Ciao Nick, e benvenuto! Sono felice di avere l’opportunità di ospitarti su ThrillerMagazine...

E’ bello esserci, grazie.

Di recente, grazie alla Garzanti, sei arrivato anche sul mercato editoriale italiano. Il romanzo pubblicato è “Il monastero delle anime perse” (Garden of Hell), secondo libro nella cronologia della serie gialla di Ananda, il monaco buddhista.

Prima di approfondire “Il monastero delle anime perse”, gli altri tuoi romanzi e la tua narrativa in genere, ti chiederei qualcosa su di te: la tua vita, la tua professione di giornalista, il tuo essere scrittore...

Non chiedere mai a un giornalista di parlare di sé: non starà più zitto!

Per farla breve, sono cresciuto negli Stati Uniti e ho sempre desiderato essere uno scrittore. Sono venuto in Thailandia con mia moglie e mio figlio molti anni fa, e ho trovato presto un lavoro in un quotidiano locale. Sono uno scrittore da allora.

Ad un certo punto della tua vita, hai scoperto di essere soggetto ad un “disordine bipolare”. Come ha ciò influenzato la tua scrittura, se lo ha fatto?

Ad essere onesto, ha avuto un effetto terribile. Il primo libro che vendetti e pubblicai fu scritto in un momento di mania bipolare, nel corso di due settimane (mentre anche lavoravo a tempo pieno!). Una volta, presi anche una vacanza di due settimane con la decisione di utilizzarle per scrivere un romanzo fantasy, e lo feci. Ci lavorai su giorno e notte, e completai il tutto la domenica prima di tornare al lavoro.

Dopo che mi è stato diagnosticato il disordine bipolare e ho dovuto iniziare a prendere dei medicinali, il prodotto della mia ispirazione si è per un po’ inaridito. Ma alla fine sono tornato a scrivere. Ho visto che potevo scrivere piccole cose, articoli, rubriche. Mi sono chiesto quindi se ero in grado ancora scrivere libri. Posso farlo. Semplicemente, ci metto più tempo di prima. E non credo ci sia molta differenza tra quello che scrivo ora e ciò che scrivevo prima che di ricevere la diagnosi medica, fatta eccezione per il fatto che ora è una scrittura molto più pensata di prima.

La professione di giornalista ti ha aiutato come scrittore?

Sicuramente lo ha fatto. E’ stata di grande aiuto. Ti tiene in piedi.

La serie di Ananda è iniziata alcuni anni fa, con la pubblicazione di “Mindfulness and Murder” (2003). Com’è nata l’idea di Ananda? E, ovviamente, chi è phra Ananda?

L’idea per una serie è nata da una singola immagine che m’è venuta in mente: un monaco che cammina in uno dei bagni comuni del suo monastero e scopre un cadavere. Ho pensato a lungo a quella immagine, e un giorno semplicemente mi sono seduto e ho iniziato a scrivere. Poi, una cosa tira l’altra.

Chi è Phra Ananda? Sono io, in qualche modo. Ma non io, in altri. Ho tentato di entrare nella mentalità thailandese e creare un personaggio thailandese, con  caratteristiche e sentimenti thailandesi. Ma, ovviamente, non sono un Thai, e quindi devo simulare.

Molto importante nei tuoi romanzi è anche Jak, un orfano con un handicap alla gamba causato dalla poliomelite, che è un novizio al fianco di Ananda...

Anche l’inserimento di Jak è semplicemente “accaduto”. Non sono da dove sia saltato fuori, ma ho pensato che il mio segugio necessitasse di una spalla.

Il personaggio di Jak è basato sui tanti ragazzini che realmente vivono nei templi allo scopo di ricevere un’educazione. Spesso sono veramente poveri, vengono dalle campagne e non hanno molta scelta nella vita.

Racconti di essere sempre stato affascinato dalla religione. Infatti, presti particolare cura quando parli del Buddhismo, del suo vero spirito e dei suoi precetti.

La religione è un argomento affascinante. Ho sempre voluto conoscere perché la gente crede in ciò che crede, specialmente quando ciò va in senso contrario alla ragione e al buon senso. Credo che siamo stati aiutati molto dalla religione, ma, in alcuni casi, anche danneggiati. L’editore della mia serie su padre Ananda è un’esperta di Buddhismo e si è accertata che io non abbia commesso errori riguardo al buddhismo thailandese, cosa che apprezzo. Da’ valore ai libri.

Dunque, nei tuoi romanzi il Buddhismo è profondamente rispettato.

D’altra parte, mostri anche (in modo neutrale) come i monaci non siano liberi da strumenti moderni come internet o altro (tuttora non possono indossare orologi da polso, eppure pare abbiano il permesso di portare con loro i cellulari). Ma, soprattutto, metti in evidenza cosa talvolta si celi di veramente sbagliato – in azioni e comportamenti - nei monasteri.

Hai mai ricevuto proteste (individuali o ufficiali) o altre rimostranze circa ciò che evidenzi sui “cattivi” monaci?

Non ancora! Ma potrebbe succedere.

In realtà, tutti qui in Thailandia conoscono tutte le cose che i monaci buddhisti fanno, quindi quello che scrivo non è certamente un segreto.

Brevemente: cosa accade nel primo libro, “Mindfulness and Murder”?

Nel primo libro, un giovane senzatetto viene trovato assassinato nel bagno comune del monastero e a padre Ananda, essendo stato in passato un detective della Omicidi, viene richiesto di investigare. La serie parte così.

E nel “Monastero delle anime perse”?

