Due argomenti di riflessione. Mi sembra che, nella produzione thriller nostrana più recente e “aggressiva”, emerga una stretta relazione con il cinema di genere italiano degli anni 70. In diverse sedi ho sostenuto e ancora sono convinto che la tradizione del thriller italiano di questi ultimi tempi stia più in quel cinema d’intrattenimento, di “genere”, che tra le pagine dei libri. Questo non significa che di romanzi “gialli” in Italia non se ne siano mai scritti, certo. Ma tra molti autori più giovani mi pare che il rimando l’allusione a quel cinema - che oggi non si fa più e che divertiva milioni di spettatori oltre a dar lavoro a centinai di migliaia di operatori del settore- sia più che evidente. Secondo. È un fatto accertato che una grande fetta del pubblico che acquista e legge i libri (compresi i thriller) sia femminile. Giusto. Per cui mi pare logico proporvi un commento su un’autrice di valore che, nei suoi lavori,è la sintesi artistica e vivente di queste due osservazioni. Ovviamente non dimentico altre due autrici che seguono questa tendenza: Alda Teodorani e Claudia Salvatori. Parleremo anche di/e con loro in un prossimo futuro.

Anche se è uscito da alcuni mesi vi invito alla lettura di La bambola di cristallo di Barbara Baraldi pubblicato in Il Giallo Mondadori Presenta

Con un passo estremamente sicuro Barbara Baraldi procede dagli esordi in forma di racconti brevi, novelle e fiabe di medio respiro ala territorio dei romanzi brevi. Si costruisce così un solido repertorio di storie, situazioni e personaggi che già ci lasciano intravedere la prospettiva di un romanzo lungo e articolato. Il Giallo Mondadori la ospita con un trittico impreziosito da una copertina di quelle che “non si possono lasciare sullo scaffale”. Due romanzi brevi e un racconto presentano Barbara al grande pubblico offrendo uno spettro variegato delle sue capacità narrative.

La bambola di cristallo è un nero metropolitano, una vicenda di serial killer ma anche una tragedia di umane disperazioni che s’intersecano sfiorandosi, a volte senza sapere di essere egualmente mortali. La vera protagonista è Bologna, riconoscibile ma anche fotografata con un occhio visionario e inedito. Le evidenti influenze cinematografiche ( nei rimandi al thriller italiano anni 70 ma anche nel taglio delle singole scene, nel ritmo, nei dialoghi) si sposano con la capacità visionaria dell’autrice che, ricordiamolo, è anche fotografa. Un connubio che salta subito all’attenzione del lettore. Il dettaglio, l’inquadratura che si fa frase sulla pagina stampata, il senso del passato (venga dai ricordi personali o dai rimandi alle vecchie pubblicità) rivelano una consapevolezza matura nell’uso di tutti gli strumenti che lo scrittore ha disposizione per raccontare la sua storia. La narrazione rivela una grande padronanza del linguaggio, ma non cade nella trappola della ricerca della bella pagina fine a se stessa. La vicenda che Barbara ci racconta è di quelle che fanno male ‘dentro’. Un meccanismo thriller che si abbina a suggestioni notturne vissute e rielaborate con un equilibrio sempre attento al racconto, al ritmo. Nella Bambola colpisce la varietà di personaggi e psicologie femminili. Dominatrici e dominate, vittime e vendicatrici, fatue e provocanti, le figure disegnate da Barbara sono vere, differenti una dall’altra. Fa anche piacere trovare spunti di novità rispetto alle opere precedenti. In particolare la caratterizzazione di Marconi, il poliziotto, risulta dolceamara, realistica e per nulla stereotipata. L’intrigo è solido e riserva più di una sorpresa anche in un filone che si ispira dichiaratamente al thriller argentiano. Ancor di più il talento di Barbara emerge nel secondo romanzo Il giardino dei bambini perduti. Lasciata la città, Barbara si avventura in un altro territorio a lei familiare e non a casa legato a fortunate suggestioni cinematografiche. La campagna, l’infanzia, la minaccia di un mondo adulto, abnorme, incombono in un piccolo gioiello di suspense del quale i punti di forza sono proprio il meccanismo giallo e un altro personaggio femminile. Una bimba questa volta, come a suggerirci che l’ideale foto di gruppo dell’universo femminile di Barbara è ricco e sicuramente ha molto da regalarci. Spiazza Soave, fulminante scorribanda in un territorio thriller dominato dall’azione. Non stupisce perché malgrado atmosfere e psicologie siano il pezzo forte del lavoro dell’autrice, la violenza riesce sempre a essere ritratta in maniera visionaria e avvincente. Un’antologia personale d’impatto, quindi, per chi voglia avvicinarsi a questa giovane autrice che rivela elasticità ed eclettismo oltre che a una vena decisamente inquietante.