Chi di noi da piccolo non amava le favole?

Tutti. E io certo non ero da meno. Anzi ne facevo delle gran scorpacciate. Anche quando ancora non sapevo leggere avevo un'intera collezione di audio fiabe.

Siamo sinceri, le favole proiettano i bambini in un modo fantastico fatto di principi azzurri, boschi fatati e nani. Ma anche di streghe cattive, maghi malefici e matrigne pronte a tutto. In fondo tutte le favole hanno qualcosa di noir.

Per questo motivo Marina Visentin, giornalista, traduttrice e e consulente editoriale milanese, non poteva trovare titolo più azzeccato che Biancaneve per il suo romanzo d'esordio.

L'autrice gioca in modo arguto e sottile con un tema scottante, senza farlo emergere in modo pesante o eclatante ma nascondendolo fin quasi alle ultime pagine.

Si parla di violenza e di donne. Di quella a cui spesso il così detto sesso debole  si costringe, pensando di non meritare altro che essere trattate come oggetti a uso e consumo del maschio.

In realtà la protagonista del romanzo ci si ritrova "incastrata", certo per suo volere, ma anche da una serie di eventi che concatenandosi la portano a essere non la succube di Alberto ma addirittura la sua silenziosa complice, quasi compiaciuta dell'omicidio compiuto da suo marito.

Ho assistito a una delle presentazioni dedicate a questo libro, e l'autrice ha raccontato la sua voglia, non tanto di parlare di violenza sulle donne, ma di quello strano meccanismo che si instaura nella nostra mente quando viviamo una situazione di soggiogamento. Una sorta di sindrome di Standal. Bhè, vi assicuro che Marina Visentin c'è riuscita a pieno... pagina dopo pagina arriverete quasi a odiare questa Biancaneve inetta e incapace di reagire nel modo giusto alla situazione nella quale si è andata a infilare e tra le ultime pagine del romanzo sospirando forse penserete … "Bhe, se lo meritava".