Una monaca si suicida in modo sospetto e padre Ananda viene mandato ad investigare.

 

Luoghi simili al Giardino dell’Inferno esistono, e non solo in Thailandia. Quello di Sara Buri, che descrivi nel libro, è reale?

Sì, sono luoghi che esistono in vari monasteri e templi. Quello del mio libro è del tutto inventato per l’occasione, però è basato su ciò che ho visto.

Tra le altre cose, “Il monastero delle anime perse” parla di un argomento terribile come il traffico di bambini. Almeno, la situazione in Thailandia circa il traffico, l’abuso e la prostituzione minorile è migliorato, negli ultimi 15 anni

Forse. O, forse, ora qualcuno copre meglio le proprie tracce. La Thailandia è tuttora un hub per questo tipo di attività criminali.

Nel “Monastero delle anime perse” ho avuto l’impressione che Ananda si senta più vecchio dei suoi cinquanta passati, sia nell’anima che (conseguentemente) nel corpo. Sto sbagliando? Voglio dire: è stato un poliziotto, il lettore si aspetterebbe da lui un po’ più di sicurezza fisica, il che ovviamente non vuol dire un improbabile eroe da action movie...

Non sono vecchio come Ananda, ma mi ci sto avvicinando e posso realmente sentire come il mio corpo cambia e le cose rallentano. Ho tentato di rendere l’idea.

Attualmente, il tuo ultimo romanzo è Killer Karma (2008). Con cosa e con chi si confrontano Ananda and Jak, qui?

In Killer Karma, dei “fantasmi” sono stati visti nelle acque costiere presso un tempio di campagna. Ananda e Jak vanno ad investigare. Il mistero dei fantasmi è collegato con la pratica dei pescatori moderni di usare le reti a strascico vicino alla costa e alla foresta di mangrovie, il che distrugge l’ambiente e lascia i locali senza pesci da prendere. C’è molto di più, tutto connesso.

Hai scritto anche altri libri, per esempio quelli pubblicati con lo pseudonimo di Sulayman X. Di che tipo di romanzi si tratta?

Un romanzo parla di una famiglia mussulmana immigrata negli Stati Uniti, l’altra di un ragazzo “di vita” thailandese: di come ha preso la strada sbagliata e di come riesce a venirne fuori.

Come te, esistono altri autori stranieri che vivono in Thailandia e ambientano i loro romanzi in questa nazione, o in altre del Sud Est Asiatico.

Ho l’impressione però che (in Thailandia soprattutto) ci sia ora un’eccessiva diffusione di una sorta di sub-genere sull’argomento “expats & bar girls”, un contenitore assai poco filtrato dall’editoria, e che a questo punto propone (oltre ad alcuni autori talentuosi e attenti, come il precursore Christopher G. Moore o anche il Stephen Leather, in realtà più conosciuto per i suoi thriller, bestseller internazionali) anche un sacco di lavori veramente poveri in valore letterario, in obiettivi e contenuti, in anima, e persino palesemente superficiali nell’approccio. E’ una produzione che inevitabilmente va a scapito sia di quei romanzi di pari argomento, ma di un certo spessore, sia di una diversificazione dell’offerta. Evidentemente, gli editori asiatici non vogliono rischiare, se non raramente (un’eccezione è per esempio Colin Cotterill, con la sua serie laotiana e il suo settantaduenne protagonista), trame differenti, che guardino ad altri interessanti aspetti.

Cosa ne pensi?

La “Bangkok fiction” ha una pessima reputazione, e per buone ragioni: è veramente pessima. Par la gran parte è costituita da narrativa incentrata sui bar e sulle ragazze che vi lavorano: “Le mie avventure con la bar girls”. Ho sempre ritenuto che ci sia assai di più da raccontare su questa nazione. Ho tentato di leggere vari autori dello standard di Bangkok, ma la mia attenzione si è spenta a causa dei soggetti trattati o della povertà di stile. In gran parte, è colpa degli editori locali, i quali sembravano voler pubblicare qualsiasi cosa riguardi i bar e le ragazze, ma non hanno intenzione di dare una chance a qualcos’altro. Ricorrono al minimo comune denominatore.

Ma torniamo ai libri di Nick Wilgus. In quali nazioni sono venduti? E dove sono più ben accolti?

I miei libri sono tradotti e venduti in Francia, Germania, Spagna e Italia. Le versioni in inglese sono disponibili oltre qui e negli Stati Uniti. Pare vendano bene ovunque.

Lavori in corso e progetti per il futuro?

Attualmente, sto lavorando su un testo non-fiction intitolato “The Happy Atheist”, che verte sull’essere felici ed essere atei – le due cose non sempre vanno insieme!

Il quarto libro di padre Ananda è completo. Dovrebbe uscire il prossimo anno.

Siamo in chiusura d’intervista. Qualcos’altro che vorresti dire ai lettori italiani circa “Il monastero delle anime perse?

In questo romanzo ho provato a toccare un argomento delicato: lo status delle donne nel buddhismo thailandese. In realtà, non ci sono “vere” monache in Thailandia: hanno bisogno di andare all’estere per ricevere gli ordini religiosi, perché qui non è previsto. Eppure, le thailandesi sono la spina dorsale del Buddhismo Thai. E’ lecito ritenere che dovrebbero essere trattate con maggior rispetto.

Prima dei saluti, segnalo ancora ai lettori il tuo blog: http://bipolar-me.blogspot.com.

Grazie molte, Nick, per la tua disponibilità. Contiamo di leggerti nuovamente, e presto. Ciao!

Grazie per avermi invitato!