Aurora (Daniela Virgilio) e Rino (Daniele Grassetti), due giovani fidanzati appartatisi con la loro auto alla ricerca di un po’ di intimità vengono aggrediti da un gruppo di teppisti. In loro soccorso giungono fortunatamente Antonio (Rino Diana) e Clara (Santa De Santis), che dopo averli salvati dall'aggressione invitano i due ragazzi a seguirli nella loro villa. Ma una volta giunti…

L’articolo di Mauro Smocovich su Il bosco fuori (21 agosto su TM of course… notizie/5226), debutto nel lungometraggio del giovane regista romano Gabriele Albanesi, è di quelli troppo allettanti per essere ignorato, per cui, vista l’uscita del film in sala (seppure per una sola settimana il che fa complessivamente circa 28 spettacoli), una visita è d’obbligo. Del film, perlomeno a livello di plot, Il bosco fuori prende per via di citazione, seppure in maniera diseguale, da Arancia meccanica e da Non aprite quella porta (ma anche da Le colline hanno gli occhi). Del capolavoro di Kubrick attinge il terzetto di drughi (ma stavolta in abiti normali…) dediti all’ultraviolenza, mentre dalle pellicole di Hooper e Craven preleva, ovviamente, la famiglia cannibale. Senza un crossover simile Il bosco fuori sarebbe poca cosa, visto che visivamente ricalca punto a punto gli archetipi del cinema splatter (dissezioni varie, amputazioni, sangue a fiumi, interiora esteriorizzate, senza peraltro sfigurare grazie agli effetti di Sergio Stivaletti…), consegnandosi però mani e piedi al déjà vu. L’interesse invece è nella storia, che apportando alcune variazioni ai modelli cui attinge, per esempio la rilettura della famiglia cannibale stavolta borghese e apparentemente innocua nei genitori e degenere solo nei figli (tre di tre età differenti…), lascia aperta la porta a più di qualche riflessione. Riguardo a quanto vediamo svolgersi sullo schermo, il panorama muta rapidamente in corso d’opera, il che rende molto relativa qualsiasi separazione netta tra le parti in lotta. Ma c’è di più; già, perché se Il bosco fuori racchiude qualcosa che varrà la pena di ricordare, questo è il finale, che dopo tanto sangue, tante mutilazioni, non chiude le danze come sarebbe stato semplice fare ammiccando a un possibile sequel (che visto l’elevato body count sarebbe apparso come improponibile…). Sceglie al contrario una strada all’apparenza impervia, quella che punta, riuscendovi, a risvegliare quel grumo di sentimento che massacro dopo massacro si pensava sparito per sempre, unendo, in un abbraccio che definire struggente è dire poco, due diversità fino ad allora distanti, regalando così quel quid di speranza tutt’altro che disprezzabile, segno che i registri (i generi per chi preferisce…) vanno più che bene, certo, ma a volte stanno lì per essere sovvertiti.