Matteo spense l’autoradio, tanto era evidente che sarebbe stato impossibile ascoltare in pace un po’ di musica.

«Ti sei chiesto qual è il problema principale che avremo nel futuro?».

«Qual è?», chiese Matteo senza molta convinzione.

«È il petrolio – gli rispose Pino. – Siamo totalmente dipendenti dal petrolio degli arabi. È sufficiente che accada un niente in Medio Oriente, perché la benzina salga qui di dieci centesimi».

«Non mi sembra una grossa rivelazione», disse Matteo.

«Comunque il punto è che bisogna pensare per tempo ai nuovi combustibili, per non trovarsi spiazzati quando arriverà la crisi».

«Uhm-uhm…».

«Senti un po’ che cosa si sono inventati in America, nel Nuovo Messico. Quelli del Sud hanno un sacco di vacche, e dalle vacche ci fanno la carne, d’accordo, ma quelle bastarde gli fanno anche un sacco di cacca. Dalla cacca fino ad ora non ci tiravano fuori assolutamente niente, e la lasciavano lì dov’era, ma ora… e sta proprio qui l’incredibile, hanno trovato il modo di farci la benzina. La sintetizzano, o una cosa del genere, e ci fanno la benzina… Non è formidabile?».

«La benzina dalla merda Ma che bella idea! E quanti chilometri ci fanno con uno stronzo?», domandò Matteo.

«Con te non si riesce mai a fare un discorso serio», rispose Pino un po’ seccato.

«Vuoi fare un discorso serio sulla merda? Per te è ragionevole fare un discorso serio su quello che lasci nel bagno?».

«Mi sembrava un argomento buono come un altro».

 «Quindi, se ho capito bene, nel futuro – e stiamo parlando di un futuro prossimo – dopo essermi alzato e aver fatto una bella colazione, dovrò semplicemente infilare un tubo nel pozzo nero di casa e pomparmi dieci litri di verde nell’auto. Direttamente dal produttore al consumatore… E’ questo che intendi?».

«Be’, a livello di principio…».

    « Ehi, non sono stato io! Lo giuro! È stata la mia macchina… Che possa morire se non è vero! – disse Matteo emettendo un peto con la bocca che rimbombò per tutta l’autovettura. – E ora vediamo di piantarla con questi discorsi».

Poi, mentre guidava, gli venne da pensare che in fondo l’idea della nuova benzina non era del tutto da disprezzare: a nessuno sarebbe mai venuto in mente di rubartela aspirandola con la bocca; ma non disse niente a Pino di questa sua considerazione, non voleva più tornare sull’argomento. 

Uscirono fuori città e presero la statale, e dopo mezz’ora lasciarono la superstrada a sinistra immettendosi sulla strada provinciale che portava a Verbate. Attraversarono la città e raggiunsero la sua zona industriale fatta di capannoni e vecchi magazzini. Qui Matteo inchiodò la macchina a un centinaio di metri da un vecchio edificio in mattoni rossi.

«Ok, il cinese è dentro, è solo, e non ci aspetta. Lo becchiamo proprio con le brache calate – disse sghignazzando. –Va’ dentro e stendilo. Ti aspetto qui con la macchina accesa, così se c’è qualche problema filiamo via a razzo».

«Uhm – fece Pino – ma se te ne stai qui con macchina accesa, non sembrerà sospetto?».

«Se viene qualcuno a domandarmi che ci faccio qui, gli dico che mi si è piantata la macchina, contento?».

«Ma se ti si è rotta la macchina, come fai a stare con il motore acceso? Lo senti che la cosa non funziona?».

«Va bene, allora sono qui che sto aspettando qualcuno».

«E chi aspetti?».

«E che vuoi che ne sappia? La mia ragazza…».

 «Davvero? In questo posto desolato dove non c’è una casa abitata nel raggio di duecento metri? E da dove dovrebbe saltar fuori? E poi, non per essere puntiglioso, ma con l’attuale prezzo della benzina, tenere la macchina accesa per niente a me sembra una stupidaggine…».

«E se non c’è una casa abitata nel raggio di duecento metri, a chi vuoi che gliene freghi un cazzo che sono qui col motore della macchina acceso ad aspettare la mia ragazza! E poi, fanculo te e il prezzo della benzina…E ora vedi di piantarla, metti su gli occhiali da Groucho Marx, ed entra in quella casa».

Pino aprì il cassettino della macchina e prese un paio di occhiali di plastica colorati, con il naso finto e un paio di grossi baffi, e li inforcò. Poi ebbe un momento di ripensamento.

«Ma davvero devo entrare in quella casa conciato così?».

Matteo cominciò a contare nella sua testa lentamente da dieci a uno.

