cataluña. Poi a piedi lungo la Rambla e  infine dentro il Barri Xino, nella casbah di Barcellona.

Qualche anno prima non si poteva chiamarlo così. Si chiamava Barrio Chino, si doveva parlare in castigliano. Qualche anno prima, parlare catalano avrebbe portato seri guai. Poi nel 1975 Franco è morto, ci sono stati grandi cambiamenti e adesso la gente parla catalano senza paura. Un giorno forse la gente avrà paura di parlare castigliano. Chissà.

 

Lui si avvicina alla porta del bar, guarda dentro. Facce poco raccomandabili, come in tutto il quartiere.

Un bar frequentato, secondo la leggenda, da Buenaventura Durruti e dal suo amico Ascaso.

Ma forse non è vero.

Lui entra, qualcuno si volta per guardarlo. Si avvicina al bancone, ordina una birra.

“Estoy buscando Anselmo”, dice al barista.

“Molti cercano Anselmo. Tutti cercano sempre qualcuno”, risponde il barista in italiano.

“Un barista filosofo non lo avevo ancora incontrato”, risponde lui.

“C’è sempre una prima volta.”

“Ma Anselmo c’è o no?”

“Non l’ho ancora visto. Forse arriva più tardi.”

“Posso aspettarlo?”

“Se paghi la birra, puoi fare quello che vuoi.”

 

Anselmo non è cambiato. Solo un po’ più vecchio. Adesso è tornato a vivere qui, è tornato a casa, dopo gli anni in Francia.

Lo abbraccia forte, una lacrima scorre sul suo viso.

“Che fai qui? Sono passati tanti anni…”

“Sto cercando una persona.”

Gli racconta tutto, senza nascondere nulla, senza nascondere nemmeno quello che vorrebbe dimenticare.

Lo sguardo di Anselmo diventa triste.

 

José Antonio studiava con me. Ma all’epoca non si chiamava José Antonio. Io l’ho conosciuto con un altro nome. Io e lui dividevamo lo stesso appartamento. Per un certo periodo di tempo anche la stessa ragazza. José Antonio era il mio migliore amico. O meglio, credevo che lo fosse.

Ero stato io a portarlo alla sede della biblioteca libertaria. Mi sembrava che portare un anarchico spagnolo fosse una cosa divertente. Ero un po’ più giovane, allora, e molto più stupido.

La bomba davanti al tribunale di Brescia non doveva essere una bomba.

José Antonio ci aveva parlato di quello che aveva fatto Francisco Sabaté a Barcellona quando aveva bombardato di volantini la città usando una specie di mortaio. Appariva e scompariva, lanciava i volantini con il suo strano mortaio.

A noi sembrava una cosa fantastica. Fare come Sabaté, fare come l’eroe libertario dei nostri sogni.

Ma il mortaio era un vero mortaio e noi eravamo troppo stupidi, troppo presi dai nostri sogni.

È arrivato a Cadice.

È riuscito a scoprire dove abita. Non è stato facile. Ci sono voluti tanti, troppi anni. Ma lui lo avrebbe trovato anche a costo di impiegare tutta la vita. Tanto, la sua vita è già stata rovinata.

Però adesso ce l’ha fatta.

Adesso finalmente i morti del tribunale potranno essere vendicati. Adesso finalmente potrà chiudere gli occhi senza sentirli urlare.

 

La casa è molto bella, una vecchia casa signorile a tre piani sulla piazza del Teatro Falla, el teatro de los ladrillos coloraos, il teatro dai mattoni rossi. Dove si festeggiava il carnevale anche durante il franchismo. Franco aveva proibito il carnevale, festa pagana, ma a Cadice, a Cài, nessuno era riuscito mai a impedirlo. Non si poteva imprigionare tutta la città.

Tre piani. Anticamente, il piano a livello del suolo era di servizio. Il secondo, il piano nobile, dove abitava la famiglia. Il terzo, l’ultimo, sotto il tetto, per la servitù.

 

Cerco di restare calmo, ma non riesco a evitare il tremore alle mani. Il cameriere sorride e mi chiede cosa voglio bere.

Ordino e continuo a guardare, poi finalmente lo vedo. Esce, vestito di bianco, occhiali scuri. È solo.

Mi alzo, ma lui si avvicina al bar.

Si avvicina a me.

Mi ha riconosciuto? Infilo la mano in tasca, ma lui si lascia cadere sulla sedia del tavolino a fianco.

Torno a sedermi anch’io, le mani continuano a tremare.

Cerco di aprire il giornale di fronte a me.

Cerco di accendere una sigaretta. Come sempre in questa città, c’è troppo vento.

Lui mi vede, mi porge il suo Zippo d’argento, antivento.

“Gracias” dico.

“De nada”, risponde riprendendo l’accendino.

Poi mi guarda in faccia, per la prima volta. Mi ha riconosciuto, sono sicuro. È vero che allora portavo la barba e i capelli lunghi, ma non posso essere cambiato così tanto. O forse sì. Sono cambiato, allora ero vivo, e adesso sono un morto che cammina, un morte che sogna morti, un morto che deve compiere una vendetta,

“Usted es italiano?”dice.

“Sì. Se nota?”

“Un poco. De donde?”

“Edolo.”

“No sé donde está. Norte o sur?”

“Norte. Cerca de Brescia…”

 

Ecco, adesso l’ha riconosciuto. Impallidisce, lo guarda meglio.

Adesso sì, lo ha riconosciuto e ha capito.

José Antonio Gardel gli rovescia il tavolino addosso. Estrae la pistola. Ma lui ha aspettato questo momento per tanto tempo. Non può fallire. Non può.

Gli scarica addosso tutto il caricatore della Astra che gli ha procurato Anselmo.

Il corpo di José Antonio è crivellato dai proiettili calibro nove mentre il cameriere si nasconde dentro il bar, due turisti tedeschi si gettano a terra e una ragazza urla.

Poi, lui getta la pistola e si allontana, nessuno cerca di seguirlo. Percorre tutta Calle San Rafael e poi va davanti alla spiaggia. Scende i gradini, si toglie le scarpe e sente la sabbia sotto i piedi. La sente anche sulla faccia, c’è molto vento sulla spiaggia.

Si siede davanti al mare mentre sente le sirene che si avvicinano.

Chiude gli occhi. Ha paura di farlo, ma deve farlo.

Chiude gli occhi, rivede il corpo di José Antonio crivellato dai proiettili, ma non vede più i morti che lo accusano.

Adesso, anche loro hanno avuto la vendetta. Adesso avranno la pace.

Sente le voci, sente che gli ordinano qualcosa. Non si alza, non si muove, non apre gli occhi.

Sente qualcuno che si avvicina. Sente mani che lo afferrano, lo immobilizzano.

Non gli importa.

Apre gli occhi, guarda il mare. La vendetta è compiuta, i morti del tribunale sono stati vendicati.

Il resto non importa.