«Ascolta, l’idea non è stata mia, ma del capo, e non c’è altro da aggiungere. Se il capo mi avesse detto di entrare in quella casa truccato da Paperino o vestito da scolaretto con il grembiule e il fiocco rosso, l’unica cosa sensata che avrei potuto fare sarebbe stata quella di obbedirgli».

«E che no ne vedo la ragione – continuò Pino. – Se devo sembrare un buffone, voglio perlomeno saperne il motivo».

«E’ per l’effetto sorpresa. Se entri in casa di qualcuno vestito da Groucho Marx, anche se impugni una pistola, a nessuno salterà mai in mente che sei lì per ammazzarlo. Hai capito ora? E’ per l’effetto sorpresa, lo prendono per uno scherzo, e se lo prendono su nel di dietro».

«Uhm, forse hai ragione».

«Perfetto, allora scendi dall’auto e facciamo quello per cui siamo venuti».

«Uhm, ma il tipo che devo sistemare è proprio cinese?».

Matteo batté con violenza il palmo sullo sterzo fino a sentire dolore alle articolazioni della mano.

«C’è qualcosa che non va con i cinesi?».

«E’ per via di quello che è capitato a mio cugino Ciro», disse Pino.

«Che gli è capitato a tuo cugino Ciro», chiese Matteo cercando di restare calmo.

«Be, se ne stava in un pub a bersi una birra, quando ha litigato con un cinese…».

«Ha litigato con un cinese, e allora?».

«Allora sono usciti nel parcheggio per appianare la faccenda. Ora Ciro, devi sapere che è un tipo grande e grosso, mentre quel cinese era piuttosto mingherlino, e quindi sembrava una pura formalità il fatto che lo legnasse di brutto…».

«E invece…».

«Quello doveva essere una specie di Bruce Lee, una cintura nera di kung fu, e ha cominciato a far volare Ciro da una parte all’altro del parcheggio come un fuscello.  Il cinese se lo è lavorato per un po’, e poi sai cosa gli ha fatto, quel bastardo, quel maledetto figlio di mandarini?».

«Cosa gli ha fatto», chiese Matteo con rassegnazione.

 «Il “tocco della morte”. Quel muso giallo lo ha toccato sul petto in modo strano e poi gli ha detto: “Onolevole signole, fla tle giolni lei salà molto!». Naturalmente il tocco della morte non era che uno scherzo, umorismo orientale, credo, ma Ciro ne è rimasto a tal punto impressionato, che se ne è stato per tre giorni convinto di dover morire da un momento all’altro. Aveva il sistema nervoso completamente a pezzi. Ecco perché non mi piacciono i cinesi».

«Sai una cosa Pino, mi sono appena ricordato che il tizio in quella casa non è un cinese, è un maledetto coreano. Ora, non rompere più il cazzo, e vai fuori dalla macchina».

Pino scese dalla macchina con indosso gli occhiali da Groucho Marx e la pistola in mano rasente alla coscia, e cominciò ad avanzare a piccoli passi verso la casa. Al ritorno ci sarebbero state alcune cosette che avrebbe dovuto chiarire con il capo.

La prima, che non voleva più fare di questi lavori truccato da pagliaccio. Aveva anche lui aveva la sua dignità, per la miseria. La seconda, che non voleva più aver a che fare con cinesi, coreani, giapponesi, e giallastri in genere. C’era tanta gente da sistemare che non era asiatica, che gli passasse quei lavori lì. La terza, che… che… E cominciò a pensare intensamente a quale potesse essere la terza cosa. Ci voleva una terza cosa, per una sorta di completezza, ci voleva proprio, ma non gli veniva in mente niente.

Poi senti il rumore della macchina di Matteo alle sue spalle che partiva sgommando, si voltò e fu preso in pieno dal paraurti dell’auto venendo scaraventato a diversi metri dal punto di impatto.

Matteo inchiodò la macchina venti metri più in là, rifece manovra, e gli passò sopra con le tutte e quattro le gomme. Poi continuò ad infierire sul suo corpo facendo avanti e indietro con la macchina per un bel pezzo. Per la miseria, se non glielo avesse ordinato il capo, prima o poi lo avrebbe sistemato di sua iniziativa, era certo.

E mentre si dava da fare a cambiare le marce e pestare sull'acceleratore, gli venne in mente una cosa... quanti chilometri avrebbe fatto potuto fare con quel mucchietto di merda disteso lì a terra?

Mi chiamo Michele Bolettieri, sono nato a Matera, ma da vari anni sono un pisano d'adozione. Ho pubblicato racconti sulle riviste letterarie Inchiostro, Il Foglio Letterario e Strane Storie,e sulle antologie di racconti Passi nel delirio e Venti d@lla rete. Il racconto Asia o del giallo è entrato a far parte della antologia di racconti on line Colpi di sole, curata da Angelo Marenzana & Mauro Smocovich.